Quando ho scoperto Mudimbi non sapevo quasi niente di lui. Il nome non mi era nuovo, ma la sua musica sì. Facendo delle ricerche ho scoperto che: assomiglia a Stromae, ha partecipato al Festival di Sanremo e che proviene dalle Marche. Di origini italo-congolesi, Mudimbi è uno degli artisti più assurdi che potreste ascoltare. Quella di Sanremo era una delle sue prime esperienze da adulti: solo l’anno prima era uscito il suo primo disco Michel.
Lo scorso 6 novembre è uscito il suo nuovo album Miguel, un progetto ambizioso quanto curioso.
Il disco è stato registrato interamente senza musica, ma solo con la voce ed è stato prodotto interamente lui. Così facendo ha avuto qualcosa che non tutti gli artisti di oggi hanno la fortuna di avere: la libertà. La libertà di fare di testa propria, di credere fortemente a un progetto e di farlo conoscere al pubblico così com’è, senza compromessi.
Non dirmi che non ci hai pensato mai/ Mai dire ti amo quando non lo sai/ Ti aspetto come un cane quando vai/ Cuori bucati come formicai
Nel panorama italiano non è la prima volta che sentiamo qualcosa del genere (un esempio sono i Neri per Caso), ma non come Mudimbi. Le sue canzoni sembrano filastrocche vietate ai minori di diciotto anni. Ogni volta che sento un suo brano sembra di guardare una puntata di Grattachecca & Fichetto. Alcuni suoi testi al primo ascolto appaiono antipatici e misogini, ma, come lui stesso ci ha raccontato, “è difficile far capire all’ascoltatore cosa c’è dietro quelle parole”.
Sarà che i brani li ha scritti lui, ma quando si ascoltano le canzoni di Mudimbi si percepisce la passione e la tenacia che l’artista ci mette. Quando è sul palco è come se stesse recitando un monologo: se non avete visto nessun live, andate su You Tube e guardate la sua esibizione a Sanremo.
Se volete saperne di più, qualche giorno fa gli ho fatto qualche domanda: ecco cosa mi ha raccontato.
Ciao Mudimbi! Ho ascoltato Miguel ed è uno degli album più assurdi e particolari che abbia ascoltato negli ultimi anni. Come ti è venuta l’idea di creare un album senza strumenti musicali?
Ho dovuto fare musica con quello che avevo, perché avevo deciso di volerla fare assolutamente da solo, almeno in un primo momento, in modo da riuscire a rispecchiare le mie idee con la più totale onestà, senza influenze di sorta. In realtà, non avendo mai imparato a fare musica con niente se non con la mia voce, è stata una scelta davvero obbligata: o quella o niente.
Parliamo del brano Ballo. Dal punto di vista testuale è quello che ci ha colpito di più. Con un testo del genere potresti apparire maschilista e potresti attirare l’attenzione di molte femministe. La scelta di un testo così schietto è frutto di una tua esperienza personale o hai semplicemente voluto mettere nero su bianco il classico cliché del rapper maschilista?
Ti confido, questo non so se l’ho mai detto in un’intervista, che la frase di apertura di Ballo, che credo sia la più sessista che io abbia mai scritto in vita mia, è una citazione testuale di una frase che sentì rivolgere da una ragazza ad un’altra quando avevo circa 25 anni. Il punto è che, chi ascolta, queste cose non può saperle ed io di certo non posso stampare un foglietto delle istruzioni per interpretare tutto ciò che scrivo. Va da se che c’è chi si offende o si sente chiamato in causa, ma io mi limito solo a raccontare storie spesso e volentieri, senza realmente schierarmi, è l’ascoltatore a fare tutto il resto.
Il brano N°1 si può riassumere nella famosa frase: “è intelligente ma non si applica”. Oggi per diventare qualcuno bisogna avere gli attributi giusti. Quale consiglio daresti a chi vuole emergere oggi?
Non ho consigli da dare a nessuno e, visto ciò che dico nella canzone, credo di essere una delle persone mendo indicate su questo pianeta a cui chiedere consigli su come diventare il N°1.
Rispetto al tuo album precedente, Miguel è un album più sperimentale. Tra i due progetti, quale rispecchia di più la tua idea di fare musica?
Miguel rappresenta la mia idea attuale di fare musica. È molto probabile che al prossimo disco Miguel si discosti da me. Così come Michel rappresenta una parte abbastanza nutrita di quella che negli anni è stata la mia idea, anzi le mie idee, di fare musica.
Tra le otto canzoni, quella più intima è Parlami in cui parli delle tue paure nei confronti dell’amore. È questa tua “fobia” che ti fa sembrare quasi maschilista nei tuoi testi?
No, è il fatto che viviamo in una società patriarcale, maschilista, sessista, razzista, omofoba, e la lista e lunga, ed io mi rendo conto che non sia così automatico per l’ascoltatore occasionale fermarsi e chiedersi “Ma questa cosa la sta dicendo perché la pensa o perché la vuole sottolineare?”. Mi rincuora, fortunatamente, sapere che quasi la metà della mia fan base è composta da donne, ragazze e ragazzine che a questa domanda hanno saputo rispondere da sole.
Hai partecipato a Sanremo 2018 nella categoria “Nuove proposte”. Se tornassi indietro, lo rifaresti?
Se tornassi in dietro sì, rifarei quel Sanremo del 2018. Un altro, per ora, no. Ma quel Sanremo per me è stato come andare sulle montagne russe, è stato tutto superlativo. Mi svegliavo sempre di buon umore anche se, ricordo, ero decisamente malaticcio nei giorni precedenti la diretta. Avevo davvero la sensazione di stare facendo qualcosa di bello, e infatti così è stato.
Una canzone che avresti voluto scrivere tu?
Non ci ho mai pensato sai, ma ora che mi ci fai riflettere non credo ce ne siano. Penso che ci siano pietre miliari della musica oggettivamente e soggettivamente e potrei farti una lista bella nutrita, ma una bella canzone non sarà mai come una canzone partorita da te. Esattamente come un figlio. E non credo che a qualche genitore sia mai passato per la testa, guardando un ragazzino, dire “Mh, avrei voluto partorirlo io…”. Suonerebbe un po’ strano.
Lucrezia Costantino
Sono una scettica nata e cresciuta in Puglia, milanese d'adozione. Nella mia borsa non mancano mai gli auricolari e le chewing gum. Amo il cinema, i tramonti al mare e i dolci.