Sealow: la capacità di emergere tra le Onde della nuova musica italiana
Tra le molteplici (infinite) uscite del venerdì, districarsi è ormai un’impresa all’Indiana Jones (senza cappello e frusta). Ci si perde, e spesso cose interessanti finiscono in fondo al cassetto degli ascolti, a meno che questi non siano fugaci e distratti. La fortuna però, se non si è totalmente sprovveduti, è tenere il radar ben acceso per tenere monitorati artisti emergenti di cui hai già “annusato” il talento e l’attitudine. In questo caso il mio radar ha tenuto d’occhio (sott’occhio) le produzioni di Sealow. Il giovane artista romano dopo 2 singoli usciti a giugno e agosto ha pubblicato poche settimane fa il suo album “Onde” per la Macro Beats.
Una scrittura che appare libera, istintiva, capace di evocare immagini e situazioni che facilmente possono “appartenere” al vissuto di ciascun ascoltatore. Musicalmente è un bel viaggio tra chitarre e beat ritmati che a volte lasciano il campo a momenti più intimi, quasi da serenata al chiaro di luna.
Ho avuto la possibilità di porre qualche domanda a Sealow su di lui e su questo progetto, e questo è il risultato della chiacchierata.
Rompiamo il ghiaccio, che effetto fa svegliarsi un venerdì mattina e scorrendo la New Music Friday di Spotify, vedere il proprio nome insieme a quello di artisti abbondantemente famosi sia italiani che stranieri?
Sono felice che il disco sia stato apprezzato a tal punto da meritare una rappresentanza. Inutile dire quanto sia importante Spotify adesso, io stesso lo utilizzo da tanto e con costanza per scoprire musica nuova. Spesso ascolto le prime canzoni in classifica delle top 50 di diversi paesi, ma penso sia bello scoprire la musica in tanti modi diversi: il passaparola, i DJ, la radio, i club…
Facciamo in modo di farti conoscere al pubblico. Tu arrivi dal mondo del reggae, delle dancehall: quanto è stato ed è importante questo tipo di background per la tua “nuova fase” artistica? Cosa porti di quel mondo, nelle tue recenti produzioni?
Fondamentale, non sarei niente senza la passione per questo mondo [reggae]. Mi ha traghettato verso l’amore per la musica in generale. In questo disco sento tutto quello che ho ascoltato. Ovviamente, ci sono delle sfumature come “Todo el Mundo”, “Medicina” e “Dancehall Boogie” che ci portano lì anche a livello di sonorità. Quello che mi porto appresso a livello musicale sono sicuramente le melodie. A livello personale invece la condizione in cui sono quando scrivo e faccio musica, nata e cresciuta grazie a questo mondo che mi ispira da sempre. Mi piace che il disco sia un misto di questo e di tante altre musiche che mi hanno ispirato in questi anni.
Facendo sempre un po’ di “storia di Sealow”, i tuoi esordi, proprio per il genere con il quale ti rapportavi, erano in inglese. Volevo sapere quale è stata la molla che ti ha portato alla scrittura e, e di conseguenza, a cantare in italiano e quali difficoltà hai incontrato nell’usare l’italiano, che è sicuramente una lingua meno musicale per un certo tipo di suono e di atmosfera.
Sono stato ispirato dalla nuova scuola di cantautori italiani degli ultimi anni. All’inizio la stessa cosa che mi portava a ricercare musiche ed atmosfere distanti allo stesso tempo mi allontanava dalla musica italiana che sentivo alla radio o in televisione. Quindi ero portato a scrivere in inglese, dato che le mie ispirazioni più grandi erano in inglese.
Però molta della musica che ho sentito uscire negli ultimi anni mi ha fatto venire voglia di tornare a scrivere in italiano.
Più che la difficoltà, la missione è stata quella di avvicinare le sonorità che amo alla nostra musica attraverso la scrittura, conservando quell’inconsapevolezza che impreziosisce i momenti creativi. L’ho fatto a modo mio.
Tu, nolente o volente, fai parte di quell’immenso bacino di cantautori romani di cui la musica italiana ha beneficiato da sempre (moltissimi poi assolutamente attualissimi). Quanta Roma c’è nelle tue canzoni e quanto influisce una realtà sicuramente complessa, articolata (e probabilmente unica) come quella romana nei tuoi testi?
Negli ultimi anni la mia vita si è divisa un po’ tra Roma e Milano. Quindi ho vissuto per la prima volta l’allontanamento ed il ritorno, non sempre voluti fino in fondo a seconda del caso. Sento molto quest’aspetto in “Gianicolo”, ad esempio, prodotta dagli Aegeminus, romani anche loro. È una città che, data la sua complessità, continua a formare personalità artistiche con le spalle grosse.
Il tuo album è prodotto da Macro Marco, che oltre ad essere da anni un famoso beat maker e produttore, negli ultimi anni ha lavorato, tra gli altri, con artisti come Mecna e Ghemon (solo per citare quelli più conosciuti “ai più”). Com’è nato il vostro incontro e come è stato lavorare con lui? E quanto la sua esperienza è stata per te “vitale” nella realizzazione di questo album?
È un po’ un cerchio che si chiude, questa collaborazione, dato che tra le basi su cui ho scritto le mie prime canzoni figurano diverse produzioni sue, all’epoca già disponibili su YouTube in versione strumentale e in rotazione nelle dance hall romane. Per questo quando Macro mi ha proposto di lavorare insieme dopo aver sentito il progetto embrionale di “Onde” non ho avuto dubbi. Abbiamo dei gusti musicali affini e credo siano quelli in cui entrambi abbiamo visto qualcosa. Nel mio caso la possibilità di crescere come artista facendo la musica che mi piace di più: “Onde” è davvero solo l’inizio.
Un’ultima domanda. È per tutti un’annata folle, in cui ogni tipo di progettualità vive alla giornata, ma ti chiedo se ci sono già nell’aria delle novità per che ti riguardano, ulteriori pubblicazioni o, con tutte le restrizioni del caso, anche dei live o degli showcase per portare in giro il tuo lavoro.
Stiamo continuando a lavorare a nuova musica, non voglio smettere di farne uscire. La dimensione live mi manca fino a stare male: è quella che preferisco. Dobbiamo mantenere forte il dispiacere per quanto non stiamo vivendo adesso, per poter tornare alla normalità il prima possibile quando quest’assurda situazione lo permetterà.