Il levante è un vento fresco e umido, portatore di nebbia e precipitazioni. Levante, invece, dipana la sua e le nostre nebbie con un inno alla vita dalla rara potenza. Verde come la copertina del suo nuovo album, Opera Futura, e piumato come il cigno che, nella foto di copertina, Levante tiene in grembo. Quel grembo di madre, ma anzitutto di donna, capace di affrontare temi, se non nuovi, mai invecchiati per davvero. E di farlo in una maniera fisica, quasi viscerale. C’è il buio esistenziale, ma anche la luce. L’amore vissuto e gli amori finiti. Come le prime tre note che aprono il disco (il brano è Invincibile) e che sembrano esattamente speculari alle tre note con cui inizia Fino a farci scomparire di Diodato, cantautore cui Claudia Lagona – questo il vero nome di Levante – è stata legata in passato.
Ma spazio anche alla politica e alla commistione di linguaggi. Quello letterario – Levante è anche scrittrice. E quello cinematografico – ha curato la colonna sonora del recente esordio alla regia di Pilar Fogliati nel film Romantiche. Insomma, di tutto un po’. E di tutto un po’ abbiamo parlato anche con lei.
Inizierei dal disco. C’è molto corpo in questo lavoro: l’ascolto, già di per sé atto fisico, diventa ancora più fisico con versi come “La gioia del mio corpo è un atto magico” oppure “Le mie lacrime le hai bevute”. In che misura questa fisicità è stata altrettanto centrale nella composizione?
Dentro i brani qualcosa di estremamente fisico c’è ed è innegabile. Non a caso mi piace considerare Opera Futura un po’ come l’allegro chirurgo delle emozioni. Ma la logica deduzione per cui i sentimenti, in questo disco, hanno trovato un proprio posto nel corpo è arrivata in un secondo momento rispetto alla composizione. Perché fortunatamente, quando lavoro ad un nuovo album, non ho mai la smania di intraprendere una vera e propria direzione.
Lascio volentieri che l’istinto mi porti dove capita. E devo dire che il mio istinto non sbaglia mai: rispetto al percorso che ho fatto tutto ritorna sempre, tutto ha un senso. Ma me ne rendo conto soltanto a lavoro finito. È come il gioco di unire i punti sulla settimana enigmistica: il disegno finale non è il punto di partenza, dunque la logica di quei puntini la scopri soltanto dopo.
Dai disegni ai colori è un attimo. Quale percorso ti ha portata dalla copertina rosso passione di “Magmamemoria” a quella verde speranza di “Opera Futura”? E, soprattutto, che ruolo hanno i colori nel tuo mondo musicale?
Ecco, forse una delle poche certezze che ho mentre porto avanti un lavoro riguarda proprio i colori. In Magmamemoria imperava il rosso perché sapevo che avrei affrontato in qualche modo la nostalgia, i ricordi di passioni lontane. Ero in un momento in cui facevo i conti con la memoria in maniera molto prepotente, più di altre volte e di altri periodi della mia vita. Ad Opera Futura invece ho iniziato a lavorarci nel marzo 2020, un periodo in cui avevo bisogno di aggrapparmi alla speranza.
Una necessità che avevamo un po’ tutti quanti: si trattava di affrontare la dura situazione della pandemia senza lasciarsene travolgere e ognuno di noi ha cercato rifugio in qualcosa. Io, come al solito, l’ho trovato nella musica. Non è un caso che il libro che ho scritto nello stesso periodo, poi uscito nel giugno 2021, abbia anch’esso la copertina verde. C’è una forte linea cromatica, in tutte le mie forme di arte.
Il 2020 è stato l’anno del Covid ma anche del tuo primo Sanremo con “Tikibombom”. Quest’anno, tornata sul palco dell’Ariston con “Vivo”, hai scelto di accostare a questo brano, durante la serata delle cover, “Vivere” di Vasco Rossi.
Scelta magica, direi. Entrambe le canzoni serbano il racconto di una depressione o comunque di un buio: disegnano fra le note proprio la profondità di questo buio. Ma il messaggio di speranza non manca, in nessuna delle due. “Vivere anche se sei morto dentro” e “Vivere è come un comandamento” sono i due versi della canzone di Vasco che ben riflettono questa sorta di dualismo, presente poi anche nel mio brano. Portare sul palco di Sanremo due canzoni accomunate da una storia simile è stato un privilegio. Ho avuto anche il piacere di ricevere il benestare dello stesso Vasco e questo mi ha riempito di gioia ed orgoglio.
Sorge spontanea una domanda: inciderai questa cover?
Mi piacerebbe moltissimo. Ci abbiamo pensato e sarebbe un bel regalo anche per i fan. Insomma, è una cosa che vorrei fare, anche se in questo periodo non mi sono mai fermata e non c’è stato né tempo né modo di realizzarla. Secondo me accadrà, intanto sicuramente la canterò dal vivo.
Parlando degli altri brani contenuti nell’album, “Metro” è per tua stessa ammissione il sequel di “Ciao per sempre”, incisa nel 2015. Due canzoni diverse ma unite dalla stessa storia.
Sì, esatto. Sette anni fa mi ero lasciata ispirare dalla vicenda di un’amica, mescolandola chiaramente anche alle mie stesse esperienze. È la storia di un addio, ma di un addio capace di dirsi tutto il bene, di portarlo con sé lungo due strade che si separano. Con Metro quest’addio positivo giunge infine alla sua ideale conferma. Ritrovarsi per caso dopo anni e sorridersi, nonostante l’amarezza di essersi lasciati, rende quel per sempre applicabile anche al ricordo di un bene. Il sentimento è qualcosa che ci riguarda intimamente e che, anche se la persona verso cui lo proviamo non fa più parte della nostra vita, ci riguarderà sempre, dilatandosi all’infinito.
Dopo l’amore, la politica. Con “Fa male qui” e “Capitale, mio capitale” tocchi un tema inedito per il tuo repertorio. E recentemente ti sei anche schierata in favore di Elly Schlein alla segreteria del Pd.
L’emergere di nuove leve mi rende speranzosa. Vedi, appunto, alla voce Elly Schlein. Sono molto contenta per questa donna, che sta portando avanti una visione molto bella di futuro. Speriamo le diano la possibilità di lavorare nel modo in cui desidera. Quest’emergere di donne, sia a destra che a sinistra, è un bel segnale, al di là di quale che sia il nostro orientamento politico. D’altra parte sono un po’ sconfortata: mi sembra che oggi manchi l’umanità, trasversalmente. Sono davvero convinta che, al di là del nostro voto personale, sopra ogni cosa ci debba stare il bene comune. Tradotto: non dobbiamo dimenticare di essere creature umane.
Quello che è accaduto recentemente a Cutro, per esempio, ha mostrato una faccia del nostro Paese davvero tremenda. Non possiamo rimanere indifferenti rispetto all’esigenza di attuare politiche migratorie serie. Un’esigenza spesso sostituita da una forte risolutezza in negativo, per la quale c’è l’abitudine a privilegiare i princìpi anziché le persone. E questa tendenza purtroppo è ancora fortemente radicata. La prima cosa che si deve fare in un Paese civile è essere umani. E l’essere umano è per sua stessa natura sociale ed accogliente. Non è retorica, non è buonismo: è la realtà, o almeno dovrebbe esserlo.
Le tue parole, piene zeppe di speranza ma che partono da un’attualità intrisa di disperazione, mi riportano alla mente “L’anno che verrà” di Lucio Dalla. Dalla che, fra il resto, è ben presente nelle tracce del tuo nuovo disco. Non solo in “Alma Futura”, canzone che porta il nome di tua figlia, ma anche nel balla ballerina di “Leggera”.
Sì. Lucio Dalla è un po’ il mio spirito guida: un gigantesco poeta in musica, forse uno dei miei preferiti in assoluto. Riesco ad accostarlo solamente a Franco Battiato, che gode del mio favore anche per una sorta di sano campanilismo (Claudia è siciliana, ndr). Lucio Dalla per me è riuscito a coniugare le grandi altezze del contenuto che voleva esprimere alla grande semplicità con cui riusciva a farlo. Uno dei più grandi rimpianti della mia vita è quello di non averlo potuto conoscere personalmente prima che se ne andasse. E questo nonostante all’inizio della mia passione musicale avessi tutt’altri interessi, meno legati al classico cantautorato italiano.
Per esempio?
Mi piace sempre dire che sono cresciuta ascoltando le donne, ed effettivamente è proprio così. Da Janis Joplin ad Alanis Morisette, passando per Carmen Consoli, Tori Amos e Cristina Donà. Poi pian piano mi sono avvicinata all’indie rock degli Afterhours, dei Verdena e de La Crus. È solo attorno ai vent’anni che ho iniziato ad approfondire il cantautorato: la parola, mio primo amore, che diventa canzone.
Una parola che, nel tuo caso, travalica la musica e diventa anche prosa.
È così. Ma i romanzi che scrivo parlano molto con i miei dischi, perché spesse volte sono nati proprio in contemporanea. In Se non ti vedo non esisti c’è tantissimo di Nel caos di stanze stupefacenti, così come in Questa è l’ultima volta che ti dimentico c’è tanto di Magmamemoria. Anche in E questo amore non mente c’è tanto di Opera Futura. In più sono proprio una burlona, per cui spesso cito anche le mie canzoni nei libri, rendendo il tutto un autentico crossover.
La verità è che amo molto scrivere: si tratta forse della mia più vera passione, nata ancora prima del mio amore verso la composizione musicale. Ma siccome non mi piace che mi definiscano scrittrice, spesso penso che i miei libri debbano in qualche modo piacere ai miei fan. Ed inserire fra le parole i messaggi delle mie canzoni è un modo per arrivare a questo. Ma poi, e in barba alle mie convinzioni, scopro che tantissime persone mi leggono ma non mi ascoltano, preferendomi come scrittrice piuttosto che come cantante.
Su questo versante hai in cantiere nuovi progetti?
In realtà sto pensando a due lavori editoriali diversi. Un nuovo romanzo probabilmente ha bisogno di un po’ più di tempo: non sarà la prima cosa che arriverà.
Intanto godiamoci il disco! C’è una canzone di “Opera Futura” che preferisci o alla quale sei particolarmente legata?
Se devo sceglierne una, è sicuramente Mi manchi. L’ho scritta tra febbraio e marzo 2021, due anni fa esatti. La amo perché è una nostalgia del futuro: ha qualcosa di assolutamente ancorato al passato ma con uno sguardo di consapevolezza nel domani. È come guardarsi indietro con un sorriso e dire “sì, mi manchi, ma io ormai sono qua e va bene così”. E poi mi entusiasma il modo in cui sono riuscita a descrivere la gioia di un amore riuscendo ad unire natura e corpo in una sola similitudine.
“Campi di gioia e i limoni fioriscono / Dalla bocca del giorno straripano grandi promesse tra i fiumi di baci”: dunque si tratta di due persone che stanno pomiciando?
Esattamente. È tutto un mondo di metafore che mi piace proprio tanto e che mi sono divertita a formulare e mettere in musica.
Ultima domanda: che cosa ti senti di dire, dieci anni dopo, alla Levante che esordiva cantando “Alfonso”?
Avevi ragione tu.
Monica Malfatti
Beatlemaniac di nascita e deandreiana d'adozione, osservo le cose e amo le parole: scritte, dette, cantate. Laureata in Filosofia e linguaggi della modernità a Trento, ho spaziato nell'incredibile mondo del lavoro precario per alcuni anni: da commessa di libreria a maestra elementare, passando per il magico impiego di segretaria presso un'agenzia di voli in parapendio (sport che ho pure praticato, fino alla rottura del crociato). Ora scrivo a tempo pieno, ma anche a tempo perso.