Nicolaj Serjotti, da Milano 7 alla West Coast, tra hip-hop ed elettronica
Se c’è una scena italiana profondamente innovativa e aperta alle sonorità internazionali, è quella di cui fa parte Nicolaj Serjotti. Il rapper della provincia di Milano, dopo alcuni singoli decisamente intriganti e ricchi di potenza espressiva è finalmente giunto al disco d’esordio, Milano 7, che fin dal titolo conferma la paradossale centralità della provincia come area di aggregazione creativa. È lì che lui e il suo team riescono a lavorare duramente e ad emergere per dare concretezza ai propri sogni.
Da Generic Animal ai 72-HOUR POST FIGHT, sono diversi i partner artistici di Nicolaj, con i quali dà vita a suoni strettamente rap, con batterie squantizzate e strofe ricche di incastri.
Non mancano i momenti in cui ci si abbandona a melodie e atmosfere più leggere su tappeti che si tingono di sfumature elettroniche. L’innesto perfetto fra tecnicismi e assonanze si traduce in una scrittura fluida che però, a tratti, dimostra una straordinaria capacità di cambiare passo e trasformarsi in sperimentazione, grazie all’utilizzo di schemi metrici inusuali e pattern ritmici innovativi. In particolare il gruppo post-jazz è qui rappresentato da Fight Pausa alla produzione del disco, condivisa con Wuf, giovane beatmaker proveniente dal mondo del lo-fi.
Nicolaj Serjotti affina le taglienti lame della propria arte retorica per affrontare il vissuto quotidiano con un realismo alla Jonathan Franzen, l’ironia di un David Foster Wallace, la dimensione surreale di Charlie Kaufman. A colpire nel segno sono le metafore ironiche di Tetrapak o le iperboli di Senza fiato, due tracce in cui l’artista affronta le difficoltà di una relazione e il disagio nel comunicare i propri sentimenti.
I titoli dei pezzi sono secchi, fulminei, capaci di inquadrare immediatamente il senso di uno stato interiore che però è sempre il riflesso di una situazione tangibile.
E così Mostri affronta la dicotomia fra la tentazione di affrontare il buio e le immagini cupe della nostra intimità, mentre un brano come Mitra descrive in modo diretto e a tratti brutale un romantico senso di impotenza per il tempo che passa e le relazioni che si sfaldano. Insomma, l’album propone un musicista dalle infinite sfaccettature, che non rinnega le proprie influenze e le rimescola per dare forma a un sound personale e ottimamente in bilico fra pop ed elettronica sperimentale, senza dimenticare la matrice profondamente west coast hip-hop da cui proviene.
Per scoprire qualcosa in più ci siamo fatti raccontare da Nicolaj Serjotti alcuni curiosi aneddoti, necessari per comprendere fino in fondo il concept su cui si fonda l’intero lavoro.
Partiamo ripercorrendo il tuo percorso: cosa ti ha portato a decidere di esprimerti con la musica? Quali esperienze ti hanno segnato in tal senso?
Credo sia stata la conseguenza di una serie di scelte inconsapevoli e istintive, più che una vera e propria decisione. Mi è sempre piaciuto scrivere e quando intorno ai tredici anni ho scoperto il rap mi ha da subito affascinato, sia a livello di suono sia perché offre questa bellissima possibilità di sintetizzare in poche parole incisive dei pensieri complessi, a volte confusi.
Quindi mi ci sono tuffato senza pensarci troppo: ho ascoltato di tutto, ho studiato e ho cominciato a scrivere, e senza saperlo a ricercare una poetica e un’identità che potessero essere davvero mie. Sicuramente mi ha segnato crescere in un ambiente in cui tutti avevano una passione per il genere, sono sempre stato circondato da tanta creatività e questo mi ha aiutato a crescere a livello artistico.
Quali sono state le tue principali influenze sonore?
Fa un po’ ridere dirlo, ma la mia influenza sonora forse è il 2015. Quell’anno sono usciti molti dischi bellissimi che non hanno mai smesso di farmi sognare, come To Pimp a Butterfly, I Don’t Like Shit, I Don’t Go Outside, Summertime ’06, So the Flies Don’t Come, Cherry Bomb. E chiudo qui la lista ma potrei andare avanti. Negli anni comunque ho avute molte influenze, tutto quello che ascolti in un modo o nell’altro ti resta secondo me, però ho sempre cercato di crearmi una dimensione personale che non potesse essere collegata a un riferimento specifico.
Ora che sei arrivato al disco d’esordio, riesci a percepire che sia avvenuta una maturazione di temi e di attitudine nel corso del tempo?
Assolutamente sì, e penso di essere cresciuto molto proprio durante il periodo in cui abbiamo lavorato a Milano 7. Mi rendo conto di avere più consapevolezza sia a livello di gusto musicale sia a livello di scrittura, rispetto a qualche anno fa. So cosa mi piace e dove voglio andare. So di cosa parlare, dentro quali schemi cercare delle immagini per esprimermi e come sperimentare soluzioni diverse. Molti parlano di uscire dalla propria comfort zone come di un obiettivo, penso che per me lo scopo sia invece quello di allargarla lentamente facendovi rientrare elementi nuovi.
Scrivi sempre in maniera estremamente personale ma allo stesso tempo generazionale: hai la consapevolezza che le immagini da te usate possano rappresentare momenti tipici della vita di molti ragazzi di oggi o segui maggiormente un flusso di coscienza?
Mi piace raccontarmi e cerco di scrivere di me basandomi sulle mie esperienze, ma naturalmente mi fa piacere che qualcuno si possa sentire rappresentato da quello che dico. Nelle mie canzoni cerco di valorizzare degli aspetti della quotidianità che spesso passano inosservati.
Mostri ad esempio parla di negatività e rapporto con la propria intimità: quanto è importante per te parlarne per esorcizzare determinate emozioni?
Scrivere per necessità è un qualcosa di magico, e ogni tanto capita anche a me. Ad essere sincero però, in generale tendo a scrivere più per capirmi, per confrontarmi con la mia nuvola di idee e pensieri cercando di fare il punto della situazione. E questo è sicuramente importante per me, è un modo per riordinarmi. Poi altre volte scrivo per noia, a volte per divertirmi, a volte perché non voglio perdere tempo. Alla fine la verità è che la maggior parte delle volte uno scrive, e non sa bene perché stia scrivendo.
Ottobre parla di aspettative e rimpianti: ti capita di fare spesso i conti con una costante insoddisfazione?
Non direi costante. A volte capita che mi svegli pensando che vorrei di più, trasversalmente, però credo che sia un’attitudine generale più che una concreta insoddisfazione. Credo che avrei esattamente gli stessi pensieri se avessi il di più che desidero in questo momento, sarebbe il di più stesso a essere diverso. In ogni caso, il bello dell’insoddisfazione è che se si riesce a sfruttarla a proprio favore può dare una grande spinta.
Quanto spazio riveste nel tuo immaginario la cultura pop da cui siamo circondati? Mi sembra tu riesca a trarre ispirazione con facilità anche da questi dettagli, come nel caso di Tetrapak.
Mi muovo sempre in base a quello che mi piace, più che in base a cos’è pop e a cosa non lo è. Ci sono cose che apprezzo e cose che non fanno per me sia nella cultura pop sia nelle varie nicchie su cui mi affaccio. Ascolto Mach-Hommy e Charli XCX, guardo Roy Andersson e Christopher Nolan, cerco di seguire il mio gusto.
Le relazioni fanno spesso capolino, le delusioni ad esse legate sono per te una spinta per la nascita di nuove canzoni?
In realtà la maggior parte delle delusioni che ho le conosco solo io, perché nascono e muoiono nella mia testa. Spesso mi focalizzo su dettagli e magari per un giorno intero non penso ad altro, catastrofizzo. E da lì traggo ispirazione, poi mi passa.
Come hai lavorato in fase di produzione con Fight Pausa e Wuf? Come vi siete approcciati alla scelta del sound? È molto internazionale e a tratti sperimentale.
Abbiamo lavorato insieme su ogni dettaglio, è stato un continuo ping-pong tra gli Ableton di Fight Pausa e Wuf. Ci abbiamo messo un po’ per inquadrare bene in che direzione muoverci e come trovare un suono che potesse rispecchiare i gusti e le particolarità di ognuno, ma una volta trovato l’equilibrio è stato tutto molto naturale. A mio avviso uno dei punti di forza del disco è che i due sono riusciti a comporre dei pattern di batteria unici con approcci quasi opposti, e questa contrapposizione tra pieno e vuoto è un valore aggiunto alle sonorità dei vari brani. Hanno creato delle atmosfere ibride che riescono a dare luce a tutte le sfaccettature dell’identità di Milano 7. Posso dirlo che sono i miei produttori preferiti?
Anche le scelte visive non sono scontate. Che importanza rivestono per te visual e artwork? Parlaci un po’ del tuo team creativo.
Per me sono fondamentali, di solito se non mi piace la copertina di un disco non riesco ad ascoltarlo. Ho sviluppato l’immaginario del progetto con Filippo Elgorni, Riccardo Orsini e Christian Kondic, che sono miei amici da anni. Filippo e Riccardo si occupano dei video, Christian delle foto. Per il disco abbiamo girato una trilogia di video in verticale, e devo dire che riguardandola sono molto soddisfatto. C’è sempre un elemento di ricerca e di dialogo dietro ad ogni step, e la maggior parte delle volte ci vengono idee assurde che poi in un modo o nell’altro realizziamo.
Siamo andati in Croazia, in Svizzera e in giro per tutta l’Italia, abbiamo girato un video in autostrada e uno dentro un lago. Ogni volta è un’avventura. Per quanto riguarda le grafiche, sono tutte di Alice Zani. Le ho scritto a fine febbraio perché mi piacevano molto i suoi lavori, proponendole l’idea di curare l’aspetto grafico del disco, e lei ha da subito inquadrato la direzione del progetto arricchendola con una nuova dimensione visiva.
Inoltre hai un ottimo rapporto con Generic Animal, confermato dalle numerose collaborazioni degli ultimi tempi: cosa ti piace di più di lui, umanamente e artisticamente?
Artisticamente direi il modo diretto e sincero che ha di dire le cose. Anche umanamente, pensandoci. Riesce sempre a trasmettere tanto con una semplicità disarmante. È un onore averlo sul disco.
Nonostante il momento assai delicato e particolare, cosa ci dobbiamo attendere dal tuo futuro? Come promuoverai questo disco?
Sicuramente arriverà tanta altra musica, siamo sempre attivi. Per quanto riguarda Milano 7 invece, se ci sarà la possibilità di portare il progetto dal vivo lo farò volentieri. Per il resto celebrerò l’uscita virtualmente, con vari dj set e una live session. Oltre a questo, si vedrà.
Di Filippo Duò
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foto di Christian Kondic
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