“Post-Amarcord” di Gaspare Pellegatta ci insegna come si fa a perdersi nei ricordi
Gaspare Pellegatta è un giovane musicista, ma non solo. È un illustratore, un creativo, ama le brioches alla crema appena sfornate e s’incazza se provate a entrare in camera sua senza permesso. Il 3 giugno è uscito il suo disco d’esordio Post-Amarcord per Artist First. Una persona sensibile, tant’è che nel corso degli anni ha sviluppato un percorso personale nel quale ha indagato sul tema della distanza emotiva tra le persone. Un bel pensiero profondo, no?
Con il suo occhio vigile, Pellegatta ha girato tanto e nei suoi brani, infatti, si sentono le influenze musicali attinte tra Amsterdam, Toronto e Padova. Ma ad arricchire il tutto sono state le persone incontrate nei suoi viaggi, le quali gli hanno insegnato tanto. È capace di dipingere dei quadri personali con ciò che vede per poi appenderli al suo muro personale, come una sorta di memorandum. Insomma, il disco è un bel cocktail di ricordi (come lo si può capire dal titolo) da bere tutto d’un fiato, tipo uno shottino. Otto brani che raccontano di una vita nomade, tra ricordi, risate e serate naïf.
Ciao Gaspare, come stai? Come ti presenteresti al bellissimo pubblico delle Rane?
Ciao bellissimo pubblico delle Rane! Sono Gaspare, ho una fotta per le brioches alla crema appena sfornate, l’attitudine punk ed il design grafico. Ho provato a mettere insieme questi mondi in Post-Amarcord, spero vi piaccia!
Nel corso degli anni hai sviluppato un percorso attraverso il quale hai indagato circa il tema della distanza emotiva tra le persone. Ci racconti perché hai voluto soffermarti su questa tematica e soprattutto se ha influito nella tua arte?
Ironicamente è tutta colpa dei viaggi e delle compagnie aeree low cost. Ho conosciuto ed incontrato persone bellissime, in primis quando vivevo ad Amsterdam e poi spostandomi in ad esempio in Cile o in Canada. In tutto questo i mezzi di comunicazione digitale mi hanno aiutato a mantenere i contatti e i rapporti, ma non sempre a capire lo stato d’animo di qualcuno. Avevo la sensazione che la comunicazione digitale nel bene o nel male, affievolisse l’empatia e l’emotività. Ho approfondito questo tema leggendo i saggi di filosofia di Byung-Chul Han, chiedendomi quale fosse uno strumento per evitare di perdersi nell’immediatezza del digitale. Ho trovato un’ancora nelle cartoline e nelle lettere, come quelle che scrivevano mia nonna e mia mamma o nelle foto analogiche. Questa ricerca l’ho ribaltata poi su tela dando vita alla mostra Bloody Brioches Tasty Letters e poi ne ho trascritto gli aneddoti creando l’album Post-Amarcord.
Nella tua bio ho letto che hai girato parecchio all’estero per stabilirti, poi, a Milano. Quali delle città in cui hai vissuto ti ha maggiormente ispirato dal punto di vista musicale? E poi, perché tra le mete scelte proprio Padova?
Sicuramente Amsterdam, era una fucina di eventi e iniziative creative memorabili. Mi ricordo il Paradiso, una chiesa sconsacrata talmente grande e piena di stanze e sale che ci organizzavano dei festival interi dentro, come il Mi Ami per intenderci, ma dentro ad una chiesa gotica. Poi c’erano i musicisti del conservatorio che improvvisavano delle live session orchestrale gratuite presso l’OBA, la biblioteca pubblica che ha le sembianze interne simili all’head quarter dei Man In Black. Presso Westpark c’è il Pacific dove mi sono goduto dei concerti punk bellissimi e sul molo dalla città mi ricordo anche un festival nu-jazz, in uno spazio enorme immerso nel prato e abbracciato dal tramonto. Ho il magone solo a pensarci. Padova la frequentavo clandestinamente alternando le lezioni universitarie di psicologia ai ritrovi in piazza come il Bottelon. Un periodo tanto divertente quanto naïf, fautore di una collezione di demo mai pubblicate, tranne una, presente nel disco: Balcone.
Post Amarcord, come si può capire dal titolo, è un album di ricordi. Cosa ti ha spinto a parlare di memorie proprio al tuo album d’esordio?
Sì fa un po’ strano, ma oltre al lavoro di ricerca sulla distanza emotiva mi piaceva incidere dei ricordi con un approccio ironico, lasciando da parte la nostalgia fine a se stessa. È il motivo per cui oltre ad “Amarcord” ho aggiunto la parola “Post”: lo sguardo su questi ricordi ha già passato la fase di nostalgia e l’approccio è di gustoso piacere per tutto quello che è successo. Dai taccheggi nei supermercati alle struggenti cene naïf, passando per le crisi esistenziali e i momenti passate in aeroporto in attesa di un volo, sentendosi un po’ come Tom Hanks nel film The Terminal.
“Litigare con te è come andare al Camposanto”. Sappi che questa frase la leggeremo sicuramente su qualche muro tra un po’. Parlaci di questo brano.
Ahahahah, se mai capitasse vi offrirò da bere. Il fatto scatenante di questo brano è stato tornare a casa e vedere la mia collezione di birrette speciali stappata, bevute a metà e lasciate sgasare. Già il fatto che qualcuno fosse entrato in camera mia era deplorevole, lasciare sgasare la birra poi, SACRILEGIO. Ora, lo scazzo de fuego che ha avuto luogo dopo era paragonabile a delle bestemmie lanciate in un camposanto: assolutamente inutili. La metafora mi sembrava azzeccatissima. Un dramma per una pastasciutta scotta, risolto dal divino intervento della Mater Domini.
Balcone, per alcuni, sarà la canzone più malinconica poiché parla degli anni dell’università. Alla fine l’hai capita la differenza del 3×2?
Ho capito che sono l’unico che si mette a comparare il 3×2 con gli sconti per risparmiare il più possibile: ratto vero. Sorrido sempre quando ci penso. Ero a Padova in un supermercato della PAM ed ero tornato a casa con gli ingredienti per fare la cheese cream, gin infimo e arance da spremere per un cocktail improvvisato. Cena sobria, da re, per due: il giorno seguente ci siamo trovati chiusi fuori casa. Touché! È venuta in nostro soccorso una graziosissima vicina ottantenne che ci prestò la scala per arrivare al balcone, scassinare la finestra di casa e riconquistare l’appartamento. Come anticipavo, a Padova conservo parecchi ricordi naïf.
Domanda che faccio spesso: il feat dei tuoi sogni.
Sarebbe incredibile collaborare con Erlend Øye dei Kings Of Convenience, scrivendo un pezzo in italiano, come ha fatto in molti dei suoi lavori solisti. Un altro nome che mi farebbe brillare gli occhi è Clap! Clap!. Mi piacciono tantissimo le sue produzioni, in particolare l’album A Thousand Skies, lo ascolto ciclicamente.
Lucrezia Costantino
Sono una scettica nata e cresciuta in Puglia, milanese d'adozione. Nella mia borsa non mancano mai gli auricolari e le chewing gum. Amo il cinema, i tramonti al mare e i dolci.