Michelangelo Vood è un cantautore originario di Rionero in Vulture. Non a caso, “Rio Nero” è anche il titolo del suo Ep d’esordio. Un titolo che rimanda anche all’immagine di un fiume nero, un fiume denso di malinconie difficili da dissipare. Una soluzione? La musica. E così in sei brani, Michelangelo Vood ci racconta in modo catartico un intreccio di ricordi, paure, distanze. Non mancano riflessioni sulla natura, richiami all’arte e riferimenti agli algoritmi che sempre più intercettano le nostre giornate.
“Rio nero” è il titolo del tuo nuovo album ma anche la tua città d’origine e il fiume di emozioni che attraversano i tuoi brani. Questo titolo piuttosto scuro è collegato anche a una certa malinconia che traspare dai tuoi testi?
Direi di sì. Come dicevi giustamente il titolo gioca su più livelli. Rionero (in Vulture) è la città dove sono nato e cresciuto. Un piccolo paese della Basilicata lontano dal caos e dai ritmi frenetici di Milano ad esempio, dove vivo da diversi anni. In queste canzoni c’è tanto della mia terra e mi andava di ringraziarla platealmente nel titolo. Però ho voluto scrivere il nome del paese staccato, per accentuare la sua etimologia latina, che sta proprio per “fiume nero”. È il fiume di malinconica che provo a sputare fuori con queste 6 canzoni, superare alcuni ricordi, lasciarli andar via per sentirmi più leggero. Come sempre la musica riesce ad essere una grande medicina per me.
Il tuo brano “Van Gogh” racchiude arte contemporanea, romanzi beat e un po’ di Vasco Rossi. Com’è andato il processo di stesura di questo testo?
È nato durante una session in studio. Buttai giù delle parole di getto, che raccontavano di un rapporto non proprio pacifico tra due persone. Quel foglietto rimase lì finché una notte decisi di continuare quel brano. Mi sono lasciato ispirare dal cielo limpido che vedevo fuori dalla mia finestra. Era una notte d’estate e si vedevano tutte le stelle, c’era la luna piena. Mi ha ricordato subito la notte stellata di Van Gogh, ho pensato potesse essere una bella similitudine. Mi piace molto l’arte. È una passione che mi ha trasmesso mia mamma, forse anche attraverso il nome che ha scelto per me.
In Van Gogh dico che talvolta basterebbe alzare lo sguardo, perdersi nell’infinita bellezza della natura per comprendere quanto siano futili alcuni problemi che sul momento ci sembrano insormontabili, specialmente in un rapporto di coppia.
“Ruggine” ricopre vari ricordi. Ci racconti un momento in particolare a cui ti sei ispirato per comporre questo brano?
C’è molta rabbia in “Ruggine”. Nasce in un momento delicato della mia vita perché la scrissi durante una notte molto complicata. Non prendevo sonno e stavo avendo una crisi, dovuta probabilmente allo shock del cambio vita che avevo affrontato trasferendomi a Milano dalla Basilicata. Vivevo fuori da più di un anno ormai e avevo totalmente abbandonato la musica. Quella sera in preda chissà a cosa ripresi la chitarra in mano e solo così mi calmai. Capii allora che persino il mio corpo mi stava dicendo che senza musica non sarei andato da nessuna parte, che ne avevo un bisogno fisiologico prima che spirituale. Da quel momento in poi rimisi tutto in discussione, cambiai lavoro e iniziai a lavorare al mio progetto artistico.
Ma davvero vorresti un algoritmo nel petto?
Ahahah non saprei, a volte ti direi di sì. Mi affascina molto il concetto di “algoritmo”, che è entrato prepotentemente nelle nostre vite negli ultimi anni, con l’avvento definitivo dei social. Sono nato nei primi anni ’90 e credo che la mia generazione sia esattamente lo spartiacque tra un prima e un dopo, ovviamente digitale. Da un lato ci affascina il progresso tecnologico, ma allo stesso tempo conserviamo quella sensibilità e anche quel velo di diffidenza figlia dell’epoca precedente. Mi sono detto “cazzo ormai ci sono algoritmi per qualsiasi cosa, tra 100 anni magari ci sposeremo coi computer ma ancora nessuno ha trovato un modo per ridarci chi non abbiamo più”. Sarebbe incredibile programmare il nostro cuore come un pc, per fare in modo che non ci permetta di commettere quegli errori che ci hanno allontanato da chi amiamo.