Post Nebbia: anche “Entropia Padrepio” è questione di rivelazione
I Post Nebbia persistono nel dare un impatto lirico alla loro musicalità nonché testualità: ne è una riprova il loro terzo album, dal titolo “Entropia Padrepio”: si tratta di un lavoro discografico impegnativo, sicuramente, ma che è capace di accompagnare l’ascoltatore in una dimensione d’esperienza ulteriore. L’attitudine trascendentale del nuovo lavoro discografico della band padovana si evince appunto sin dal titolo, disordinato e sacrale al punto giusto e si riflette nei brani, che amplificano o forse portano al limite quella dimensione di ricerca ostinata verso il siderale. L’immaginario non è scontato, anzi: è tutt’altro che intuitivo, ma ne risulta un disco potente e ben plasmato.
Ne abbiamo parlato con uno dei componenti, Carlo Corbellini.
Il vostro nuovo album si intitola “Entropia Padrepio”: un titolo forse controverso che suscita varie suggestioni. Cosa volete trasmettere?
Probabilmente la realtà è che non c’è un vero messaggio di fondo. Questo titolo non è attribuito a nessuna canzone, bensì al disco in sé, poiché queste due parole racchiudono un po’ i vari sensi dello stesso, senza necessariamente delimitare i campi del significato. Di fatto è un disco che porta avanti le mie incertezze e non un messaggio vero e proprio, quindi, direi che è un titolo che condensa bene tutti questi aspetti. C’è l’entropia che è una questione universale e poi c’è padre pio che rimanda ad un altro tipo di universo, ovvero quello legato all’iconografia cristiana e regionale in cui io ci sguazzo, ecco.
Come è andata la fase di costruzione dell’immaginario espresso in questo album?
Diciamo che la costruzione dell’immaginario non è stata particolarmente sofferta, ma alquanto spontanea. Ovviamente la scelta di trattare questi temi è legata ad un periodo non propriamente leggero ma parliamo di un mondo che mi ha sempre incuriosito. Dal momento in cui ho capito che volevo parlare di quelle cose lì non è stato difficile trovare le cose da dire, ecco.
A livello compositivo, quale è stato il brano più difficile da portare a termine?
Il brano più difficile da portare a termine è probabilmente “Morte rituale” anche a livello tecnico direi, alquanto incasinato come pezzo. Ma in generale posso affermare che ci siamo divertiti a fare questo disco. È stato un processo molto intenso e siamo molto contenti del risultato.
Questo album è un po’ un’indagine dentro di se attraverso la religione. Come è andato questo processo? Poi, è possibile indagare dentro sé stessi senza temere di quello che si può scoprire?
Questo è un disco che usa la religione per parlare della tendenza dell’essere umano verso l’infinito e la religione incasella questa cosa qui all’interno di un sistema, con le proprie simbologie e anche le proprie delimitazioni. Tutto questo è visibile in tanti e diversi comportamenti dell’umanità, come la tendenza alla spiritualità ma non solo. Ho cercato di tirar fuori molti significati da questi aspetti, non senza sforzo di empatizzare con persone che vivono la spiritualità in modo diverso dal mio.
Come avete reso musicalmente questi significati e approcci?
C’è un tono molto melodrammatico, forse a volte anche un po’ ironico, che però riproduce un po’ l’idea funeraria dell’estetica cattolica e dell’esperienza religiosa in sé e questo anche in termini architettonici.
Guardandovi un po’ intorno, qual è la tendenza che scorgete riguardo l’umanità e la religione? I giovani non credono più?
Direi che c’è un graduale allontanamento dall’intendere la religione come un’istituzione, che in passato aveva un ruolo sociale molto più rilevante. Adesso c’è tutt’altro. È la forma di venerazione che sta cambiando. Credo che nella società moderna adesso ci siano altre cose a soddisfare quel tipo di bisogno, in senso alternativo.
Questa domanda riguarda un brano in particolare, sto parlando di “Cuore semplice” di cui ti chiedo una breve spiegazione.
È una sorta di preghiera volta ad una leggerezza d’animo che di fatto non c’è. Riguarda la possibilità di vivere le cose con meno pesantezza.
Quali sono gli artisti emergenti italiani con cui vorreste collaborare?
Ce ne sono un po’. Dal punto di vista hyper-pop, che però è un termine che non mi piace molto. Ci sono gli Arssalendo, Visconti, Generic Animal. Insomma, credo sia un momento bello per la musica italiana.