Mico Argirò, raccontare il presente senza cadere in luoghi comuni
Mico Argirò non è un cantautore come gli altri. Quando lo intervisto, capisco che a lui non frega nulla di ascolti su Spotify, followers su Instagram o visualizzazioni su Youtube: il bello del suo lavoro, mosso esclusivamente dalla passione, sta nella musica che suona, nei testi che scrive e nei tour che fa in giro per l’Italia. Proprio in questi tour, porta in giro lungo lo stivale canzoni che raccontano storie non convenzionali, che mettono in risalto il fascino di persone spesso escluse o ignorate dalla società. Questa attenzione per le storie di personaggi controcorrente si manifesta anche nelle sue collaborazioni teatrali: oltre ad essere un cantautore, è anche compositore di musiche per il teatro.
Cilentano, ma di origini calabresi, Mico Argirò vive a Milano. Ha all’attivo un album, diversi singoli e collabora con Artist First, per la quale, lo scorso 11 settembre è uscito il suo nuovo singolo Hijab (feat. Pietra Montecorvino). Nonostante una serie di successi, Mico non si monta la testa e il suo focus rimane uno: stare bene facendo musica.
Mico, la scena musicale contemporanea è caratterizzata dal (quasi) dominio di generi che sono più musica che testo: se penso alla trap o a gran parte del pop italiano spesso ci si può imbattere in ritornelli e ritmi facili ma in testi privi di senso. Allora ti chiedo: quanto è difficile fare il cantautore nel 2020?
Viviamo un momento storico nel quale il nulla riempie le nostre giornate buttate su divani davanti la tv, letti di stanzette, comitive vuote e serate solo instagrammabili. In tutto questo il senso, il contenuto è, paradossalmente, complicato da esprimere perché è il diverso, l’altro, rispetto alla vacuità del presente.
C’è da dire però che in tantissimi, più di quanto sembri, sentono l’esigenza di qualcosa, di una “maglia rotta in questa rete che ci stringe”.
La musica d’autore oggi ha un suo pubblico abbastanza vario, ma vivissimo. Certo, parliamo di una classica “nicchia”, ma è una nicchia che ti permette di esprimerti liberamente, senza dover per forza seguire una moda, sperimentando, rimescolando tutto.
Essere un cantautore oggi non ti fa fare il milione di ascolti su Spotify, magari, ma ti permette di suonare tanto in giro per l’Italia, di incontrare persone, di raccontare storie, che è poi quello che ho sempre voluto di fare.
Nei tuoi pezzi, e penso ad Hijab, Il Polacco, Lo scacchista, racconti storie non convenzionali, storie di “ultimi”. È quello che facevano anche De Andrè, Lolli, Guccini (solo per citarne alcuni) e che oggi fanno Brunori e in misura minore Motta. Credi che la “mission” del cantautorato sia questa? Dare spazio a persone che nella società tendono ad essere escluse o ignorate?
In verità non so, non credo che ci sia una “mission”. Il cantautore, l’artista, è un essere umano che racconta il suo presente, ora, parlando per me, come non rimanere affascinati da chi ha scelto o gli è capitata una vita diversa da quella imposta dalla società?
Mi sono sempre piaciute le figure dei pazzi, dei barboni, degli sconfitti perché vivono un reale completamente diverso dal nostro, contemporaneo, ma distantissimo.
Sono figure romantiche, con storie generalmente difficili. Potendo raccontare, mi fa piacere raccontare queste loro storie invece che qualche luogo comune pop.
Nel tuo ultimo pezzo, Hijiab (feat. Pietra Montecorvino), uscito lo scorso 11 Settembre, parli di una storia di sesso con una ragazza di fede islamica. Com’è nata l’idea di raccontare questa storia? E che reazioni ha suscitato l’uscita del pezzo?
È un pezzo di passione nel quale si incontrano tre lingue diverse, suoni elettronici ed acustici, due voci che si intrecciano. L’idea viene sempre da un qualcosa di reale, maturato in un ambiente multiculturale che vivo a Miano. Il pezzo sta viaggiando tanto, lo sento trasmesso in radio, sta facendo moltissimi ascolti sulle piattaforme e ha provocato reazioni molto diverse: da una parte moltissimi si sono innamorati di questa breve storia e dall’altra sono arrivati haters a frotte. Ma ci sta: trattando il tema con un po’ di irriverenza sapevo che poteva succedere e mi diverte anche perché mi hanno definito sessista, razzista, comunista, fascista…
Però sono di più le cose belle che sta portando “Hijab” come le fanart, i disegni, le cover, un progetto di scambio culturale dell’Istituto Italiano di Cultura a Dakar, tra la musica italiana e quella del Senegal (al quale partecipo insieme ad Enzo Avitabile, Eugenio Bennato, La Maschera e tantissimi artisti senegalesi come gli Iscience). Devo dire che non mi aspettavo tanto da questa avventura.
Guardando all’attuale scena musicale italiana, quali sono gli artisti con cui ti piacerebbe collaborare?
Nell’ultimo anno mi è venuta tanta voglia di collaborare e ho chiamato gli artisti che più stimavo nella scena musicale italiana e, cosa bellissima, hanno creduto nel progetto ed accettato.
È il caso di Pietra Montecorvino, che è una cantante eccezionale dalla voce unica, che già aveva cantato con i più grandi, Renzo Arbore, Eugenio Bennato (che poi l’ha registrata per questa mia canzone). Nei prossimi tempi uscirà un altro feat, con Tartaglia Aneuro, artista che stimo tanto per i suoi contenuti e il suo stile.
Non vi svelo gli altri per non correre troppo. Mi piace questa idea di mischiare le voci, i contenuti, i vissuti: il nostro presente ha bisogno di voci.
Per concludere: qualche album uscito di recente che consiglieresti di ascoltare.
Ascolto tanta musica e devo dire che, nonostante ci sia notevole immondizia in giro, c’è anche un livello altissimo di cose belle, prodotte soprattutto nel mondo indipendente (quello veramente indipendente).
Mi sento di consigliare un disco uscito nel 2018, ma che ho scoperto di recente dopo un concerto dal vivo da brividi (a Botteghe d’Autore poi…): “L’orso ‘nnammurato” di Sollo & Gnut. Consiglio su tutte “ll’ultimo penziero”. È un disco tutta anima, di quelli che li senti allo stomaco.