“Vitamina Life” di Tripolare: un ritorno all’essenzialità da prescrivere a tutti
Immediato, fresco, ancorato. Sono questi i tre aggettivi che balzano in mente ad un primo ascolto di “Vitamina Life“, l’album d’esordio di Tripolare, al secolo Gabriele Centurione, giovanissimo artista partenopeo “esploso” lo scorso anno.
Immediato, fresco e ancorato. Ancorato al presente e all’istinto creativo che dal presente si sprigiona, ma anche caratterizzato dalla ripetizione di un’ancòra tutto da rielaborare, esplorando l’eredità del passato e dei mille stimoli cui siamo sottoposti, senza lasciarli stagnare bensì dando loro linfa nuova.
Proprio a partire da questo concetto, semplice quanto forse complesso da mettere in pratica, abbiamo iniziato la nostra chiacchierata con Tripolare, fra essenzialità, evoluzione ed introspezione: ovvero i tre poli del suo fare musica.
Le canzoni di “Vitamina Life” sembrano dei veri e propri fermo immagine. Cominciamo dunque dalla copertina: ce la spieghi?
Penso sia il fedele ritratto dell’evoluzione darwiniana che ha caratterizzato la mia persona in questi due anni, durante i quali ho fatto musica senza pormi troppe domande e dunque in uno stato di positiva confusione dal quale ho poi potuto attingere per comporre i brani del disco. Ogni volta che osservo il disegno stilizzato in copertina posso notare cose diverse: un uccello “ordinato” e perentorio, ma anche quella cresta punk che gli dona una certa irriverenza. Ha le gambe, ma pure le ali, e non si riesce a capire che tipo di volatile sia. Un eterogeneo mix di stranezze e stimoli: la stessa temperie da cui nasce anche la mia musica.
A proposito, dunque: da dove nasce la tua musica? Quali sono il tuo background musicale e gli stimoli da cui trai ispirazione?
Sin da piccolo ho studiato musica classica: suonavo il violoncello e l’ho portato avanti fino alla fine delle scuole superiori. Allora concepivo però la musica come un mondo caratterizzato più dall’interpretazione che dalla composizione vera e propria, per cui ho cominciato ad esplorare il mondo della produzione, avvicinandomi al rap e ai suoi sottogeneri per poter produrre i lavori di un mio amico. Parallelamente mi sono appassionato a tutta una serie di generi dove la musica suonata la faceva da padrone: rock e grunge, ad esempio, con i Verdena.
Crescendo nel settore, e lavorando con i Thru Collected, ho avuto anche modo di contaminarmi con sonorità diverse, provenienti in questo caso da una buona dose di pop, condita con sintetizzatori, drum machine e affini. Questo mio album d’esordio è forse un po’ il frutto di tutte queste sperimentazioni: che ho abbracciato, dalle quali ho attinto e che poi ho abbandonato, trovando la mia quadra personale.
Una quadra tutto sommato essenziale, fatta di voce, chitarra, basso e batteria capaci di fondersi in un viaggio musicale ricco di sorprese e di contrasti.
Questo perché scrivo e compongo i contrasti che vivo, fondamentalmente. E in tutti i pezzi emerge come l’oggi mi abbia sempre salvato e come, proprio alla luce dell’oggi, ogni cosa prenda forme migliori. Perché l’esistenza, semplice ed immediata, ci richiama costantemente al presente. Si tratta di un ragionamento essenziale: così la musica che lo esprime, proprio per questo motivo, lo è altrettanto.
Ho letto che la title track, “Vitamina Life”, l’hai composta in un’istante di rivelazione, mentre tornavi a casa ubriaco da una serata.
Proprio così. In quel momento avevo capito chi e che cosa contasse davvero per me nella vita e ho voluto metterlo in musica. Un frame che è come un promemoria, da riascoltare ogni tanto per ricordarselo. Oltre alla necessità di cambiamento, nel cuore di questo progetto c’è anche quella che a tratti è una richiesta di serenità: un invito ad abbandonare il peso delle preoccupazioni e delle difficoltà quotidiane, abbracciando la “vitamina life” che è in noi (e negli altri).
“Lame e collane” è un altro esempio di questo messaggio.
Una traccia dove il ritmo incalza e dove, nel testo, mi trovo a ripetere quasi ossessivamente il titolo. Penso che rappresenti un po’ il tentativo, a volte sofferto, di innescare una comunicazione, di sedimentare un linguaggio, per criptico che sia. Viviamo in un mondo dove esprimersi per davvero sembra sempre tanto difficile.
Nell’album questa tua urgenza espressiva ha trovato “casa” anche in cose diverse dal tuo peculiare stile, di cui abbiamo parlato prima. Ad esempio esplorando un po’ l’elettronica, con “Plexiglass”.
Diciamo che, per quanto in Plexiglass siano presenti alcuni inserti elettronici, li reputo sempre un contorno, non la parte principale del brano. Poi mi sto rendendo conto che si tratta di fasi, musicali ed esistenziali: magari domani mi sveglio con nuove idee da esplorare e trasformare. Per ora il mio equilibrio musicale è dato da questo intersecarsi di fattori: essenzialità, introspezione ed evoluzione personale.
Tre fattori che si possono configurare come i tre poli di Tripolare. Quali invece i tre dischi che ci consigli di ascoltare, per capirti ancora meglio?
Two Stars & The Dream Police di Mk Gee, che è uscito recentemente. Poi Die for my bitch di Baby Keem, un disco rap che mi trasmette molta leggerezza ma in cui riesco a trovarci anche qualcosa di Vitamina Life, nel senso che pure in questo caso la musica è estremamente essenziale e si muove sulla scorta di due/tre elementi. Infine ma non da ultimo, Gemini Rights di Steve Lacy.
Monica Malfatti
Beatlemaniac di nascita e deandreiana d'adozione, osservo le cose e amo le parole: scritte, dette, cantate. Laureata in Filosofia e linguaggi della modernità a Trento, ho spaziato nell'incredibile mondo del lavoro precario per alcuni anni: da commessa di libreria a maestra elementare, passando per il magico impiego di segretaria presso un'agenzia di voli in parapendio (sport che ho pure praticato, fino alla rottura del crociato). Ora scrivo a tempo pieno, ma anche a tempo perso.