La wave di San Diego nel nuovo disco “ù” [Ascoltalo in anteprima qui]
Un anno dopo la release del primo singolo, San Diego (De Gregorio) si appresta a chiudere il cerchio attorno alla sua seconda pubblicazione discografica. Dalla collaborazione con Mattonella Records e Grifo Dischi nasce “ù”, dieci brani che suonano una wave la cui struttura fondante è stata plasmata nel primo disco, datato 2017.
Continuità artistica e voglia di raccontare una fase di catarsi, spogliando le melodie di tutto ciò che poteva risultare superfluo: il risultato è un ascolto che piace e si piace, atmosfere dance dove strumenti analogici e digitali dialogano col giusto feeling.
Più che proporre canzoni agli ascoltatori, San Diego disegna paesaggi sonori in cassa dritta e voce effettata, spaziando fra social e scazzi quotidiani sotto un cielo vapor. Per approfondire “ù”, gli abbiamo rivolto qualche domanda.
Ciao San Diego, obbligato riopartire chiedendoti perché hai scelto questo titolo a dir poco peculiare per il tuo nuovo disco.
Ciao. Banalmente, stavo brainstormando al computer vari titoli papabili per il disco quando per errore si è cancellato tutto trasformandosi in “ù” sul foglio di testo. Ho capito immediatamente che il titolo doveva essere quello, l’ho trovato emblematico. Tra l’altro ricorre praticamente in tutte le tracce.
È molto interessante il lavoro di costruzione del suono, hai una wave tutta tua proiettata oltre i confini nazionali ed è bello avere qualche difficoltà per trovare termini di paragone con altri artisti. A tratti ho sentito i Capital Cities, ma quali sono i tuoi riferimenti artistici principali?
Ti ringrazio, ma devo dirti che non ho riferimenti precisi a cui mi ispiro quando concepisco la musica, al limite un momento di un pezzo X ascoltato per caso può farmi accendere la luce. Il fatto è che vorrei sempre -al netto di riuscirci o meno- creare qualcosa che non esiste e che mi piacerebbe ascoltare, può sembrare scontato ma è solo questo che mi smuove a scrivere. Quando sentirò che tutto quello che ascolto mi soddisfa probabilmente smetterò di comporre musica.
A me non piace molto cercare di racchiudere un prodotto discografico in un genere preciso, ho letto che usi la definizione “nu-italo-disco”, è qualcosa che mi riporta alla mente un sapore di anni ’80, ed il lavoro di (ri)scoperta che stanno facendo artisti come i Nu Guinea. Ti senti vicino alla loro idea di musica?
Loro mi piacciono, l’ultimo disco è bello e si sente che dietro c’è un lavoro più profondo della media. Tuttavia le uscite musicali attuali in genere anche se (raramente) attirano la mia attenzione mi lasciano un po’ più freddo rispetto a prima. Sarebbe un discorso molto lungo e complesso ma la mia sensazione è che da quando la produzione è diventata più importante dei contenuto non c’è la stessa visceralità trasferita in questo nuovo modo di approcciare la musica. Ma forse è solo una questione di tempo.
Ascoltando “Doccia” mi sembra di ritrovarmi da Pull&Bear a comprare una felpa: a scanso di equivoci, è un complimento. Apprezzo molto le playlist di quel brand e credo questa sensazione confermi la tua dimensione internazionale nel panorama pop. Credi d’appartenere alla forma live di concerto o pensi che “ù” possa essere un disco declinabile in forma dj set ad orario aperitivo?
Qualsiasi sensazione può andare bene, ci sarà sempre un fondo di verità dettata dal singolo che la interpreta. Per esempio chi sta leggendo sarà entrato almeno una volta nella vita in un negozio del genere e quello che facciamo al di fuori dell’arte influenza ancora parecchio, inconsciamente o meno. Per quel che riguarda la fruizione è stato concepito sia per i live che per i dj set, magari meno (anche se si tratta sempre di pop) alla schitarrata da falò sulla spiaggia, per dire.
“Flexo un flusso come fossi sempre all’infinito” (dal testo di LOL) è un’allitterazione che mi fa impazzire. La tua ricerca testuale sembra focalizzata molto sul presente, sui termini di questa vita quotidiana iper-connessa. Esigenza spontanea o scelta studiata… che magari tra qualche decennio ti proietterà in qualche libro di letteratura italiana?
Ti ringrazio ancora, magari. In realtà in principio viene tutto molto di getto ma poi c’è un lavoro articolato per curare i particolari. Di base sarei un maniaco dei dettagli ma a un certo punto mi freno un po’ perché poi avrei l’impressione di sottrarre naturalezza al tutto.
Dopo “Conchiglie”, si rinnova la collaborazione con Lo Sgargabonzi.
Ce l’eravamo promesso. E ne vado orgoglioso perché lo considero il miglior scrittore contemporaneo e mi piace molto anche come interprete.
A causa della ben nota emergenza sanitaria, anche il mondo della musica sta attraversando un periodo incerto dove c’è una fitta nube fatta di dubbi e calendari da riprogrammare. Insieme alle label che stanno spingendo l’uscita del disco, quali scazzi vi siete trovati ad affrontare?
Ovviamente c’erano dei piani ma ancora prima di definirli ci siamo trovati in questa situazione, quindi per il momento facciamo di necessità virtù e ci concentriamo sul digitale.
Curiosità personale: in “Abbraccione” canti “tante madonne e poco dio”. È una sensazione mia o c’è una R che manca?
Come accennavo anche prima, almeno nella musica ogni cosa per me dovrebbe avere la sua interpretazione personale e non un significato univoco, come provo a fare in tutti i testi che scrivo. Certo è che qualcuno una R mentre la canta potrebbe anche aggiungercela.
Ascolta qui in anteprima il nuovo disco di San Diego in uscita il 17 Aprile
Foto in copertina di Ilaria Ieie