The Leading Guy e i suoi dodici racconti pop folk: “Twelve Letters”

Intime riflessioni in lingua inglese che gravitano tra orbite pop e folk: The Leading Guy segna i suoi primi cinque anni di attività pubblicando il secondo disco, dal titolo “Twelve Letters”. L’abbiamo raggiunto per un’intervista, dove si parla degli sviluppi della sua musica, di De Andrè ed Elisa.

Quasi cinque anni di carriera con questo progetto, ed arriva un nuovo disco, intitolato “Twelve Letters”. Puoi spiegarci che periodo è per The Leading Guy e come “nasce” questo disco?

È un periodo molto intenso e ricco di soddisfazioni. Ho appena concluso un tour bellissimo insieme ad Elisa e sto per annunciare la mia prima esperienza con una  band nei principali club italiani. Per natura non do nulla per scontato e mi ritengo molto fortunato. Il disco nasce da cinque anni di incontri, viaggi e riflessioni. Rispetto al mio primo lavoro (Memorandum) ho cercato di aprirmi verso l’esterno alla ricerca di una “comunicazione” che a mio avviso stiamo perdendo. Abbiamo la possibilità di comunicare istantaneamente in tutto il mondo ma forse ci siamo scordati cosa volevamo dire. Ho coinvolto il produttore Taketo Gohara e molti musicisti, cercando di spostare  la mia musica dal “IO” verso il “NOI”.

Il sound ricorda un po’ Wrongonyou e The Niro, come anche la scelta di cantare in lingua inglese. Urgenza espressiva oppure ritieni opportuno abbracciare un maggior numero di ascoltatori?

Direi entrambe le cose. Ho cominciato a scrivere le prime canzoni mentre vivevo in Irlanda e non ho mai smesso di utilizzare l’inglese come lingua per esprimermi. Quando parlo penso in italiano ma quando scrivo è l’inglese la mia lingua. In Italia vogliono farti credere che non c’è spazio per l’inglese ma io sono fiducioso. Quando mi chiedono “perchè non canti in italiano” penso ai concerti fatti all’ estero e sorrido.

Dinamica simile anche per la grande artista pop che attualmente sta aiutando il tuo progetto a crescere: parlaci dei concerti con Elisa, com’è collaborare con lei e cosa ne pensa della tua musica.

Elisa è un artista unica nel panorama italiano e fare un tour con lei mi ha insegnato cosa significhi lavorare davvero in ciò in cui si crede. Il suo livello di professionalità è altissimo ed è una fortuna poterla osservare mentre lavora. Con lei è nato tutto molto spontaneamente. Ho collaborato con il marito (Andrea Rigonat, suo chitarrista dal 1995) e da li è nata la possibilità di condividere un pezzo di strada insieme. Quando mi ha chiesto di cantare De Andrè insieme a lei, a Genova, ho capito quanta stima riponga in me. È stato bellissimo.

Proprio a riguardo di Elisa, che col tempo ha anche sperimentato con successo la composizione di hit in italiano, ti ritroveremo mai a cantare brani inediti non in inglese?

Non sono contro l’italiano e spero un giorno di poter percorrere anche quella strada, al momento però la vivrei come una forzatura. La musica per me è espressione e fatico a trovare “la mia voce” in una lingua che musicalmente non mi appartiene per genere e melodia. Quando mi sentirò pronto non avrò nessun problema ma al momento mi tengo stretto “Twelve Letters”.

Tornando a “Twelve Letters”, il disco verte sul concept di una comunicazione intima, quasi sussurata e scevra da condizionamenti esterni. Sono tempi dove va forte l’ascolto leggero, di brani che almeno a primo impatto sembrano comunicare poco…proprio in fasi del genere, quanto diventa necessario restituire alla musica una profondità troppo spesso abbandonata?

La metafora di Twelve Letters è proprio questa. Quello che non mi torna di questi tempi è la facilità con cui si pubblicano canzoni e la poca curiosità di chi le ascolta. La colpa è dei musicisti che hanno cominciato a comporre musica cercando un risultato immediato in chi ascolta. Cosi facendo il pubblico ha “perso l’orecchio” e il livello generale si è abbassato drasticamente. Da musicisti abbiamo l’obbligo di dare alle persone il nostro meglio anche se non verrà capito istantaneamente. Vendiamo qualche disco in meno ma proviamo ad alzare la qualità.

Approposito di grandi cantutori, hai contribuito a “Faber Nostrum” con la canzone “Se ti tagliassero a pezzetti”: ci puoi dire di più su questa esperienza e motivare la scelta di questo brano?

È stata un esperienza impegnativa ma che mi ha dato grande soddisfazione. Il primo pensiero quando mi hanno contattato è stato quello di rifiutare. Non avevo mai cantato in italiano e cominciare con De Andrè mi sembrava un suicidio. Poi però mi sono buttato e sono felice di aver partecipato. Credo ci sia bisogno di De Andrè, oggi più che mai, e il fatto che a cantarlo siano stati dei giovani non può che aiutare. Il disco può piacere o non piacere ma il fatto che ragazzi di 19 anni parlino di Faber mi fa capire che l’obbiettivo è stato raggiunto. Questo disco è per loro, i giovani, che avranno il compito di tenere vivo un artista che non dobbiamo dimenticare. La scelta di “Se ti tagliassero a pezzetti” è stata naturale. Arrivando dalla lingua inglese avevo bisogno di qualcosa che “rotolasse” e le parole di quel brano erano perfette.

Il disco è stato pubblicato da meno di un mese: cos’ha in programma per l’estate The Leading Guy?

Un po di riposo dopo l’esperienza con Elisa e poi comincio a preparare il tour con la band che partirà ad Ottobre. Per la prima volta porterò il mio spettacolo nei principali club italiani e voglio dare il massimo per creare qualcosa di “bello”.

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