La “Medusa” dei Queen of Saba pietrifica ogni dogma

Nella mitologia greca, Medusa ha una matassa di serpenti al posto dei capelli e grazie al suo sguardo torvo ed impenetrabile è in grado di trasformare gli esseri umani in pietra. Un altro tipo di medusa, quella biologicamente intesa, sa stuzzicare la carne umana elettrizzandone la pelle e ricordandoci come invece, di pietra, non potremo mai esserlo. Un nome solo è allora capace di rammentarci la nostra forza e le nostre fragilità, un po’ come sembrano fare i Queen of Saba nel loro nuovo lavoro – “MEDUSA” appunto – uscito lo scorso 13 ottobre per Believe.

Un album che arriva a distanza di più di due anni da “FATAMORGANA”, esordio discografico del duo formato da Sara Santi e Lorenzo Battistel, a cui sono seguiti moltissimi concerti in giro per l’Italia e un lungo lavoro di scrittura e produzione di brani.

«Più che di un album si tratta di una vera e propria avventura musicale, – raccontano i Queen of Saba – all’insegna dell’evoluzione, ma sempre sulla scorta degli stessi principi che ci ispirano costantemente: primo fra tutti il fatto che i limiti esistano per essere superati».

Quasi alieni, in un mondo che spinge al binarismo, i Queen of Saba si presentano infatti sulla scena musicale italiana con colorata irruenza, per smantellare i dogmi di genere ed esplorare le infinite sfumature della musica. Di più, cibandosi di influenze neo-soul, alternative R&B, disco pop, hip-hop e indietronica, tratteggiano nei propri testi e nelle proprie musiche un mondo utopico ma necessario. Un mondo verde acido e rosa shocking, affastellato di figure scontornate, vegetazione prepotente e atti contro natura.

Ma al contempo un mondo talmente naturale da porsi come inno per tutte quelle rivoluzioni, gentili ed insieme battagliere, che intendono emancipare l’essere umano anzitutto da se stesso, celebrando trans joy, salute mentale e diritti civili e intuendo nell’arte un incipit di cambiamento. Abbiamo intervistati i Queen of Saba per farci raccontare tutto questo.

Medusa
Queen of Saba, “MEDUSA” [Ascolta qui]
La musica e l’attivismo dialogano praticamente da sempre. Con il vostro ultimo post su Instagram denunciate una società dove risulta ormai insostenibile vivere. È davvero possibile scardinare l’intero sistema per poter ricostruire finalmente un mondo che sia ad immagine e somiglianza di tutti quei diritti e doveri che dovremo propugnare e rispettare? La musica che ruolo ha in questo?

Non sappiamo se questo cambiamento radicale che auspichiamo accadrà a breve. E non sappiamo nemmeno se vedremo i frutti delle nostre lotte nell’arco della nostra vita. Ma è certo che il mondo ribolle. Lo vediamo negli occhi di tant3 altr3 compagn3 che, come noi, non sono più dispost3 ad accettare che non si faccia nulla per fermare un genocidio in atto da più di due mesi (nel caso di Gaza, mentre se parliamo del Sudan avviene da quasi un anno e la copertura mediatica è meno di zero);

Non sono dispost3 che avvenga un femminicidio in Italia ogni 72 ore, che il computer su cui scriviamo le risposte a queste domande sia direttamente legato alla schiavizzazione, l’omicidio e la migrazione forzata di centinaia di migliaia (forse milioni?) di persone nella Repubblica Democratica del Congo, che si continui ad investire sul fossile mentre andiamo incontro a un’estinzione di massa.

Se questa è la normalità, allora non possiamo sopravvivere se non alzando la nostra soglia di sopportazione e rinunciando a provare empatia per altri esseri umani e per noi stess3. Ma noi non vogliamo vivere così. Non siamo noi a doverci adeguare a un sistema capitalista, ciseteronormativo e patriarcale capace di brutalità insopportabili: vogliamo provare a resistere.

Sappiamo di non essere sol3 e di poter dare forma a contro-narrazioni, con linguaggi nuovi, che sono la base per la costruzione di un diverso mondo possibile. Se è possibile immaginarlo e raccontarlo, allora è possibile crearlo. Per questo è importante la musica: come l’arte, la letteratura, il cinema, ci offre la possibilità di inventare un futuro migliore rispetto a quello a cui ci stanno condannando.

Il vostro disco si configura proprio come un dialogo musicale e sociale insieme. Ma prima di analizzarne meglio alcune tracce, una definizione iniziale: chi è Medusa? (E chi sono i Queen of Saba?)

Medusa è il nostro specchio, la maschera che ci guarda e che ci sfida a porci le domande dolorose e necessarie per capire, ma soprattutto per decostruire chi siamo. Come nel caso del nostro album precedente, “FATAMORGANA”, alla figura del titolo è dedicata una canzone d’amore. Ma il significato trascende se stesso quando il suo nome diventa contenitore di tutte le altre tracce.

Medusa è la ragazza di cui sono innamorato, ma sono anche io. Medusa è un corpo non conforme – come mitologicamente la tradizione vorrebbe – in cui mi riconosco, ma è anche il mostro che scalpita dentro ciascuno di noi. Non il mostro lombrosiano di cui si legge sui soliti giornali. Piuttosto il mostro che fa ancora più paura al sistema perché non si adegua agli standard patriarcali e ciseteronormativi. Medusa è la “creatura mostra” di cui parla Filo Sottile in “La Mostruositrans” (2021).

Queen of Saba
Nel vostro lavoro figurano tre featuring cruciali, anche per i temi affrontati nelle rispettive canzoni: da Big Mama a Willie Peyote, passando per Ganoona. Come sono nate le collaborazioni fra questi artisti e i Queen of Saba?

Queste tre collaborazioni sono varchi verso altri mondi che si sono aperti spontaneamente, per affinità e per curiosità. Con Ganoona è stato un colpo di fulmine. L’abbiamo visto esibirsi in un format online durante la pandemia, piano e voce, con un’intensità da brividi, e gli abbiamo subito scritto su Instagram.

PESCA NOCHE” è figlia di un’amicizia ed è nata per unire i nostri due mondi. Così come “CAGNE VERE” è stata concepita fin da subito come un esperimento pensato per nessun’altra presenza se non quella di BigMama. Al Cremona Pride del 2022 noi aprivamo lei che apriva MYSS KETA. Ricordo che c’era grande hype e segretezza attorno al backstage della MYSS, mentre nel camerino di BigMama stavamo tutt3 insieme, mangiando e ridendo. Lì è scattata la scintilla.

Per quanto riguarda Willie Peyote, è stato lui a fare il primo passo. Facendoci i complimenti per la nostra esibizione all’Eurovision Village a Torino ha aperto un canale comunicativo che ci sembrava irraggiungibile. Il suo apporto al pezzo (“ACAB – Amami Come Ameresti Bambi“) si è mescolato naturalmente all’atmosfera che intendevamo creare. Ed è finito per diventare una parte fondamentale della sua identità e del suo significato.

E proprio “ACAB” con Willie Peyote è un inno all’amore ma anche alla rivolta. Stiamo vivendo giorni complessi, dove l’ennesimo femminicidio ci costringe a ridefinire il modo in cui concepiamo non solo i nostri rapporti amorosi ma anche quelli interumani in generale. Di quanto amore e di quanta rivolta abbiamo bisogno per cambiare finalmente le cose?

La canzone “ACAB” è strettamente legata alla città di Torino, che per Sara è il luogo in cui l’attivismo e il dramma sentimentale si sono incontrati e fusi. Amore e lotta per noi sono inscindibili, perché crediamo che solo aprendosi alla vulnerabilità si possa essere motori del cambiamento. Ad una società sociopatica che ci spaccia l’orrore per normalità dobbiamo sforzarci di reagire non con apatia ma con empatia. Anche se questo significa fare spazio a sentimenti che preferiremmo non provare. In questo periodo è impossibile farsi scudo contro le notizie terrificanti che ci arrivano da tutte le parti, sia da paesi “lontani” che da pochi chilometri da dove abitiamo. Abbiamo la sensazione di stare impazzendo, perché sembra che il mondo intero vada al contrario.

Ma come scritto in un saggio che ho recentemente letto, “There is no Revolution without Madness” (Ismatu Gwendolyn, 2023). Bisogna trovare in noi il coraggio di uscire dalla razionalità e di seguire le passioni e le emozioni che “emanano dalle nostre ossa” e che ci è sempre stato detto di non seguire. Allora ci definiremo “pazz3 d’amore”, se è tale amore è rivoluzionario e pieno di cura per l’altrə e per la comunità. Non si può definire “pazzə d’amore” chi uccide una persona perché quest’ultima si ribella al suo desiderio di possederla.

Nel featuring con Big Mama affrontate l’altro enorme tema del linguaggio, strumento di relazione cruciale. Può la musica creare dei nuovi paradigmi di comunicazione?

Dopo le ultime notizie sulla classifica musicale italiana, dominata da uomini che raccontano una visione del mondo e dell’amore intrisa di patriarcato, crediamo sia giunto il momento, come artisti, di prenderci la responsabilità di scuotere il sistema. Come se fosse un grande albero, da cui di sicuro cadranno buoni frutti, ma che ha anche bisogno di riconoscere il marcio dentro di sé. Non perché la musica debba essere per forza family-friendly, anzi!

Noi che cantiamo “fr0cie dure con i peli free” sicuramente non ci avviciniamo ad un pubblico benpensante. Ma l’effetto shock dei testi non può più, secondo noi, appoggiarsi su trope ampiamente scaduti. Era il 2000 quando Eminem immaginava in un brano (“Kim”) di uccidere la moglie e chiuderla in un bagagliaio.

“PESCA NOCHE” con Ganoona è una riflessione sulla gelosia e la capacità di lasciar andare, ancora una volta un argomento tematizzabile nell’attualità: gelosia e libertà possono coesistere in una sana relazione amorosa?

Questa domanda ci permette di fare un’analisi del testo che è anche un’autoanalisi. Abbiamo deciso di dare spazio al racconto di questo sentimento nel tentativo di comprenderlo meglio ed esorcizzarlo in una pratica di autoironia. Autoironia che però si coniuga con una consapevolezza il più possibile profonda dei nostri limiti e dei pattern che replichiamo, ma che vanno anche spezzati. Siamo abituat3 a considerare la gelosia come una cosa “naturale”, un istinto automatico in risposta a situazioni triggeranti. Ma ci chiediamo mai da dove viene?

La cultura del possesso si annida nei recessi più reconditi della nostra mentalità, per quanto decostruita possa essere. A volte ancora più subdolamente si traveste da buona intenzione, da complesso del salvatore che vorrebbe proteggere la persona per cui prova dei sentimenti non corrisposti da un “altro predatorio” che “vuole solo averla”.

Ci autoassolviamo nel pensare che “noi non siamo così”. Ma se persino una persona socializzata donna, che ha subito molestie e abusi psicologici da uomini, riconosce dolorosamente nei suoi comportamenti delle tracce di patriarcato, come pensiamo che possa considerarsi assolto e mai coinvolto qualcuno a cui è stato detto “fai l’uomo, dai, fallo anche un po’ per noi” per tutta la vita?

Con Gabriel (Ganoona) abbiamo affrontato più volte, prima come co-autori e poi come amici, il tema della pressione della società nei confronti dei “maschi” che rende la loro esistenza una gara continua, uno sforzo performativo estenuante.

Abbiamo fiducia che in questi giorni tremendi anche lui, come noi, si stia facendo le domande più difficili. Quelle necessarie per riuscire finalmente ad evadere dalla gabbia di insegnamenti interiorizzati fin dalla nascita che ci portano a declassificare il sessismo o la molestia a “goliardia”. Che ci portano a romanticizzare i rapporti di potere asimmetrici nelle relazioni, giustificando scatti di rabbia violenta perché “è fatto così”. Ed infine ad alimentare la nostra stessa incapacità di rielaborare il rifiuto e l’abbandono.

Queen of Saba

Il lavoro da fare è collettivo. Non può essere relegato soltanto alle assemblee transfemministe, a insegnanti illuminat3 che pur sottopagat3 cercano di rendere le classi degli spazi sicuri, ai centri antiviolenza continuamente privati di fondi se non direttamente smantellati (come la giunta regionale del Lazio sta cercando di fare con la realtà romana Lucha y Siesta, per esempio).

Il lavoro da fare è tanto. E comincia dal mettersi in discussione come singoli, per mobilitare una rivoluzione culturale e sociale dal basso. Solo in un secondo momento possiamo pretendere che le istituzioni si adeguino al cambiamento del paradigma, dato per scontato e irremovibile fino a questo momento.

Sempre in “PESCA NOCHE” troviamo citazioni di Vasco Rossi e dei Talking Heads: viene spontaneo chiedervi quali sono le influenze musicali più pregnanti, che hanno forgiato lo stile dei Queen of Saba.

Domanda complicatissima in quanto le nostre influenze sono parecchie, a volte sono anche influenze inconsapevoli che vengono fuori nei momenti di scrittura. Fortunatamente non ci facciamo problemi nell’esplorare e nell’inserire campioni di Britney e Panjabi MC nella stessa canzone. Se vogliamo parlare di artisti che ascoltiamo noi si apre ancora di più il discorso. Lorenzo è ammaliato da tutto quello che è il mondo latino, reggae e in generale musica con forti radici africane. Sara invece viene dal mondo del jazz e del blues.

Parlando ancora dell’aspetto più musicale, in “PICCOLA INUTILE” – il brano forse più romantico dell’album – un clarinetto basso conferisce un’atmosfera sognante all’intera canzone. Com’è nata questa scelta?

È difficile sentire degli assoli strumentali in album pop ultimamente. Le parti di voce e i testi spesso occupano tutti i minutaggi delle canzoni. In quel punto volevamo dare spazio ad uno strumento magico sia da sentire che da vedere. I microfoni sono stati posizionati in modo da creare una spazialità particolare ad ogni nota suonata. Magico anche il gusto e la musicalità di Francesco Socal, che ha fatto questa meraviglia spontaneamente. Infatti abbiamo tenuto la prima take!

In “SENTIMI SENTIMI SENTIMI”, l’urgenza di far sentire la propria voce si scontra rabbiosa con i muri di manganelli di chi non vuole avere orecchie per farlo: come farsi davvero ascoltare in tale temperie?

L’unica cosa che ci viene da dire è che bisogna continuare ad insistere. Per questo nella canzone il ritornello è una specie di mantra ripetitivo, continuiamo a gridare “SENTIMI SENTIMI SENTIMI” finché non ci sentiranno. Gli strumenti a nostra disposizione sembrano nulli ma non è così. Il capitalismo si basa sul consumo, perciò è importante, ad esempio, cercare di boicottare brand non etici.

Abbiamo visto poi il corteo di Roma contro la violenza di genere: 500mila persone non possono essere ignorate. Teniamoci stretta la nostra visione alternativa del mondo. Crediamo nelle utopie che ci salvano dall’accettazione passiva di meccanismi distopici che ci vengono raccontati come naturali e inevitabili.

Prossima tappa di questo lavoro sarà il vostro primo tour nei club: come vi sentite a riguardo? Come sarà suonare queste tracce dal vivo?

Lo scopriremo solo vivendo! Non ci siamo voluti fare aspettative particolari su questo tour, ci ha sempre affascinato la dimensione dei live e ci teniamo molto a lasciarci grossi spazi di improvvisazione. Questo perché ogni volta per noi è diversa, e vogliamo che continui così. Siamo contentissimi di poter portare questi nuovi brani. Non vediamo l’ora di vedere le reazioni del pubblico. E speriamo di riuscire ad evocare quell’essere multiforme creato dall’unione nostra con il pubblico, in un unico movimento, un unico respiro.

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