La “Serata Banale” di Mameli racconta la monotonia di una generazione
Mario Castiglione, in arte Mameli, classe 1995. Lascia la Sicilia ad appena vent’anni per inseguire il sogno della musica; lo scorso 26 aprile pubblica “Inno“, suo primo EP, che porta in copertina i colori della sua Catania.
Nella sua carriera artistica vanta già una collaborazione con Alex Britti, nel brano “Anche quando piove“, che ci ha tenuto compagnia nell’ultimo mese d’estate. Da qualche settimana, invece, è tornato in radio con “Serata banale“, singolo in cui sperimenta nuovi sound, senza tuttavia allontanarsi dall’identità artistica già trovata in Inno.
Quello di Mameli è un cantautorato attuale, che si fa portavoce della generazione dei ventenni di oggi, inseriti in un mondo che chiede loro di andare sempre più veloce. In “Serata banale“, denuncia gli effetti che ha su di noi questa società, che, abituandoci ad avere tutto sempre e subito, ci toglie un po’ di curiosità, e forse, anche un po’ di voglia di metterci in gioco. Perennemente connessi, ci rendiamo conto, invece, di quanto siamo soli anche tra una folla di persone, e la monotonia sembra essere l’unica certezza con cui abbiamo a che fare:
“Oggi guarderò il telegiornale / Tanto tu di uscire non ne vuoi proprio sapere / Serata un po’ banale / In mano il cellulare / Da troppi giorni amore che mi sembra tutto uguale / Io non lo rifarei.“
In occasione dell’uscita del singolo, abbiamo fatto una chiacchierata proprio con lui, per conoscerlo da vicino e farci raccontare qualcosa di più su “Inno” e “Serata banale“.
Come è nato il tuo rapporto con la musica e come è evoluto, e sta evolvendo, negli anni?
Ho iniziato quando ero bambino. Prima piano classico, poi per i quattordici anni ho ricevuto una chitarra in regalo da mio papà. Lì ho scoperto che mi piaceva scrivere e ho mollato il piano. Poi la scoperta del digitale, le produzioni.. A 20 anni ho firmato con la Sugar, è stata la prima cosa importante della mia vita, ma forse non ero ancora pronto. Con loro è stata una parentesi che mi ha aiutato a scoprire chi sono. Mi hanno pescato da Catania, ho mollato l’università per lanciarmi in qualcosa in cui credevo davvero, ma ancora non mi conoscevo così bene. Così quando è finita sono stato fermo per un po’, ho sentito il bisogno di chiarire che persona fossi prima di capire che tipo di artista sarei voluto essere.
E adesso eccomi qua.
Sei seguito da una fetta di ascoltatori che, per definizione, tende a staccarsi dalle logiche del grande schermo. Qualcosa si è mosso negli ultimi due anni, e l’Indie sta conquistando anche questo mondo, a partire dal Festival di Sanremo. Cosa ne pensi? Come la vedresti una tua partecipazione a Sanremo?
Penso che stiamo parlando di un fenomeno non così nuovo in realtà. Forse oggi fa figo chiamarlo così, io sono un cantautore, non mi importa tanto essere etichettato come cantante indie.
Il cantautorato fa parte delle radici della nostra cultura musicale, è passato dalla tv agli stadi. Sanremo sarebbe divertente, forse ancora non è il momento. Quest’anno non abbiamo provato, magari l’anno prossimo. Chissà.
Hai lasciato Catania ad appena 20 anni per trasferirti a Milano. Se oggi potessi incontrare quel ragazzo che, quattro anni fa, si mise in viaggio per una città così lontana dalla sua, cosa vorresti dirgli?
Mi direi che ho fatto bene. Non per le cose belle che stanno succedendo, ma semplicemente perché fare qualcosa in cui credi è più appagante. Viceversa se avessi voluto fare l’avvocato e non il cantante, anche con 10 dischi di platino non sarei stato felice.
Molte persone si lamentano di non essere felici di quello che la vita gli ha permesso di fare. Questa cosa mi rattrista molto, non c’è cosa peggiore probabilmente
Hai deciso di ricordare le tue radici nella copertina di “Inno”, con i colori della squadra della tua città. Dal punto di vista musicale, invece, quanto c’è nei tuoi brani del cantautorato siciliano? Ci sono modelli della tua terra che senti particolarmente vicini a te e che ti ispirano?
I colori della squadra della mia città rappresentano la città stessa. È stato un modo per inserire Catania. Non ho grossi riferimenti di altri artisti passati da qui, ma ritengo la città un luogo pieno di spunti creativi per me .
Ci sono profumi e fotografie molto contrastanti, passi dal mare alla montagna in un secondo. È un posto raro.
In “Inno” ci sono due brani che si collegano al mondo del cinema: “Netflix” e “Casa di carta”. Se avessi la possibilità di scrivere la colonna sonora di un film, o di una serie tv, quale sceglieresti? Come ti vedresti in questo ruolo? Ti piacerebbe collaborare con il cinema?
Sinceramente non è una cosa a cui ho pensato. Per adesso non è un pallino. Quei titoli derivano da situazioni quotidiane, niente di più. Mi piacerebbe scrivere il prossimo inno dell’Inter, la mia squadra. Ma mentre ve lo dico mi rendo già conto di sognare.
“E quando sto con te / è tutto un equilibro instabile / nella mia casa di carta“. Nella tua vita c’è una Tokyo (non intesa esclusivamente in senso amoroso) che puntualmente arriva e distrugge il tuo castello di carte?
Molto spesso me stesso. Ho il grande potere di mettermi in difficoltà. Spesso mi faccio paranoie su scelte da prendere molto semplici. La verità è che probabilmente non c’è nulla di così semplice, quindi continuerò a farmele.
In precedenti interviste hai affermato di essere cresciuto con la musica di De Gregori e di Alex Britti. Con quest’ultimo hai collaborato da poco, in “Anche quando piove”. Come è stato lavorare con uno dei tuoi punti di riferimento musicali di sempre? Quali insegnamenti ti ha lasciato?
Alex è un grande. Penso tutta la mia generazione da piccoli sia cresciuta con lui. Scrivere una canzone insieme é stata una botta di emozioni. È una persona fichissima, sono stato a casa sua tre giorni e abbiamo solo mangiato e suonato.
Grande artista, e ho scoperto anche super bravo in cucina. Siamo diventati amici, ci sentiamo spesso, mi sento legato a suo figlio Edo.
“Serata banale” è il tuo ultimo singolo: è stato preceduto da una serie di post, nei quali sei ritratto in una situazione fuori-contesto: sul divano, di sera, in mezzo alla strada, tra le luci delle macchine. Racconti in modo scanzonato la condizione un po’ paradossale che viviamo: la frenesia fisica a cui siamo costretti, sembra causare, di riflesso, una staticità psicologica. Cosa fai quando ti senti soffocare dalla frenesia e hai bisogno di fermare tutto?
Serata Banale è esattamente il momento prima della presa di coscienza che il mondo non è così scontato come sembra. Nella canzone sono in sbatti e non mi va di uscire, preferirei starmene a casa perché tanto fuori sembra tutto uguale. Viviamo di mode, parliamo sempre delle stesse cose.
Alla fine del pezzo però c’è la consapevolezza che non è così. Probabilmente siamo bombardati da così tante informazioni che abbiamo perso la curiosità di scoprire. E fuori c’è un botto di roba da scoprire, dovremmo sentirci costantemente consapevoli di questa cosa, invece alcune volte ci culliamo.
Dopo la date di Milano e Catania, potremo sentirti anche in altre città? Stai lavorando a un tour?
Ne vedrete delle belle, per adesso non posso dire molto altro su questa cosa. È chiaro che fare i concerti è la parte più bella, sicuramente il motivo per cui ho scelto di vivere di musica.
Chiara Grauso
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