“Potrebbe non avere peso”: i Santi Francesi tra amore, filosofia e fisica
Molteplici sono le informazioni che il cervello umano si trova ad affrontare quotidianamente e che non è umanamente in grado di gestire. Troppi gli stimoli meccanici che ci fanno andare sempre più veloce, distogliendoci dall’assaporare la realtà con tutti i 5 sensi. C’è bisogno di gentilezza, lentezza ritorno alla natura e amore, che sono antitesi della velocità meccanica e che rendono grande l’uomo ai piedi dell’universo.
Quando le parole, i pensieri, i sentimenti rimangono in alto sospesi, gravano un bel po’, ma quando arrivano dritti nel profondo del cuore e arrivano alle persone, potrebbero decisamente sciogliersi e non avere peso. È magia.
Con un’intro a metà tra fisica e filosofia, che è proprio il fil rouge dei disco, vi stiamo presentando il nuovo EP dei Santi Francesi (Alessandro De Santis e Mario Francese) “Potrebbe non avere peso“, uscito venerdì 8 novembre. Vincitori di XF 22, di Sanremo Giovani 24, subito in gara tra i big con “L’Amore in Bocca” e accompagnati straordinariamente da Skin nel giovedì delle cover; il duo di Ivrea ha da poco presentato il suo extendend play di 6 pezzi che porterà in tour nei club.
Un disco intimo e anti-cool (ma molto cool), che parla dell’esigenza di ritorno alle piccole cose, alla lentezza, ai rapporti. Filosofico, che oscilla tra sofferenza e serenità, tra rock e quiete, tra un pieno che spaventa e un vuoto desiderato, tra filosofia e fisica; tutte antitesi che si risolvono nient’altro che con il rapporto.
Noi de Le Rane ce lo siamo fatti raccontare in anteprima da Alessandro e Mario, che nei loro pezzi scrivono sempre con molta naturalezza per dire qualcosa a qualcuno.
Ciao ragazzi, intanto come state vivendo questo countdown all’uscita del disco?
Alessandro: In generale fa sempre un effetto strano l’attesa di un’uscita perché tu lo conosci molto bene e l’hai sentito tante volte. Da una parte c’è quella curiosità nel sapere cosa ne penserà la gente, dall’altra ci sei te che hai sentito tante volte quelle canzoni. C’è sempre questa situazione molto strana di mezzo.
La percezione di quello che ci sente il pubblico coincide sempre con la vostra idea di messaggio iniziale?
Alessandro: Mah, nella maggior parte di casi no ed è spesso la parte più romantica del fare musica. Tendiamo a evitare di spiegare il meno possibile per lasciare a tutti quanti di farsi il proprio viaggio.
Il disco è di fatto una preghiera che fate a chi ascolta, che deriva dalla necessità di ribellione alla velocità che la società ci impone, che ci incasella nel tempo e nel luogo, senza farci vivere le cose appieno come una volta. In che periodo è nata questa consapevolezza?
Alessandro: Allora, non siamo mai state persone particolarmente frettolose, anche artisticamente parlando. X-Factor e l’ingresso nel mondo della musica ci hanno fatto sorgere una domanda in più. Poi anche tutto il discorso dei social, di quanto e di come li utilizziamo ci hanno fatto nascere una serie di riflessioni che riversiamo in musica; senza insegnare, o predicare qualcosa a qualcuno per carità. Noi stessi non capiamo niente di quello che ci sta succedendo e della nostra vita, ma c’è quel sentimento che possiamo rallentare e metterci nella condizione di ascoltatori di artisti che si sono sbattuti per far qualcosa.
Qui si apre anche un discorso grandissimo che va dalla fomo e dall’esibizionismo dei social che non ci fa godere nulla e ci isola sempre di più, all’individualismo e la conseguente disgregazione sociale, disgregazione che poi si risolve solo con il rapporto. Era questo il senso del video “Ho Paura di tutto” in cui ognuno con le proprie paure riesce a vincerle urlando insieme?
Alessandro: L’idea è molto punk di base; mettere 50 scoppiati in una stanza e vedere cosa succede, poi, chiaro che anche quando non fai passare i messaggi, i messaggi passano. Tutti con le proprie paure, quasi nascosti. Noi non andiamo in giro con cartelloni ma stiamo quasi facendo una richiesta senza farci vedere, una preghiera come dici tu, di trovarci in un posto bellissimo reale che non sia virtuale.
Parlate di fatto della bellezza del vivere lentamente. In che cosa si identifica per voi e qual è l’espressione del vostro vivere appieno?
Mario: Questa è una cosa un po’ personale in quanto abbiamo deciso di prendersi del tempo per fare quest’album e non procedere per singoli. Nel nostro caso, posso dire che il vivere appieno è stato prendersi 10 giorni in una casa immobili, fermi, mangiare, andare a letto e dormire e poi pensare a chiudere quest’album. Sono pezzi che già esistevano e che abbiamo poi finito. Sicuramente quello è stato un buon momento per scappare dalla confusione che c’è in questa città ed evitare di segmentare il lavoro in tanti studi, per poi fermarsi in un punto. Per quanto riguarda prendersi un po’ di tempo, me, come individuo, io poi non è che esca molto, entrambi. Mi piace anche d’inverno passare del tempo a casa.
E Gatti? Dell’album mi ha colpito molto questa canzone e quel “corriamo senza scappare”. Tra l’altro, giorni fa sono entrata in libreria e mi sono imbattuta nell’angolo “piccole cose”: c’erano libri tema gatti e caffè. Coincidenze?
Alessandro: Sì, ci sono tante persone che amano i gatti quindi avremmo un bel bacino di utenza per quel pezzo, poi però non parla di gatti quella canzone [eheh].
Ci ho visto due lati della medaglia: o il gatto che animale simbolo delle piccole cose, della lentezza o quello che corre di continuo senza mai scappare. Poi le leggi gravitazionali e quell’idea Schopenhaueriana della natura che è più potente di noi..
Alessandro: È un pezzo molto strano quello lì. Tutto Quello che c’è dietro è estremamente personale, estremamente intimo. Non voglio dire troppe cose che limitino la possibilità di farti il tuo viaggio, però quella canzone è a parte, è quella che musicalmente ci piace di più, nella storia di sempre, da quando abbiamo iniziato a suonare. È il pezzo che mi lascia più felice di quello che è successo in quei giorni sia perché in primis parte da una produzione di Mario di 1 anno e mezzo fa, viene a casa mia e mi fa sentire questa produzione…RAVE! cassa dritta, 160 bpm, figa, cupa. Io costruisco la linea vocale con un po’ di testo, ci vediamo il giorno dopo e nasce e rimane per 2 anni circa un pezzo rave. Poi questa cosa qui.
È bello il procedimento con cui siamo arrivati a ricostruirla da zero tenendo solo le linee vocali ed è bello soprattutto perché per me a livello di testo, dico più sinceramente una serie di cose che voglio dire a una persona. L’immagine paradossale dei Gatti usata in quel punto del ritornello è quasi inquietante perché quello che intendo in quel punto è “costruirò un recinto e un tira graffi, non ci scapperemo mai”. Cioè costruirò tutto quello che c’è da costruire perché anche se ti viene voglia di scappare da me, anche se a me viene voglia di scappare da te, non lo faccio. Posso correre, scappare e tu puoi rincorrermi. È una dichiarazione di amore inquietante e mielosa allo stesso tempo.
Ancora un’altra percezione a quella che ci avevo visto..
Alessandro e Mario: Ma è bellissimo così!
Ogni album o EP che sia è un po’ un viaggio dove le canzoni sono delle tappe da percorrere in ordine. Riuscite a spiegarmi l’ordine del disco?
Mario: Fin da subito le cose sicure erano il primo pezzo e l’ultimo. L’ultimo ricordo che era il primo pezzo concepito. Volevamo chiamarlo “Outro”, poi abbiam trovato il pezzo dell’album e gli abbiamo attribuito il titolo dell’EP. Tutto quello che c’è in mezzo poi è prettamente dovuto alle dinamiche dei pezzi; non è un concept album ma sono tutte collegate le sonorità. L’ordine poi è istintivo, armonico.
Abitate a Milano che è conosciuta come la citta delle prenotazioni, orari e velocità. È possibile condurci una vita lenta e godere delle piccole cose?
Alessandro: Paradossalmente è molto più facile a Milano che altrove. Proprio perché Milano è così veloce, permette a te se vuoi, di andare lentissimo, invece, anche perché tanto tutti gli altri stanno andando velocissimo. A Milano ci sono tante cose da fare ma c’è anche la possibilità di scegliere di non farle. Quello è possibile un po’ ovunque, ovvio che una realtà di provincia ti invoglia un po’ di più a star fermo però sì, si può tenere un ritmo lento a Milano. Ben vengano quei momenti in cui non hai nulla nel calendario e stai anche solo del tempo a casa tua senza far nulla. Guardare il gatto che gioca, giocare ai videogames, ascoltare musica che poi è banalmente umano.
A Sanremo avete portato un gran pezzo e alla serata delle cover il duetto con Skin è stata una gara a parte, sublime. Tra l’altro la scelta della canzone era molto pericolosa in quanto inflazionata. È nata prima la scelta di Halleluja o la collaborazione con Skin?
Alessandro: Concordo in pieno, infatti non eravamo sicurissimi. Chiaro che è un pezzo difficile. È sempre stato rifatto nella stessa chiave e con il peso sulle stesse cose. Quindi abbiamo provato a tirarne fuori una vena che forse non era mai emersa, quella più angosciante e più contradditoria del pezzo. Basta leggere il testo per capire che parla di una cosa estremamente carnale, terrena per quanto sembra che parli di dio e sembra una canzone di chiesa.
È nato prima Halleluja e poi tutta una serie di drammi incredibili perché chiaramente non voleva farla nessuno con noi e poi siamo arrivati alla benedizione effettiva di Skin che siamo riusciti a contattare. Lei ha dei legami con l’Italia. In poche ore ha sentito la nostra versione del brano e le è piaciuta. Non ha chiesto cachet.
Questo ti fa capire molto di come si vive all’estero, di quando sei talmente in alto che ti puoi concedere qualunque cosa, non te ne frega niente di apparire in nessun modo, ma ti interessa solo fare qualcosa di figo.
Venite da Ivrea. Polo molto attivo in campo musicale e da cui viene Cosmo. Potrebbero intersecarsi i vostri progetti?
Mario: Ci siam sempre sfiorati ma mai incontrati. Mai collaborato non so perché. Ora non stiamo nemmeno più a Ivrea. Probabilmente siamo in due periodi differenti.
Alessandro: Anche gusti differenti. Noi siamo molto fan di Cosmo, ci siamo cresciuti da adolescenti, sappiamo ancora a memoria tutte le canzoni di Marco. Un domani magari, devono sicuramente cambiare le cose. Devono avvicinarsi più i progetti ma per noi sarebbe molto bello!
Anche lui sprona a vivere al 100% il momento e in particolar modo i suoi concerti, che sono un’esplosione di sentimenti e corpi. Vietereste i telefoni anche ai vostri live?
Alessandro: No, non credo, anche se è giusto. Te lo dico da un punto di vista di coraggio. Io non credo che riuscirei a far la presa di posizione per dire “no tu non porti il telefono ai miei concerti”. Chiaro che l’obiettivo è quello che tu vieni al concerto e se vuoi fai un video per mandarlo a tua mamma, poi tanto i video ai concerti suonano male. Bisognerebbe che tutti lo capissimo. Per fare gli applausi, poi, se hai il telefono in mano, il suono non esce.
Mario: Sarebbe bello succedesse spontaneamente.
Con questo disco parlate implicitamente al pubblico. Trattereste anche di temi politici? Pensate che potrebbe aiutare che un personaggio con seguito si esponga?
Alessandro: Assolutamente. La figata della musica è proprio quello di poter dire quello ti pare. Noi non siamo mai stati artisti particolarmente politici o geopolitici. Tutto quello che emerge di sociale da noi deriva da un’indagine sociale che ci facciamo verso di noi. Scriviamo verso l’interno. Poi anche non fare politica è fare politica, non dire l’opinione è un atto politico. Quindi siamo artisti politici anche noi in qualche modo.
Andando indietro di qualche mese. Mi ha incuriosito molto la scelta delle chiese sconsacrate come location. Come mai questa scelta? Si sposa benissimo con la vostra immagine mistica e gotica
Si sposa… con il nostro nome? [ahah] Un’idea venuta fuori dal nulla: dal management che aveva individuato chiesette sconsacrate molto belle e ci ha proposto quest’idea in cui ci siamo tuffati.
Ci piacciono i posti piccoli e ci piace portare la musica anche in dei luoghi in cui non dovrebbe succedere. È stato carino e molto faticoso. Bello anche a livello musicale e impegnativo di audio.
Mario: Ogni data è diversa. È una cosa irripetibile. Ci vuole tanto nella preparazione e poche persone hanno potuto partecipare. Magari in futuro replicheremo con altre location.
Era questa la mia domanda. Altre Locations?
C’è sempre stata questa cosa del teatro antico di Taormina o il Vittoriale. Quei tipi di palchi sono sempre affascinanti anche se in questo periodo mi affascinano moltissimo i clubbettini ancora più piccoli o quell’idea americana di club in cui la forma del posto è un teatro senza seggiolini. Mi piacerebbe tantissimo fare tour in quei pseudo teatri lì, che purtroppo in Italia non ci sono.
Genericamente, le vostre influenze musicali? Nel disco si sente molto l’ascolto dei Radiohead.
Mario: Complimentone. Dei Radiohead c’è sicuramente tutta la parte più cupa, senza ambienti. Ale è più The Killers, Nutini, The Ark. Io sono più anni 70. Non sono però influenze sono i nostri ascolti. Una comune sono i Twenty One Pilots, One Nation come produzione e suoni un po’ sporchi che lasciano qualcosa di strano però sì, anche Radiohead.
Alessandro: In generale anni 90 e 2000 è il filone che ha preso l’album.
Tutta la playlist di The OC…
Alessandro: Brava, esatto! Tutto quel brit-pop. Avevamo fatto California noi tra l’altro a X-Factor in finale. Anni 2000 un po’ più tristi. C’è sì, tutto il primo album dei Killers, the Arks con le strutture matte e pezzi che cambiano e non si capisce da dove arrivino.
Mario: poi più passano i mesi e più ti rendi conto che provare a far il pezzo come qualcuno ti può aiutare ma è sempre più contro producente. Alla fine costruire un suono proprio è la cosa che ti appaga di più . Le Influenze vabbè sono naturali.
Di Musica nuova che ascoltate?
Alessandro: Musica nuova è musica vecchia ahah. In questi giorni, ultimo album della Rappresentante di Lista: bellissimo. Di cose nuove, invece, tutto quello che esce all’estero e si piazza nei primi posti delle classifiche è sempre degno di nota per me, tranne reggaeton o trap per mio gusto personale, non perché non abbia valore.
Tutto l’ultimo album di Myley Cyrus, Dua Lipa, Post Malone che è impazzito completamente.
Twenty One Pilots tornati al college rock, One Nation usciti con disco rock pesantissimo. Ci sono tantissime cose fighe poi c’è tutta la parte rock che ci ha accompagnato da sempre: Beatles, Genesis lui, Mario un po’ più prog, io un po’ più zarro quando ero piccolo.
Avete in ballo altri featuring?
Mario: I feat devono capitare. Abbiamo conosciuto un sacco di persone con cui probabilmente collaboreremo ma devono capitare anche perché se è capitato per caso è più bello.
Cosa dobbiamo aspettarci dai vostri concerti?
Partiamo il 20 novembre Teatro della Concordia e chiudiamo all’Atlantico il 16 dicembre a Roma. Sono 8 date che toccano un po’ le principali città italiane. Qui saremo in 4 perché il disco è molto rock e molto suonato quindi abbiamo ampliato la situazione. Domiziano, questo ragazzo che ha lavorato con noi nelle chiese come tecnico, abbiamo scoperto che suona la chitarra e molto bene altri strumenti era gasato con i nostri pezzi quindi farà parte della squadra.
Vogliamo chiudere con qualcosa che volete voi?
Mario: Non abbiamo cercato troppo la forma migliore dei pezzi quando ci siamo chiusi a Parma. Seguivamo il flusso senza preoccuparci troppo della forma delle cose, di come si dovevano fare. L’obiettivo era aprire i microfoni, urlare, cantare, giocare che era quello che abbiam fatto con il primo album in cui non avevamo un soldo e avevo chiesto al mio amico un garage. Adesso l’abbiamo rifatto di proposito. Abbiamo scelto una casa che non aveva niente intorno, che ci potesse far isolare e ritornare alla bellezza delle piccole cose.
Il CLUB TOUR 2024 dei Santi Francesi
- 20 novembre | Venaria Reale (TO) – Teatro della Concordia
- 23 novembre | Padova – Hall
- 26 novembre | Firenze – Viper Theatre
- 29 novembre | Bologna – Estragon
- 03 dicembre | Molfetta (BA) – Eremo Club
- 05 dicembre | Napoli – Casa della Musica
- 10 dicembre | Milano – Fabrique
- 13 dicembre | Roma – Atlantico
Sul nostro canale You Tube puoi ascoltare una vecchia session dei Santi Francesi, di quando si chiamavano ancora The Jab.
Claudia Verini
Sinologa e Musicista. Made in Umbria, ma vivo altrove. Lavoro nella moda, ma solo con la radio in sottofondo. Devo avere ogni giorno qualcosa da raccontare, tant'è che mi piace viaggiare fisicamente e mentalmente. La Sinestesia è la mia figura retorica preferita.