(Tempus) fugit! Il nuovo lavoro discografico di caspio, lungi dall’essere un concept album narrativo, propone una chiacchierata accorata e nostalgica sull’elemento metafisico del tempo. Quest’ultimo è reso presente e necessario poiché reservoir di esperienze, volti e situazioni. Il cantautore gli cammina accanto, confrontandosi in un dialogo innaturale ma intimo. Le strutture testuali ne sono influenzate oltremodo, risultando quasi piccole isole da proteggere da una tempesta placida ma inesorabile. Le esperienze di vita non risultano mai urlate o contestate ma inquadrate come “animale raro”, qualcosa che soffrendo va protetto.
La tempesta emotiva dei testi si riflette nella molteplicità di influenze musicali a cui caspio affida le sue strofe: una elettronica meticcia e sporca, capace di generare figli bastardi sospesi tra New Romantics ed Euro Dance. Il tempo fugge e scava la pietra: le sonorità evolvono e a lui sembra non importare di aver preso il buono (ed il meno buono) da ognuna di loro. Che sia l’aperitivo radical chic o la maglietta sudata, tutto appare prezioso e da mettere in saccoccia. In definitiva, un lavoro capace di raccontare qualcosa senza la necessità di dover pulire o sfoltire solo per sembrare migliori. Non ha velleità di perfezione: è un racconto di formazione, qualcosa a cui guardare con rispetto (e nostalgia) tra qualche anno per riconoscersi e, perché no, cambiarsi (senza necessariamente migliorarsi).
Abbiamo rivolto dieci domande a caspio.
(tempus) fugit. Il tempo come fil rouge del tuo EP, come esortazione, monito. Perché hai scelto questa particolare sfumatura del concetto di tempo? Siamo nell’epoca dell’eterno e del fast a tutti i costi. Valutiamo gli eventi su storie di 15 secondi. Secondo te ha senso parlare di tempo oggi? O è proprio fondamentale parlarne?
Per me il tempo è sempre stato un nemico, fin da ragazzino l’ho visto sfuggirmi dalle mani. L’ho usato male perché non sapevo come gestirlo, ora so come usarlo ma mi sembra di non averne mai abbastanza. Credo che sia l’unica cosa che per me conti davvero. È la strada su cui lasci i ricordi, che percorri con le persone che – lo vuoi o no – fanno parte della tua vita. Oggi più di sempre bisogna parlare di tempo perché non ce n’è più, ci è stato tolto, l’abbiamo dedicato al nulla di qualcun altro perché spesso non abbiamo le energie per riempirlo con qualcosa di nostro.
Il tempo. Non sei propriamente un ragazzino, caspio. Quale può essere il plus o il minus della tua narrazione musicale? In altre parole, perché dovremmo e perché non dovremmo ascoltare cosa hai da dire.
Non credo si debba per forza ascoltare quello che dico. Io parlo solo delle cose che mi stanno a cuore. Penso fermamente che la musica sia condivisione e che, dunque, serva per farci sentire meno soli. Confido nel fatto che la mia musica arrivi a chi ha ancora la voglia di “ascoltare”, non tanto il sottoscritto, ma quello che gli gira attorno.
Anche Giorni Vuoti aveva come prima traccia “Il tempo”. Quale è l’evoluzione più marcata della tua produzione? Potendoli suonare contemporaneamente, il punto di contatto più evidente e la distanza più marcata.
Diciamo che l’elettronica è rimasta, per il momento, la base su cui costruisco i brani. Ci sono dei temi a me cari cui penso di essere rimasto fedele. Questo è il punto di contatto, il resto è cambiato completamente. Questo EP l’ho scritto in pochissimi mesi, di getto. Ho scritto “mai” a novembre dell’anno scorso e a dicembre ero già in studio. Nel giro di pochi mesi avevo il resto. Non mi sono perso in mille tentativi di produzione home made, le sonorità erano già inscritte nei pezzi. Non ho dovuto pensare “e adesso di cosa parlo?”, c’era già tutto e credo si senta. Giorni Vuoti – al contrario – era frutto di brani costruiti e smontati più volte perché non ero ancora così sicuro di chi fossi a livello artistico.
Hai dichiarato di aver fatto tesoro di tutte le rivoluzioni musicali a cui hai partecipato e che la tua musica è una grande insalata armonica. Quale sarà la prossima rivoluzione a cui assisteremo? Cosa ascolteremo tra dieci anni?
Vi confesso che ho una disperata voglia di tornare a qualcosa di più organico, più suonato, di non dover attendere la produzione del brano per sentirmi soddisfatto. Alcuni brani di fugit sono già su questa strada, “domani” più di tutte. Sono un po’ stanco della tecnologia e delle sovrastrutture che impone, voglio che la mia musica si possa suonare con qualsiasi strumento. Detto questo, non so dire cosa sarà di questo progetto tra 10 anni, so soltanto che per me fare musica è un viaggio e ad un certo punto credo tornerò “a casa”.
In “un attimo” la narrazione è cupa, notturna. Sembra quasi un viaggio onirico. Nelle tue tracce spesso il contatto con l’altro è sfuggevole, doloroso. Come è cambiato il valore delle relazioni umane? La musica riesce a cogliere questa paura, anche alla luce dei tempi in cui viviamo?
Riallaciandomi alla prima domanda, se non c’è tempo è difficile che ci sia relazione o che la qualità sia tale da risultare realmente significativa. Detto questo, non saprei dire con certezza se le relazioni hanno effettivamente perso valore. Sono fortunato, ritengo più importanti le relazioni che ho costruito negli ultimi anni rispetto a quelle della mia intera vita, ma la mia storia personale è insolita. In ogni caso, la musica può cogliere qualsiasi cosa, è chi scrive che deve essere capace di usarla al meglio e, forse, è proprio questo quello che manca.
Alla domanda precedente mi ricollego parlando di “bilico”. In maniera figurativa, la traccia è anche il rapporto dell’artista con la musica, con la sua arte in generale. Cosa ti ha permesso di continuare a crederci? Sei mai stato in bilico?
Io vivo in bilico, perennemente. Purtroppo appena mi fermo anche per un solo secondo mi ritrovo immediatamente sul baratro del “Perché lo sto facendo? Non sarebbe meglio fare altro?”. Credo che oltre all’amore sconfinato per questa arte (che forse oggi è una di quelle poche cose che mi fa davvero sentire vivo), sia proprio la paura di non fare abbastanza del tempo che ho a disposizione a darmi la spinta per fare tutto al massimo delle mie possibilità. Se no cosa ci facciamo qui?
“domani” è prospettiva, speranza, necessità. È la pecora nera del disco?
In realtà è tutt’altro che la pecora nera. È passato, presente e futuro contemporaneamente. Non vi nego che per me sia un brano estremamente importante e che riascoltarla mi fa un certo effetto. “domani” è un brano conclusivo che si propone come un nuovo inizio. Parla di un presente che affatica, logora, ma in cui c’è sempre la speranza che potrebbe andare tutto in modo diverso. Parla di un futuro che può essere diverso, inatteso, che non sarà mai come lo volevi, in cui non servirà più camuffarsi. E poi, in sottofondo c’è un velo di nostalgia, quella che non sai spiegarti, che non ha un apparente motivo e questa sensazione non può che appartenere al passato.
Se dovessi ricondensare tutto “fugit” in una traccia non tua… quale sarebbe?
1979 degli Smashing Pumpkins. Quando l’anno scorso sono ripartito da zero con questo progetto, volevo riappropriarmi di quei momenti in cui la musica per me era estremamente magica, ovvero quella fase in cui ho smesso di essere un bambino e sono diventato un adolescente. Ho pensato subito a questo pezzo e all’immaginario che mi scatenava, all’energia positiva che portava appresso, ad MTV, alla voglia di fare musica per essere liberi. La cosa incredibile è che di recente è venuta fuori la vera motivazione per il quale questa canzone si chiama così: nel 1979 Billy Corgan stava attraversando proprio quella fase di cui vi sto parlando e quando la scrisse 15 anni dopo voleva proprio far riemergere la nostalgia per quel periodo della sua vita come il sottoscritto.
La location ideale per la musica live ed il tuo rapporto con le esibizioni.
Per me la dimensione del club sarà sempre la migliore. Sei tra il pubblico fino a un momento prima a confonderti tra la gente con qualcosa da bere in mano. Poi fai due scale e subito cambia tutto, hai l’attenzione di quelle persone e devi far sì che non venga sprecata. La distanza è quella giusta, quella sufficiente a guardare le persone negli occhi e vedere se quello che stai facendo funziona davvero.
Ti confesso che sono anni che non suono live. Questo progetto è partito a fine 2019 e non ci sono state chiaramente le condizioni per portarlo in giro per l’Italia. Quindi, al momento non saprei dirti qual è il mio rapporto con le esibizioni, spero di poterti dire qualcosa di più la prossima volta.
Perché il tuo nome è scritto in minuscola? Te lo avranno chiesto tutti ma voglio la verità.
La verità è che soddisfa il mio bisogno di ordine. La linearità degli oggetti, le simmetrie sono per me fondamentali. E poi “caspio” è per me più un concetto che un nome. Come ho detto prima, per me la musica è un viaggio. Avevo bisogno di andare verso luoghi inesplorati, lontani da me, per ritrovare me stesso.