Uscito oggi per Needn’t e anticipato pochi giorni fa dal singolo Mille Macchine, Folk_2021 è l’EP con cui Rareş si riconferma una promessa da tenere costantemente d’occhio. Dopo averlo incontrato pochi mesi fa al Poplar Festival di Trento, ho avuto il piacere di scambiare due chiacchiere sulla sua riconferma discografica. Fra canzoni che si tessono come le trame di un film, amore che a dirlo troppo sembra già finire e voglia di viversi e di vivere la propria musica in maniera sempre cangiante – ma ogni volta sentita dentro per davvero –, ecco quello che Rareş ha voluto raccontarmi.
Quando ci siamo incontrati l’ultima volta, qualche tempo fa al Poplar Festival, mi avevi detto di aver raccolto in “Curriculum Vitae” una serie di canzoni che serbavi nel cassetto e che in qualche modo descrivevano la tua formazione.
Sì, anche per questo nuovo EP il processo è stato simile. Folk_2021 è sempre un compendio di canzoni, solo un pochino più recenti. Tre canzoni su cinque sono nate nello stesso periodo, nel giro di due e tre giorni, durante l’estate del 2019. Mille macchine e Faccio che sono invece più anzianotte.
(Mentre dice questo, Rareş sorride della propria iniziale difficoltà nel ricordarsi precisamente i titoli dei suoi pezzi)
Non sempre li ricordo subito, perché ho una percezione molto organica della mia produzione. Quasi che le canzoni siano atti di una stessa cosa, diversi capitoli di un film. Non a caso posso anticiparti che per i videoclip abbiamo proprio pensato a qualcosa di simile, sulla falsariga di un cortometraggio.
L’organicità, in “Folk_2021”, è forse evidenziata anche da una scelta precisa che hai fatto. Rispetto a “Curriculum Vitae” sembra esserci qui una nuova esigenza narrativa, legata soprattutto al tema, tanto specifico quanto universale, dell’amore e del rapporto di coppia.
Diciamo che, se a livello originario questo EP è comunque un compendio come l’album precedente, la differenza principale è che qui le canzoni muovono tutte da un tema comune. Non sono, per così dire, “sparse nella vita”. Fondamentalmente ci sono due persone, nel rapporto che descrivo: chi parla e chi ascolta. Mi sono accorto di non aver mai esplicitato molto le cose dentro il disco. C’è tanto amore, ma non l’ho mai detto né cantato direttamente.
Ci sono artisti che possiedono una grande abilità nell’usare le parole “ti amo” nelle canzoni. E funzionano perfettamente. Li ammiro molto, ma bisogna avere coscienza di sé e di quello che si fa per usare delle espressioni così grandi. Andrea Lazlo De Simone, ad esempio, è uno di questi.
È vero, come dici tu, che le parole “ti amo” non appaiono mai. Però forse è giusto dire che sono in qualche modo nascoste fra le pieghe dei testi. In particolare, prendendo ad esempio la prima traccia, abbiamo quel “tu sei fra le migliori intenzioni che ho”. E a mio avviso può essere considerata una delle dichiarazioni d’amore più belle e sincere che ci si possa reciprocamente dedicare.
Con il senno di poi c’è sicuramente dell’amore in quella frase. Però quando l’ho pensata non lo vivevo, o comunque non nel senso canonico che diamo al termine. Dire “ti amo” è la cristallizzazione di un sentimento, il culmine di un climax. E, quando arrivi a quel punto, poi che cosa fai? Domanda disarmante e terribile. Non puoi che scendere, non si può che peggiorare. Già il titolo del brano è significativo: l’intenzione è il primo passo di una storia e il più bello di tutti. Nell’intenzione tutto è in potenza e non c’è nulla di definito né di definitivo. Bisogna essere in grado di mantenere quel primo passo il più a lungo possibile, prolungarlo finché si può: e forse questo è l’unico modo per tenere la fine un po’ più lontana.
A proposito di mantenere il primo passo: che cosa è cambiato e che cosa è rimasto invece uguale, rispetto a “Curriculum Vitae”, in tutto il lavoro che sta dietro all’EP?
Mi sento di dire che Curriculum vitae è stato un po’ il disco zero, il primo passo, appunto, di un neofita. Questo lavoro invece proviene interamente – e forse più consapevolmente – dalle nostre mani e dalle nostre teste: mie e dei miei amici che ci hanno collaborato. Non a caso alcune atmosfere che abbiamo esplorato insieme – e che sono ben presenti in Folk_2021 – le ritrovi senza dubbio anche nei loro lavori. Sto parlando di Novecento, Giuseppe Vio, Marcello Della Puppa – che ha curato anche tutta la parte grafica del mio nuovo EP. Tutto il lavoro è senza dubbio – e come sempre – basato soprattutto sul testo e sulla parola.
È ormai un mio marchio di fabbrica, forse, l’uso che faccio della parola. Una parola attorno alla quale si tessono le musiche, le atmosfere, i suoni. È un disco molto invernale e meditativo. Per questo avevo quasi paura di uscire troppo a ridosso della primavera e perdere di conseguenza questa sorta di atmosfera calda e accogliente, decisamente più adatta ai mesi freddi, che sento dentro le canzoni e che ne è in qualche modo parte integrante.
Anche la tua voce è calda e accogliente, tanto che in molti vi hanno voluto intravedere quel soul lagunare che sembrava definire in tutto e per tutto il tuo esordio. Che cosa significa allora per te il soul di “Curriculum Vitae” e che cosa invece il folk di questo nuovo lavoro?
Inizialmente questa cosa del soul ha rappresentato per me un campanello d’allarme: una sorta di etichetta in cui non mi sono mai ritrovato e che mi è stata appioppata. “Rareş e il suo soul lagunare”. All’inizio mi turbava, perché forse non mi descriveva in maniera davvero autentica. Poi mi sono reso conto del bisogno che abbiamo di catalogare le cose, magari per renderle più comprensibili. È un bisogno che c’è in generale, non solo nella musica. Dunque, per quanto mi riguarda, soul di per sé non vuol dire nulla: è il modo in cui mi sono ritrovato a vivere la musica che ho pubblicato, ecco.
Folk invece è questo lavoro qui: il mio folk, il modo che ho di fare folk. Anche il titolo che ho dato all’EP è un passaggio, un modo di capitolare il momento che sto vivendo. A differenza di Curriculum Vitae, sento di aver avuto il controllo del lavoro dall’inizio alla fine. Di aver potuto fare il regista di questo EP, che giustamente ha avuto bisogno dei suoi tempi biologici. Non penso che d’ora in avanti definiranno la mia musica come un “folk lagunare”, però sono molto orgoglioso di Folk_2021. Sicuramente non smetterò di suonare Curriculum Vitae in giro, ma può darsi che nei live verrà inglobato in queste nuove atmosfere qui, chissà!
Il tuo modo di scrivere e comporre procede per immagini suggestive, che arrivano all’ascoltatore in maniera diretta, anche se talvolta ermetica. Un po’ come l’aria estiva – ma piena di odori da decifrare – che entra dai finestrini aperti di una macchina in corsa. Facciamo allora un gioco! Aiutaci a vivere meglio le 5 canzoni di “Folk_2021”, consigliandoci un periodo della giornata in cui secondo te ognuna di loro andrebbe ascoltata.
Domanda divertente! Allora, Figli è senz’altro un pezzo adatto all’alba: un sorgere del sole triste e malinconico però, non quello pieno di speranza che in genere accostiamo a questo periodo del giorno. Verso le sei di mattina, quasi fosse una sveglia, metterei Mille Macchine. Dita l’ascolterei a mezzogiorno, mentre Intenzioni è più per il tramonto. Prima di coricarsi consiglierei invece Faccio che. Comunque bell’idea: chi lo sa, magari per qualche anniversario dalla pubblicazione di Folk_2021, se il mio progetto musicale sopravvivrà ancora, riorganizzeremo le tracce in questo modo qui!
Monica Malfatti
Beatlemaniac di nascita e deandreiana d'adozione, osservo le cose e amo le parole: scritte, dette, cantate. Laureata in Filosofia e linguaggi della modernità a Trento, ho spaziato nell'incredibile mondo del lavoro precario per alcuni anni: da commessa di libreria a maestra elementare, passando per il magico impiego di segretaria presso un'agenzia di voli in parapendio (sport che ho pure praticato, fino alla rottura del crociato). Ora scrivo a tempo pieno, ma anche a tempo perso.