Alessandro Magno scrutava il cielo prima di ogni grande battaglia: un segno, un atto divino. I battiti di un cuore mai domo si contrapponevano alla tranquillità di nuvole a cui poco sembrava importare delle vicende umane. E poi la battaglia, il sangue, la morte. Gli occhi del figlio terreno di Zeus annebbiati dal caos, dal profumo infetto della trama della vita. L’attimo in cui tutto si rompe e muta è un vaso di Pandora pieno di dolore. Tornare indietro, riprendere l’armonica sequenza che lega due cuori innamorati. La Preghiera di Jonah presenta “Come l’ultima volta”.
È la battaglia che infuria, è il cielo che scarica tempesta. È lo scavare nel terreno delle emozioni più profonde, fronteggiando un Addio che è diventato terrore, ansia, piaga. Un testo dispnoico graffia gli occhi di chi vede ogni muscolo spento dall’amore che muore, dagli sfondi che mutano e ricordano l’assenza. “Non ti dimentico più” è l’emblema di chi sa che il dolore non passa ma cronicizza, di chi ha compreso l’eterna arroganza degli addii. Nulla resta, perché nulla può restare. “Come l’ultima volta” ripetuto come un inutile massaggio cardiaco è testamento e preghiera. Un racconto senza lieto fine. Li abbiamo incontrati.
Domanda di rito: come nasce la Preghiera di Jonah?
Nella fase più embrionale il progetto nasce come progetto solista di Antonio (da noi tutti chiamato ormai Jonah) e vista la sua passione per la lettura biblica e affascinato dalla figura del profeta Giona e dal suo modo “non convenzionale” di pregare, decide di dare il suo nome al progetto.
La preghiera di Jonah, come gruppo vero e proprio, nasce come il 90% delle relazioni di oggi: su internet, attraverso un sito d’incontri (per musicisti). Alfonso entra a far parte del progetto e insieme a Jonah si mettono alla ricerca di altri componenti. Questa ricerca si conclude però nella maniera diametralmente opposta alla prima, ovvero alla “vecchia maniera” di incontrare persone: davanti ad un bar. Lì, Nello e Marco vengono “rimorchiati”. Da subito si nota una certa passione in comune -quella per l’alcool- e si decide di dare vita a questo progetto così com’è oggi.
È difficile andare ad armonizzare le varie anime musicali del gruppo? Quale è il vostro segreto?
Avendo tutti e quattro background musicali diversi continuiamo ad influenzarci l’un l’altro, e questo per noi è stato un grande punto di forza. È vero, spesso le cose escono fuori dopo ore di “mazzate” in sala, ma dopo anni abbiamo raggiunto un’unica consapevolezza: non far incazzare Jonah, che è l’anima più sensibile del gruppo.
“Come l’ultima volta” è una traccia rabbiosa, che descrive una mancanza viva, tangibile. È una traccia autobiografica?
Si a questa lasciamo rispondere Jonah.
Quasi tutte le tracce del disco sono autobiografiche anche quelle che vanno a raccontare storie non mie: ad esempio “Giulio” che racconta la sua storia difficile con il padre fino a quando sarà costretto a dirgli addio… all’interno c’è molto del mio vissuto, di me.
Lo scorrere del tempo che ci separa dall’amore che fu. Che rapporto avete con gli addii? Sono un eterno rimandare oppure sono comunque l’inizio di una nuova pagina di vita?
Pessimo. Pensiamo sia davvero difficile dire “addio” ad una persona: che si voglia o no, la porta non sarà mai chiusa completamente a chiave. Accettare un addio invece può essere più semplice: un addio può significare un nuovo inizio. Possiamo vederla così: la fine di qualcosa segna sempre l’inizio di un’altra.
In una società usa e getta, quale è il ruolo del perdono emotivo? È così difficile ammettere che a volte si è commesso un errore di giudizio?
Sicuramente non è da tutti ammetterlo. Le valutazioni interiori non sempre diventano esteriori. Troviamo che il perdono sia una delle cose più belle che possiamo rivolgere agli altri e soprattutto a noi stessi. Bisogna amare tanto per perdonare e perdonarsi. La società ci insegna che l’errore è grave, ma per quanto ci riguarda l’errore è bello, può farci scoprire nuove strade, punti di vista e farci crescere. Pensandoci, poter dire “mi sono sbagliato”, ti rende vivo.
Parlateci del video che accompagna la canzone.
Il video è nato da un’idea di Jonah. Ci abbiamo lavorato insieme tutti e quattro sia per la sceneggiatura che per la scenografia. Non ce l’avremmo fatta però grazie alla magnifica squadra che abbiamo messo insieme e che ci ha aiutato tantissimo in quei giorni. Non è un video narrativo bensì più concettuale e dagli elementi allegorici. Pensiamo che dare una nostra interpretazione possa “indirizzare” troppo, piuttosto preferiamo che siano le immagini a parlare per noi e a veicolare il messaggio che volevamo mandare. Detto ciò, siamo molto soddisfatti del risultato ottenuto e ci piace un botto. E a voi piace?
Come vi collocate all’interno dell’attuale panorama musicale italiano? È davvero tutto affidato ad algoritmi e likes?
Spotify ormai è la piattaforma più usata nel mondo per quanto riguarda la musica e -come le tante altre- funziona ad algoritmi e likes. Il sound che abbiamo sicuramente non è un sound alla moda con i tempi di oggi, ma ricalca più sonorità cantautorali di inizio decennio.
Progetti futuri?
Per il prossimo singolo è previsto un featuring con un ARTISTA di fama nazionale che adoriamo da tanto tempo. Uscirà qualche altro singolo, e poi il disco, i concerti e i bagni nel mare.
Il vostro rapporto con i live.
La dimensione live è la nostra preferita. Pensiamo che la “vera” musica sia quella: noi, le persone, i nostri strumenti, le nostre ansie, le nostre gioie, le nostre bevute. Pensiamo non ci sia nulla di più bello di sentire il calore delle persone che cantano con noi i nostri pezzi. È lì che capisci che tutto questo ha un senso.
Consigliateci un disco e un libro.
È stato difficile mettere d’accordo tutti cercando un solo libro e un solo disco che potessero essere stati così di rilievo per tutti e quattro, ma dopo un confronto – durato non poco – ci sentiamo di suggerire “Stavolta come mi ammazzerai?” di Edda e “11 minuti” di Paolo Coelho. Questi due, per ognuno di noi in maniera diversa, hanno significato qualcosa.