Le Endrigo: il femminile plurale di un coraggioso cambio di rotta
Scrivere di qualcosa a cui tieni, qualcosa che ti smuove è molto difficile. Senti di dover utilizzare le parole perfette, rendere sinceramente giustizia a quello che devi raccontare. Allora scrivi, riscrivi, ricominci e senti quella “convinzione di non essere all’altezza”, come cantano i Botanici in Mattone.
Forse però non si tratta di essere all’altezza, ma di poggiare le dita sulla tastiera e lasciarsi trasportare. Questa volta la giustizia, musicale e sociale, la rendo a una band che ha avuto il coraggio di trasformarsi, reinventarsi, camaleontica attraversare una strada difficile ma necessaria: quella dell’ammissione del privilegio. Così oggi vi parlo de Le Endrigo: tre uomini che, con forza e determinazione hanno pubblicato un manifesto che rende visibile un piccolo ma importante cambiamento. Cambia l’articolo che li precede, cambia la consapevolezza che gli appartiene. Le Endrigo riconoscono cosa significa godere di un privilegio nella musica, un ambiente ancora intriso di machismo e sessismo evidenti. Un ambiente in cui essere una donna è ancora un’etichetta riservata a complimenti indesiderati, commenti non voluti e carriere segnate da pregiudizi.
Le Endrigo si schierano dall’altra sponda del torrente: alleati delle loro colleghe donne, alzano la voce e lo fanno partendo da un articolo. Due lettere, un passo enorme. Questa piccola rivoluzione è il prologo del loro nuovo album Le Endrigo, fuori da oggi 16 aprile. Un album che, dopo averlo ascoltato, vi farà riconoscere la materialità del privilegio e la necessità di essere controcorrente, fare proprio quello che vi va.
Abbiamo fatto qualche domanda a Le Endrigo per capire meglio la loro necessaria rivoluzione.
C’è un momento o una riflessione in particolare che vi ha portato a scegliere di far nascere Le Endrigo?
Sì. Circa due anni fa, stavamo iniziando a scrivere il disco e come sempre è il momento in cui resetti un po’ tutto e fai i conti con le luci del palco spente e l’autostrada temporaneamente in stand by. Ci siamo chiesti cosa siamo stati e cosa avremmo voluto essere. Così è nato il testo di “Cose più grandi di te”, una critica ma soprattutto autocritica sulla mascolinità tossica. Non ci è bastato, volevamo portare quel messaggio con noi ovunque, e il nome ci è sembrata la prima cosa che inevitabilmente ci trasciniamo dietro in qualsiasi momento.
La disparità di genere è un fenomeno evidente nel panorama musicale italiano: quale pensate ne sia la forma più evidente?
L’attitudine umana nei confronti delle nostre colleghe ed addette ai lavori è sicuramente la cosa che immediatamente può risuonare familiare a chiunque sia mai stato a un concerto, senza nemmeno addentrarsi troppo nel dietro le quinte. Il nostro è un settore in cui il lato economico è un tasto dolente a livello generico. Quindi magari a livello puramente salariale è più difficile rendersi conto di eventuali disparità essendo tutto molto confuso e poco regolamentato.
Tuttavia basta presenziare ad un live in cui sul palco ci sia un’artista per rendersi conto del tenore dei commenti: anche tra gli addetti ai lavori, tendenzialmente senza nemmeno il coraggio di dirlo alla diretta interessata, le frasi classiche sono “a chi l’ha data/non l’ha data” per trovarsi in una determinata posizione, atteggiamenti predatori, a volte addirittura ricatti. È capitato anche davanti ai nostri occhi e abbiamo voltato lo sguardo altrove. Mai più, questa è una promessa che ci siamo fatti.
Le Endrigo nascono per essere alleate della lotta al machismo. Facendo questa scelta, avete mai pensato che poteste prevaricare sulla voce delle vostre colleghe donne?
Inizialmente poco, poi tantissimo. Siamo partiti in buona fede pensando che fosse un gesto positivo, poi per fortuna ci siamo confrontati con colleghe ed amiche e abbiamo capito che il rischio di togliere spazio era altissimo. Grazie a loro abbiamo capito l’importanza di scatenare un dibattito senza però sostituirsi alla voce di chi davvero prova sulla propria pelle tutto questo, e a breve cominceremo una serie di iniziative concrete per fare in modo che il nostro piccolissimo microfono sia a disposizione delle protagoniste di questa lotta.
Il vostro disco è in uscita il prossimo 16 aprile: la voce de Le Endrigo sarà totalmente diversa o soltanto più consapevole?
Consapevole che era arrivato il momento di fare quello che ci pare, senza paura di deludere i tifosi delle chitarre a tutti i costi o i fobici dei sentimenti. Che siamo stati noi per primi. Quindi anche inevitabilmente diversa, più onesta verso noi stessi e chi avrà voglia di ascoltare.
Nel fare questo passo importante, avete effettivamente riconosciuto di avere un privilegio. Cosa significa per voi privilegio?
Il privilegio sta nel fatto che le frasi e insinuazioni di cui parlavamo prima non ci sono mai state rivolte e probabilmente non accadrà mai. Sta nel poter girovagare ubriachi per un backstage senza paura che qualcuno se ne approfitti, o rientrare alle 3 di notte in albergo passeggiando per le vie di una città sconosciuta. Nel non ricevere proposte assurde per suonare in una determinata situazione, o anche solo nel fatto che quando qualcuno ci giudica per la nostra musica non ci sia alcun riferimento o accento alla nostra sessualità. Siamo consapevoli che non basta un cambio nome per rinunciare a questi privilegi, ma vogliamo che ci sia sempre più dibattito sulla loro esistenza, e provare ad opporci quando succede davanti ai nostri occhi.
Questo cambiamento non ha lasciato indifferente nessuno/a ma, come per ogni elemento disturbante, c’è chi è d’accordo e chi non lo è per niente. Come spieghereste la necessità di questa vostra scelta a chi crede che non ce ne sia bisogno?
Il fatto che delle persone si siano sentite infastidite da questo gesto dimostra che un tasto dolente da toccare c’è. Abbiamo molto apprezzato le critiche costruttive, fatto lunghi dibattiti in privato con chi si è detto in disaccordo. Ad esempio, la frase sul “rinunciare ai nostri privilegi”, per quanto volutamente esagerata, è una cosa che potevamo assolutamente esporre meglio e siamo grati a chi ce l’ha fatto notare. O ancora, i timori giustificati di mansplaining, a cui speriamo di poter rispondere presto con le collaborazioni che accennavamo prima. Poi c’è sempre chi sceglie di gettare il commento sprezzante da social che poi spesso non vuole o probabilmente non è in grado di argomentare: in quel caso invece dispiace e fa anche male perché non è il nostro modo di ragionare ed è davvero difficile capire cosa passa nella testa di un estraneo che decide di insultarti.
Noi ringraziamo chi come voi ci dà spazio per aggiungere dettagli, sfumature e chiarire alcuni punti meno chiari del manifesto che abbiamo scritto, che in quanto tale non potrà mai essere esaustivo o privo di difetti – dato che comunque viene da noi tre coglioni, seppur frutto del confronto con diverse persone vicine. Ci piace pensare sia un manifesto vivente, correggibile, che evolve e cresce con noi grazie a chi incontriamo. Adesso non vediamo l’ora di lasciare che a parlare sia il palco. Che non significa solo musica, anzi.
Virginia Ciambriello
24 anni, nella vita mi perdo tra le strade di Bologna e scrivo tutto il giorno. "Chitarra e voce" sono le mie parole preferite.