Ci sono cose impossibili da chiudere in una definizione: sfuggenti e in movimento, fermarle ed etichettarle sarebbe come privarle dell’essenza che le caratterizza. Guarda dove vai, album d’esordio di Marta Tenaglia, (13 maggio – Costello’s Records) rientra in questa categoria di cose: ha la forma dell’acqua; cambia, si adatta, stupisce, traccia dopo traccia.
L’album arriva dopo la pubblicazione di sei delle canzoni che ritornano al suo interno, le cui uscite hanno iniziato ad accompagnarci nel 2019 con Bonsai: brani ricchi, densi di significato, con testi che andrebbero stampati e letti con attenzione, come quando si sottolineano le poesie, per riuscire a comprenderle e poterle raccontare.
Allo stesso modo, parlare delle nove tracce che compongono Guarda dove vai sarebbe impossibile senza affidarsi alle parole dei brani: testi che si aprono su un genere pop – cantautorale ricco di influenze internazionali, personalizzato e arricchito dalla voce di Marta, sussurrata traccia dopo traccia.
Proprio in Alda Merini Centravanti, tra un uso ragionato e inclusivo del linguaggio (vedi la scelta di utilizzare il genere neutro in apertura al brano), la cantautrice dà la sua definizione di artista, citando due personalità portanti della letteratura italiana: Giacomo Leopardi e Alda Merini.
Essere artista è questo, è qualcosa che non muore / È ricercare un senso ballando dentro al dolore / La finta gioia m’annoia come giocare a tennis (Che palle) o / Come una cicca tra i capelli
Noi di Futura 1993 abbiamo avuto l’onore di fare una chiacchierata proprio con Marta Tenaglia qualche giorno fa, per farci raccontare le influenze e le ispirazioni che si nascondono dentro al suo lavoro. Leggi cosa ci ha raccontato!
Ciao Marta! Quante influenze e ispirazioni: il tuo album è carico di significati. Tu cosa vedi quando lo guardi?
Ciao <3 Vedo il concetto di me stessa frammentato e rimesso insieme come un mosaico.
“Si potrebbe anche alludere al fatto che non so dar tregua alla mia super-me / Vorrei sempre mirare più in alto, sempre essere altro / Da quello che sono che faccio che parlo”. Una lotta eterna con un super – io che si erge dall’alto: come vivi questo sentimento in musica? Mirare sempre più in alto, come si riflette nel tuo lavoro quotidiano, sei una perfezionista?
No, perfezionista non direi, però purtroppo sono un po’ severa con me stessa e quello che faccio. Quando riesco a convertire questa severità in cura del dettaglio funziona, quando invece non ci riesco mi giudica e mi blocco.
Se dovessimo associare il tuo album ad una stagione sceglieremmo l’estate calda, se ci chiedessero un colore, invece, sarebbe il blu del mare. Richiama la forma dell’acqua: per la potenzialità che ha di stupire ad ogni traccia. Come e da cosa sei stata influenzata nel processo creativo?
L’estate è stata per tanto tempo l’unica stagione dell’anno in cui mi sentivo viva. In inverno e autunno sopravvivevo, poi in primavera iniziava il risveglio e con l’estate finalmente la vita vera. Nel frattempo, mi perdevo delle cose, le lasciavo per strada in attesa di tempi migliori. Questo è quello che mi ha influenzata, il bisogno di vivere ogni piccolo momento del presente.
“Alda Merini centravanti”: nel brano dai la tua definizione di artista. Metti in gioco due personalità distintive della letteratura italiana: Leopardi e Alda Merini. Quanto prendi dalla letteratura nelle tue canzoni?
Oddio non saprei! Nelle mie canzoni ci finisce quello che viene a galla quando penso, quasi mai quando cito qualcuno è perché mi ero prefissata di farlo. Amo molto la poesia, la trovo potente e affascinante.
La musica è anche presa di posizione: in “Chi” può lanci spunti riflessivi sulle differenze di genere, e nel videoclip il brano trova una contestualizzazione nella città di Milano. Essere donna si lega, purtroppo, anche al luogo in cui si vive. C’è qualcosa che la tua città potrebbe fare per migliorare in questo tema?
Dipende chi/quale entità assumiamo come rappresentate di Milano, se la società civile o le istituzioni. Ad ogni modo sì certo, c’è e ci sarà sempre molto da fare. Per esempio ascoltare. Mi viene in mente quando qualche anno fa Non Una Di Meno criticò il fatto che fossero ancora oggi presenti monumenti e vie dedicati a personaggi protagonisti del colonialismo italiano e quindi per antonomasia rappresentanti di un periodo storico che è stato razzista, misogino e classista. L’osservazione non fu ascoltata venne anzi (colpo di scena) sminuita, e ovviamente venne rifiutato un ripensamento dei simboli di questa città, che poi è quello che si chiedeva.
In “Invisibile” dai forma alla sensazione di non sentirsi mai pienamente dentro la propria vita. Nel tuo lavoro vivi la dimensione del palco a 360°, non solo in qualità di artista: hai studiato all’accademia di trucco del Teatro alla Scala, e lavori lì. Hai mai vissuto la sensazione raccontata nel brano su un palco? La musica può essere l’antidoto contro questo sentimento?
Nel mio modo di vedere il mondo l’arte nasce proprio dalla necessità (ma anche disperazione) di esprimere qualcosa di inesprimibile, di uscire dall’invisibilità e dall’incomprensibilità delle proprie emozioni.
“Sono oceano”: è il brano che ci ha colpito di più ad un primo ascolto dell’album. È una bellissima dedica a sé stessi e al sentirsi profondamente legati ad un elemento della natura. Come nasce?
Nasce da un profondo momento di sofferenza, dalla nostalgia di momenti mai vissuti, dalla consapevolezza delle mie correnti interne.
Ultima domanda. “Guarda dove vai”, titolo dell’album, è anche la frase con cui si apre il brano Bonsai, e che ti sentivi ripetere più spesso da bambina. Guarda dritto davanti a te oggi, ci sai dire dove stai andando?
No, ma spero di andarci il più lucidamente possibile 🙂
Chiara Grauso
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