È uscita per Porto Records la seconda, attesissima parte del progetto IMMAGINARI. Un disco in cui i Canarie ci prendono per mano, guidandoci nelle strette di un viaggio inedito e dirompente, alla scoperta di quel mondo interiore che ciascun ascoltatore ha in serbo.
Di e con i Canarie avevamo già parlato QUI, in occasione di IMMAGINARI pt.1, uscito lo scorso 16 aprile. Nel frattempo, il duo è anche pronto per una serie di date autunnali: si parte con un tour de force fra Milano, Bologna e Pisa (rispettivamente l’11, il 12 e il 13 novembre), spostandosi poi a Roma il 25 e al Circolo della Musica di Rivoli (TO) il 10 dicembre.
Otto nuove tracce costruiscono ora la seconda parte del disco e completano l’articolatissimo progetto musicale in questione. Un progetto pensato per accompagnarci davvero in ogni stagione, solare ed emotiva. Il puzzle che ne risulta non è soltanto la ricerca spasmodica di alchimie nuove, ma un intrinseco coniugarsi di paesaggi sonori e ingredienti poetici.
Anche tempo e spazio sembrano acquisire significati nuovi. Il ricordo passato diventa presente nella forma canzone, slanciandosi verso il futuro nell’inseguimento di ambizioni nuove, non ancora “immaginate”.
Ecco che cosa ci hanno raccontato Paola Mirabella e Andrea Pulcini, in arte Canarie, sulla seconda e ultima parte del loro lavoro.
Partiamo da COCCO, prima traccia di questo vostro ultimo lavoro. Abbiamo anzitutto un tramonto da farci condonare: ma per passare direttamente alla notte o perché la luce del giorno non finisca mai?
Perché la luce del giorno e la magia di quel momento non finiscano mai. Nelle nostre intenzioni, quello di IMMAGINARI è un racconto lungo un anno solare che attraversa le varie stagioni climatiche, sentimentali e anagrafiche. COCCO è un’appendice della prima parte, per questo è stata messa in prima posizione. Parla anche di quel vano tentativo di fermare un tempo disseminato di momenti bellissimi, ‘durante quelle ore marine, mentre l’acqua si asciugava subito sulla pelle e la vita sembrava non dovesse avere mai fine’ (Ercole Patti, “Diario Siciliano”).
SCIROCCO è il vero soffio di vento che dà slancio all’album, esattamente come la musica africana è in grado di aiutare i ritmi di cuori che stentano a battere. Fino a che punto un certo tipo di musica africana – come Mulatu Astatke, che citate esplicitamente nel testo – ha influenzato il vostro modo di comporre?
Siamo ascoltatori voraci di musica africana, specie dei suoi tesori più vintage e dimenticati. In SCIROCCO e CANNIBALI volevamo proprio partire da questa matrice per contaminare il nostro linguaggio musicale e siamo felici che in alcuni momenti il vento sahariano abbia preso il comando, sia a livello di struttura che di sonorità.
In FULMINI “ci sono cose che si dicono meglio in silenzio”, anche se l’intero disco sembra un vero e proprio inno alla musica. Il silenzio stesso può essere considerato musica?
I silenzi fanno parte della musica e spesso la rendono più espressiva, caricandola di sospensione, attesa e sorpresa. Nelle nostre intenzioni quello di IMMAGINARI è, come ben dici, un inno alla ricchezza della musica. La sfida è stata quella di inserire ingredienti più disparati all’interno della forma-canzone. Dal punto di vista testuale, siamo convinti che spesso alcune sonorità riescano a tradurre l’incomunicabilità sentimentale di cui si parla in alcune delle storie raccontate.
Nel brano NON È MAI SEMPLICE FARE AMICIZIA CON LE STAGIONI il respiro si trova nel mare, mentre in PICCOLA SINFONIA D’AUTUNNO nella pioggia. Se devo pensare ad una differenza fra il disco della scorsa primavera e questa seconda parte, citerei proprio l’atmosfera calda e torrida del primo e quella più umida ed “acquosa” che troviamo qui. Quanto l’elemento naturale dell’acqua – ma anche la natura in senso più lato – ha suggestionato la composizione di queste nuove tracce?
Moltissimo. Quasi ognuna delle 16 canzoni che compongono IMMAGINARI ha un elemento idrico capace di donare alla storia una connotazione climatica diversa. In questa seconda parte dell’album la temperatura delle canzoni segue un po’ il corso delle stagioni, degli equinozi e dei solstizi. Lo SCIROCCO porta anche piogge e umidità e il fatto che il sole fosse sempre meno presente nelle giornate e nei paesaggi che ci circondavano ha influenzato senza dubbio lo stato d’animo dei brani.
Quali sono invece, a vostro avviso, le analogie e le differenze fra gli AVVOLTOI che chiudono la prima parte e i CANNIBALI che ritroviamo in questo nuovo lavoro?
Il finale è lo stesso, cambia lo scenario, le intenzioni e il modo di divorarsi a vicenda. Se in AVVOLTOI c’è una implicita volontà di torturarsi nel beccarsi il petto pian piano, in CANNIBALI l’atmosfera è più apocalittica e quello che mettono in scena i due amanti è un sacrificio tribale, per liberarsi dalla gabbia del corpo e perdersi ognuno nelle labbra dell’altro.
Come dicevo prima, questo disco può essere considerato un inno alla musica e CICALE D’INVERNO, più di tutti gli altri brani, lo dimostra: contro le “avare formiche” prese in antipatia anche da Gianni Rodari, la cicala regala il suo canto senza pensare troppo al proprio tornaconto. A chi vorreste regalare il canto di questo disco?
La scrittura di IMMAGINARI è coincisa con un’altra autentica gestazione, quindi è naturale che il canto di questo disco sia dedicato a nostro figlio Milo. Tra l’altro è la canzone che preferisce e ogni volta che risuona in casa il suo sorriso è irresistibile.
I GHIACCIAI NON SI SCIOLGONO DI NOTTE è un patchwork di ricordi, che si rifugiano poi in quegli infiniti mondi paralleli dove chi abbiamo perduto resterà sempre, nonostante gli addii. Qual è il ricordo più bello che avete, legato alla realizzazione di IMMAGINARI, ma anche più in generale al vostro rapporto con la musica?
È una cosa abbastanza rara e speciale vivere la scrittura e la nascita di un disco insieme alla crescita di un pancione, quindi il ricordo di IMMAGINARI sarà indissolubilmente legato a tutto questo. Quello che più ci piace di questo disco è che sia nato libero, senza
compromessi, ma ricco di sfumature e volti. Abbiamo voluto stipare tutti i nostri i nostri vestiti dentro questa lavatrice sonora per metterci a nudo. Guardarci a occhi chiusi per far incontrare le nostre emozioni con quelle di chi ci ascolterà rimane la cosa più importante del nostro rapporto con la musica.
Monica Malfatti
Beatlemaniac di nascita e deandreiana d'adozione, osservo le cose e amo le parole: scritte, dette, cantate. Laureata in Filosofia e linguaggi della modernità a Trento, ho spaziato nell'incredibile mondo del lavoro precario per alcuni anni: da commessa di libreria a maestra elementare, passando per il magico impiego di segretaria presso un'agenzia di voli in parapendio (sport che ho pure praticato, fino alla rottura del crociato). Ora scrivo a tempo pieno, ma anche a tempo perso.