Sappiamo che non è un buon periodo per intraprendere viaggi, ma venerdì 9 ottobre è uscito imperterrito e in barba a ogni DPCM “Astronave“, il primissimo disco di Matteo Alieno pubblicato per Honiro Rookies.
L’astronave è un mezzo di trasporto invisibile capace di viaggiare tra le epoche e tra le contaminazioni musicali, che racconta l’universo esterno ed interno dell’autore attraverso undici luoghi di passaggio – le canzoni – percorsi insieme al suo equipaggio, i musicisti che hanno suonato con lui nel disco.
Matteo è un ragazzo semplice che, con il suo caschetto alla Johnny Ramone, vuole farsi largo a muso duro nel modo dei grandi e, con il suo primo lavoro in studio, anche nel difficile universo dell’industria musicale italiana. Matteo lo fa con imprevedibile ingenuità grazie i suoi testi leggeri, lievi al punto da vederli volare, non tanto quanto un’astronave, ma come una goffa mongolfiera che attraversa un cielo carico di nuvole.
La metafora racconta sia l’universo poetico di Matteo, che si dipinge come un ragazzo tra le nuvole che perde il portafogli e dimentica le chiavi di casa, sia la trama la di un romanzo di formazione in cui un ipotetico Matteo/giovane Holden deve affrontare una serie di sfortunati eventi prima di capire che il mondo è crudele, e la vita difficile se non la si affronta con gli strumenti adatti.
Il disco spazia tra diversi generi, a volte ricorda il primo Lucio Corsi, altre il Jovanotti di Buonsangue. Spesso manca di personalità e finisce per risultare disomogeneo e poco incisivo, qualità che può maturare con il tempo, con il duro lavoro e con molta pazienza. A questo punto lasciamo la parola a Matteo che abbiamo intervistato in occasione delle prime due settimane di esplorazione in orbita della sua navicella spaziale.
Ciao Matteo, vogliamo iniziare parlando dei testi delle tue canzoni: che rapporto hai con la parola?
Ciao, molto piacere. Nelle mie canzoni la parola ha un ruolo centrale ogni volta che scrivo. Anche se scrivo di getto, penso sempre a cosa vorrei dire o a cosa sto dicendo. Riflettendoci bene (anche se non pensavo che lo avrei mai detto, ahah) credo che il liceo classico, soprattutto lo studio del latino e del greco, abbia influenzato molto l’ossessione che ho per la scelta delle parole. Sono sempre molto attento al significato, alla funzione che hanno in base al contesto.
I tuoi testi sembrano molto “colloquiali”, preferisci il rapporto diretto del dialogo oppure passare attraverso la scrittura in forma di messaggio, lettera, graffito ecc.?
In generale preferisco sempre il dialogo diretto, soprattutto se devo dire una cosa importante. Credo sia il modo più naturale per comunicare. Spesso, utilizzando la scrittura, i tempi del discorso cambiano e di conseguenza il linguaggio perde verità e immediatezza, soprattutto perché il dialogo “faccia a faccia” è colorato da sguardi e reazioni umane. Alla fine dei conti però, la scrittura risulta più evocativa del dialogo diretto e in alcune situazioni può essere una soluzione più opportuna, forse.
Domanda classicone: cosa ti ha spinto a scrivere un disco come Astronave?
Senza dubbio la ricerca, costante e ossessiva dentro di me e concentrata anche sulla mia posizione nel mondo. Mi sono sempre sentito fuori posto e probabilmente, a poco a poco, questo mio punto di vista mi ha portato a scrivere il disco. Ho scelto il titolo “Astronave” dopo aver scritto i brani, mi serviva dare una direzione a quelle canzoni, e ho pensato che il miglior modo per dargliela era metterle a bordo di una navicella spaziale e far decidere a chi le ascolta la rotta da seguire.
Sappiamo che sei un polistrumentista, ti senti più a tuo agio nei panni del musicista o del cantautore?
Onestamente mi sento in imbarazzo in tutte e due i ruoli, mi sento giovane e ho tanto da imparare e tanto da cambiare, ma sicuramente mi sento meno a disagio nei panni del cantautore. Suono molti strumenti, ma li suono abbastanza male e non mi sento di essere un musicista molto affidabile, suono con il mio gusto e ho approfondito lo studio di alcuni strumenti da autodidatta, principalmente per comporre e produrre nel mio studio. Scrivere e cantare le canzoni alla fine è quello che faccio, forse i panni del cantautore sono meno scomodi da indossare, ecco.
Ti sei divertito a produrre un disco che spazia tra diversi generi musicali, hai uno stile che preferisci oppure ti piace sperimentare?
Mi sono divertito davvero tanto a spaziare tra diversi generi, soprattutto perché l’ho fatto insieme a un equipaggio di amici musicisti che hanno suonato dentro “l’Astronave”. Senza di loro non mi sarei sicuramente divertito così tanto, e le atmosfere del disco sarebbero risultate solitarie. Per quanto riguarda lo stile non ne ho mai amato uno in particolare. I dischi che maggiormente ho apprezzato finora sono variegati e di conseguenza ho sempre avuto uno sguardo rivolto alla sperimentazione, che è un po’ lo specchio della ricerca su me stesso al di là della musica, credo.
Qual è il brano di “Astronave” che ti diverte suonare di più e perché.
Dovrei rispondere dopo aver portato in giro il disco, la mia scelta verrebbe probabilmente influenzata dal live. Però credo sia “Niente”. È un pezzo nato per divertimento, lo canto come se fossi un surf rocker degli anni ’60, questa atmosfera la percepisco ancora mentre lo suono in studio e mi diverte da morire.
È difficile raccontare il tuo primo disco durante un momento in cui viene a mancare, se non completamente almeno in parte, la sfera del live?
È molto difficile raccontare un disco senza suonarlo, soprattutto in questo caso in cui il disco è interamente suonato da musicisti e strumenti “veri”. “Astronave” è stato prodotto prima del covid con la voglia di portarlo live, e il mondo digitale non è il suo habitat naturale, ma quando sarà il momento sono sicuro che un giro tra la gente ce lo faremo.
Per finire raccontaci di te, della tua musica e del tuo primo album da solista, attraverso cinque “oggetti” che fanno parte dell’immaginario di Astronave.
Ok, ci sto ahah.
L’ascensore: potrebbe corrispondere alla mia crescita, alla vita che piano piano sale/scende, dipende dal punto di vista.
Le chiavi di casa: potrebbero servire per aprire le porte una volta uscito dall’ascensore, per questo non devo mai dimenticarle, potrebbero corrispondere alle cose imparate e che non devo scordare.
Il mondo dei grandi: è il mondo davanti a me, come se dovessi entrarci a breve, ma mi spaventa e con la musica provo a rimanere piccolo.
Il baratto: è appunto lo scambio che avviene quando si dà e si riceve qualcosa in cambio (pratica secondo me ancora alla radice di tutto), nel mio caso quando suono in cambio ricevo comprensione/incomprensione.
L’Astronave: il mezzo che mi ha portato qui e non so dove mi porterà, è la mia casa, sempre ferma nel suo costante movimento.