Wrongonyou non poteva scegliere un titolo più azzeccato per il suo nuovo album: “Sono io” è un vero racconto in musica di come sia possibile fare pace con se stessi, guardarsi allo specchio e riconoscersi. Un album all’insegna dell’Amorproprio, dedicato a chi sceglie di non avere paura di lasciarsi andare e magari frequentare “Lezioni di volo”.
Quest’ultimo brano, vincitore del Premio della Critica nella sezione Nuove Proposte alla 71° edizione del Festival di Sanremo, racchiude l’intenzione dell’intero album “Sono io”. In questa intervista Wrongonyou, nome d’arte di Marco Zitelli, racconta in modo determinato, sincero e condivisibile, spaccati di vita e di introspezione, tra vertigini e vulnerabilità.
Il tuo nuovo album si intitola “Sono io” e sembra essere il simbolo di un rinnovamento, di una presa di coscienza e della propria autenticità e della propria unicità. Come è avvenuto questo processo?
Sì, ho scritto l’album durante il lockdown. A esclusione del brano “Sono io” che è precedente, una delle prime che ho scritto in italiano con Andrea Bonomo. Quindi ho avuto l’occasione di stare da solo quattro mesi e quindi è stata un’opportunità per studiarsi, per capirsi. Ho indagato il mio rapporto con me stesso, con la musica. È stata questione di riallinearsi, di guardarsi allo specchio. Durante il lockdown ho perso venti chili. Non mi piacevo, mi sono rinnovato. Fare questo disco è stata una necessità. Raccontando di me, ho potuto comprendermi meglio.
“Parlo coi ricordi senza capirci niente”. È una frase del tuo brano “Vertigini”. La musica aiuta a decifrare i ricordi?
Sì. Il fatto di non capirci niente coi ricordi riguarda il ripensare al passato e chiedersi come mai si ha agito in un certo modo. La musica è stata la salvezza, relativamente sia alla quarantena che il mio lavoro. La musica può fare solo bene.
Nel tuo nuovo album sono presenti vari temi, quali per esempio il lasciarsi andare, le vertigini, i ricordi. Verrebbe da dire che lasciarsi andare ai ricordi provoca vertigini, soprattutto ascoltando il brano “Lezioni di volo”. Mi racconti un po’ cosa ne pensi?
“Lezioni di volo” rappresenta l’idea di uccidere la paura di sentirsi liberi. Intendo libertà in senso umano e artistico. Inoltre, mi rendo conto che alcune cose del passato che sono andate storte spesso erano dovute a un auto-sabotaggio. Ho deciso quindi di fare un passo indietro, anche con le produzioni musicali. Mi son detto di fare un disco in primis per me, poi per chi l’ascolta. Sono contento che il mio team abbia sposato questa idea. Del resto, l’album in sé nasce con 20 brani, ne abbiamo presi 10. Quindi presto ci sarà un nuovo disco (ride, ndr)
E hai avuto le idee chiare sin da subito in fatto di scegliere i brani, di sonorità e di intenzioni?
Ho ragionato su questo con Riccardo Scirè e le idee sono sorte come un colpo di fulmine. Le sonorità ce le avevamo entrambi già chiare in mente. È stato un album che ho fatto senza ansia, senza eccessive discussioni. “Vertigini” è la prima canzone che ho scritto durante la quarantena e col tempo mi son reso conto di starmi mettendo sempre più a nudo. Ecco, il fatto che sarebbe stato un album in un certo senso biografico, è qualcosa di cui mi sono accorto successivamente.
C’è una frase del tuo brano “Nonno Bruno” che dice “Com’è il mondo senza la terra sotto i piedi?”. Cosa vuoi esprimere?
Ecco, la frase è catartica, come questo momento. Ecco, la morte è un mistero. Mi riferisco a mio nonno: l’unica cosa che so per certa è che lui, in questo momento, non ha i piedi su questa terra. Ogni volta che ne parlo mi viene da piangere. Vado spesso a trovarlo al cimitero. Gli ho anche fatto sentire la canzone, così, a volume basso.
Grazie per questo spaccato di vita. Un tuo brano si intitola “Prima che mi perda ancora”. A me piace pensare che il perdersi sia un modo alternativo per ritrovarsi. Forse perdersi è anche una scelta. Tu come la vedi?
Io mi son perso nel periodo in cui ho avviato la carriera. Secondo me ognuno vive sul piano della vita reale e parallelamente sul piano dell’ego. Stavo perdendo il focus. La musica stava andando in secondo piano. Ecco cosa significa perdersi per me. Perché per il resto c’è Google Maps. E quindi “Conto piano piano fino a dieci in automatico, prima che mi perda ancora”.