Mettete fiori nelle vostre canzoni, come La ragazza dello Sputnik in “Kiku”
Quando mi capita di poter intervistare qualche artista, è tendenzialmente sempre qualcuno con cui ho una forma più o meno stretta di conoscenza diretta. L’idea di porre domande generiche che potrebbero valere per tutti, attraverso un ufficio stampa, è molto lontana dalla mia idea sia di scrivere, sia di vivere la musica.
In questo caso addirittura mi trovo a porre domande ad una ragazza, ad una cantautrice, ad una artista (è uno di quei rari casi in cui usare questa domanda non mi provoca dubbi etici) che ho avuto la fortuna di conoscere bene alcuni anni e di cui ho potuto, da osservatore, seguirne la crescita.
Si tratta de La ragazza dello sputnik, che a fine gennaio ha pubblicato il suo ep Kiku (Murato Records / Costello’s / Osteria Futurista).
Quando si ha la possibilità di conoscere personalmente un cantautore, in questo caso cantautrice, la cosa più bella è vedere quella persona nelle canzoni e viceversa. Questo è assolutamente uno di quei casi. Kiku è un fiore, e come tale è delicato e fragile, ma al tempo stesso caparbio, capace di esistere ad una folata di vento forte o ad una pioggia battente. Ma soprattutto nelle radici, nel bulbo i fiori hanno il loro cuore capace di rinascere, di rinnovarsi, di crescere nuovamente.
Kiku, le canzoni che compongono l’ep, La ragazza dello Sputnik sono esattamente questo. Delicate, ma caparbie, capaci di rinascere e crescere.
Inizio quindi il mio tour di domande e mi permetto di rivolgermi all’artista col suo nome di battesimo, quindi… ciao Valentina. È davvero un piacere per me poterti fare qualche domanda per poterti far conoscere al pubblico de Le Rane.
So che questo tuo Ep ha avuto un lungo percorso per arrivare ad essere realizzato, nel trovare la chiave che potesse rappresentare al meglio chi sei e la tua idea di musica. Quale è stato l’ostacolo più grosso che hai incontrato nel realizzarlo (pandemia esclusa).
Penso che l’ostacolo più grande non sia stata la pandemia, non siano stati i mezzi o le modalità, né le circostanze. Bensì sono stata io stessa, le mie resistenze e le mie insicurezze, ma anche, come dici tu, la mia ricerca per riuscire a giungere a quanto di più completo potessi desiderare. La costruzione di questo progetto è stata un continuo aggiustamento delle mie sensazioni, una cura all’interno di un percorso terapeutico, una ricerca durante la quale sono stata ostacolo a me stessa fino a trovare il coraggio per dare inizio a tutto questo.
Kiku è il crisantemo in giapponese. Leggendo il comunicato stampa ho imparato che il crisantemo, in Giappone, ha un significato diametralmente opposto dal nostro. È il fiore della rinascita. Prima ho voluto escludere la pandemia dalla tua risposta, ma inevitabilmente mi trovo sempre a chiedere come sia stato affrontare un anno intero in una dimensione che, per chi respira musica, è stata claustrofobica. Quali armi sei riuscita a trovare per gestire questo periodo, che ahimè continua ancora? Come si rinasce da una situazione come questa che stiamo ancora vivendo?
R: Pensa un po’, l’unica arma che ho trovato è stata un fiore. Sembra quasi uno scherzo, invece è proprio così. Ho trovato la musica, il desiderio di comunicare, la rinascita e tutto questo mondo che ho costruito e ho definito anche nel dolore e nell’estraniazione che la pandemia mi ha costretto a vivere. Non è stato certo facile, non lo è tutt’ora. Ma credo molto nella quiete dopo la tempesta, credo nei progetti e nel concetto di Kiku, così come nell’arte prettamente giapponese di riparare e ricucire le crepe per creare qualcosa di più bello ancora. Fondamentalmente credo che l’arte sia la risposta che racchiude tutto questo, è l’arte ad essere stata l’ispirazione e la compagna, il mezzo per trovare respiro in un periodo così difficile.
Dal giorno zero in cui ho avuto la possibilità di leggere i tuoi testi, ti ho subito manifestato apprezzamento per una scrittura, secondo me, mai scontata. Quanto è difficile “combinare” la tua scrittura al suono, creando una fusione tra liriche e musica che tenga tutto in un delicato equilibrio? A chi ti sei affidata per trovare questa sinergia, che trovo armoniosa?
Quando scrivo una canzone parto quasi sempre dalle parole o da melodie che mi ruotano in testa, poi scrivo tutto il resto. L’inizio dei miei pezzi è sempre creato dall’unione di chitarra e voce e poi, con il tempo, si è costruita la magia di Kiku, così come è. Anche questo passaggio ha fatto parte della lunga attesa di questo progetto, la ricerca sonora e l’identità, la creazione di un insieme di suoni che fosse mio senza dovermi per forza inscatolare o definire eccessivamente.
In questo c’è da dire però che sono stata molto fortunata e ho potuto collaborare con tre persone incredibili. I miei compagni di viaggio Giorgio, Federico e Niccoló hanno preso questo progetto come fosse loro e se ne sono innamorati nel quotidiano. Hanno lasciato la purezza di ogni cosa e non hanno mai cercato di snaturare niente. Loro sono stati fondamentali e la mia gratitudine per loro è infinita, sono parte integrante di Kiku e sono elementi centrali per La ragazza dello Sputnik.
Un’altra domanda che spesso mi trovo a fare, e che ritengo anch’essa importante è di carattere topografico. Tu sei veneta, una terra che nell’immaginario collettivo (e non solo) è difficilmente immaginabile come palcoscenico per una hit estiva di Takagi e Ketra (per fortuna); quanto ti ha “condizionato” un certo tipo di habitat, di colori, di paesaggi nella scrittura delle tue canzoni?
Amo il posto in cui vivo, amo i suoi scorci e i suoi paesaggi, amo i suoi colori e la sua malinconia che mi pervade spesso durante le stagioni più fredde. Ho un forte legame con la natura ma anche con gli ambienti, i luoghi e gli edifici in generale. Anche se non sono un focus nella mia scrittura sicuramente mi influenzano, sono parte di me e del mio essere e sentire.
Confesso, mea culpa, che questa intervista era programmata alcune settimane fa, ma poi è slittata a oggi. Cosa che mi permette di fare una domanda di “stretta attualità”: Sanremo. Lo hai visto, ha ascoltato le canzoni, c’è qualcosa che ti ha colpito positivamente… e ovviamente qualcosa che invece hai giudicato negativamente?
Ho seguito il festival ma, proprio per la durata alla quale accenni, non sono mai arrivata alla fine, nonostante ciò ho ascoltato e seguito gli artisti e le loro canzoni. Mi ha colpito prima di tutto vedere una parte dei miei ascolti musicali salire su un palco come quello di Sanremo, cosa inaspettata. Tra gli artisti mi sono piaciuti molto Colapesce e Dimartino e La rappresentante di lista (forse sono di parte però). Poi Madame che credo abbia presentato un brano davvero incredibile e sono contenta abbia vinto come miglior testo, lo meritava in assoluto su tutti a parer mio.
Ultima domanda, e poi sei libera, promesso. Per come ti conosco so che Valentina è La ragazza dello Sputnik. Non ci sono scelte discografiche o di mercato, non ci sono compromessi nei testi che scrivi. Ti chiedo quindi quanto è difficile, se lo è, mettersi a nudo nelle proprie canzoni e quanto sia importante farlo anche per esorcizzare certe paure o difficoltà?
Questo è il centro di tutto. Grazie per averlo scovato ed espresso. È difficile a volte, lo è stato per molto tempo. Per anni avrei voluto avere la capacità di farmi scivolare addosso le cose e scrivere testi più disimpegnati, ma questo è proprio il mio modo per esorcizzare, per fare catarsi di tutto, per togliere parole dolci e orpelli a cose che sono crude nella realtà e che così devono essere espresse. Non ci libereremo mai dei nostri mostri se non avremo coraggio di guardarli in ogni loro dettaglio e raccontarci che sono l’insieme di tante piccole cose, proprio come noi.
Foto in copertina di Mattia Bonizzato