I 12 Migliori dischi d’esordio italiani del 2021, secondo noi
Siamo giunti, infine, all’ultimo articolo del 2021. Quella che vi proponiamo oggi è una classifica dei migliori dischi d’esordio dell’anno secondo la nostra redazione. A seguito di un sondaggio interno, per il quale erano stati selezionati circa 50 debutti, abbiamo raccolto i 12 più votati e li abbiamo elencati e analizzati qui sotto. Perché proprio 12? Semplicemente perché era il numero di contributors della redazione disponibili a scrivere per questo articolo.
Attenzionare progetti emergenti, all’inizio della propria carriera, è sempre stato uno dei pilastri fondanti della nostra community. Che lo si chiami indie, underground, sottobosco e quant’altro, il fascino della scoperta, la curiosità come motore di una ricerca incessante di germogli, di nuovi talenti della musica italiana, non ci ha mai abbandonato. Per questo motivo era necessario, o quanto meno doveroso, creare un contenuto, anche quest’anno, dedicato solamente a coloro che continuano ad avere il coraggio di puntare sulla musica; coloro che credono di poter portare, con la loro voce, qualche tipo di contributo nuovo al panorama italiano.
Sapete benissimo quanto sia fitta e inconoscibile nella sua interezza la foresta della musica italiana contemporanea: ne abbiamo parlato spesso, d’altronde. Per questo abbiamo bisogno, più di quanto pensiate, delle vostre orecchie e del vostro parere: pertanto, qualora riteneste che qualche disco d’esordio degno di nota sia stato ignorato, portatelo alla nostra attenzione commentando i post su Instagram e su Facebook di questo articolo.
E così ci salutiamo, torneremo tra un paio di settimane, nel 2022, sperando che sia un anno pieno di buona musica ma soprattutto di buona musica dal vivo.
12° Chiello – Oceano Paradiso (5 voti)
Quest’estate mi è capitato di ascoltare, per la prima volta, diversi brani da solista di Chiello, ormai ex FSK Satellite, e mi sono detta “cavoli, però questo è davvero bravo”. Strano come riesca a distaccarsi dal genere per il quale è diventato quello che è oggi. Poi è uscito Oceano Paradiso, un disco di cui non sapevamo di aver bisogno. Non è un album chiassoso come, forse, qualcuno si aspettava. Un vero cocktail di generi che mixa il cantautorato al pop con qualche nota di trap.
Un piccolo assaggio l’abbiamo avuto nel 2019 con il brano “Acqua Salata” che lasciò quasi tutti a bocca aperta. In questo disco non lo vediamo da solo, ma con Shablo con la gettonatissima “Quanto ti vorrei”, Greg Willen, Mace e il suo ex collega Taxi B. Chiello ha fatto il classico disco che giudichi prima di ascoltare. Pensi che non ti piacerà, ma che alla fine ascolti una seconda volta e così via. Cerchi di skippare, ma non ce la fai perché ti ritrovi in ogni maledetta canzone. Brano consigliato: “Golfo Paradiso” feat. Mace.
11° Sangiovanni – Sangiovanni (6 voti)
L’ep di esordio di Sangiovanni, prodotto del vivaio di Amici, vincitore della categoria “canto” dell’edizione ‘20-’21, si intitola iconicamente “Sangiovanni”. Si tratta di uno dei prodotti più riusciti da parte di un talent che ormai non riesce a stare al passo coi tempi o forse subisce la concorrenza, nonostante i molteplici tentativi di rinnovamento.
Entrando però nel merito del disco in quanto tale, la scelta del termine “prodotto”, non è casuale. Sangiovanni è un bravo ragazzo, con la faccia pulita che si mette lo smalto alle unghie, si veste di rosa e racconta nelle sue canzoni, che strizzano l’occhio all’it-pop, la sua storia d’amore con Giulia (ballerina vincitrice della categoria ballo che compare anche nei suoi video). Il suo successo è trasversale perché i ritmi delle sue canzoni sono orecchiabili, travolgenti e i suoi testi semplici ma efficaci. Perché il “prodotto” Sangiovanni gioca tutto sull’onestà. Non ostenta, non cavalca il successo, non si snatura.
“Ho una proposta sexy da farti: cresciamo insieme”.
“Sangiovanni” è un urlo di amore, tenerezza, ingenuità, autenticità che trasuda tutti i diciotto anni di un ragazzo che dice: siate liberi di vestirvi come vi pare e di amare chi vi pare. Nel 2021 dovrebbe essere un universale culturale, eppure siamo ancora fermi, nelle nostre categorizzazioni; ci fermiamo all’involucro e restiamo lì, fermi, tutti pronti a sentenziare, a sentirci migliori, diversi. Ma diversi da chi?
Di Carmen Pupo
10° Nervi – Un tipo timido (6 voti)
Ho scoperto Nervi lo scorso anno, grazie ad una cover pubblicata sui social durante il lockdown. Città vuota di Mina, se non erro, eseguita con la stessa eterna delicatezza della tigre di Cremona. Ecco, Un tipo timido è l’esatto opposto di quella cover: istanti di momentanea intensità scanditi da ritmi capaci di lasciare senza fiato al primo ascolto.
“Se tanto amore fai, la morte non ti chiama più”: proprio questi versi, rubati alla title track, sembrano definire precisamente la capacità intrinseca di questo disco d’esordio. Quella di fermare la morte con le canzoni, grazie a flussi di coscienza musicati ad arte e alla fluidità altrettanto spiccata che caratterizza le sonorità pure di ogni singola traccia. Ascoltare Un tipo timido significa fare un giro sulle montagne russe, staccare il biglietto per un viaggio ipnotico che cambia colore ad ogni traccia: è soul, è r&b, è synth pop, è acustico, è elettrico.
È il suono indecifrabilmente poetico di una tromba nel finale di “Rimandami se vuoi”; il veleno che scorre in vena, fra cuore e cervello, esplodendo in mille sfaccettature di riflessi, a restituire l’immagine complessa più adatta al bisogno di ciascun ascoltatore. È la voce di Nervi che mette a nudo il timido Elia, e viceversa. È, infine, quell’EP d’esordio che personalmente augurerei a chiunque di pubblicare.
9° Praino – Mostri, civette (7 voti)
Mostri, civette è la prima parte di un percorso che si concluderà con l’uscita del secondo EP di Praino. Inciso e registrato in una cantina, frutto di un’esigenza reale di dire delle cose, di esorcizzare le insicurezze e uscire dal guscio emotivo. Cinque canzoni che in un mondo distratto, che corre veloce e in cui è sempre più difficile catturare l’attenzione, hanno l’intensità di un disco fatto e finito. Cinque canzoni che suonano, nulla di artefatto, solo tanta voglia di incazzarsi, fare la pace, ballare sopra e sotto un palco.
Praino di emergente ha ben poco, nonostante i numeri e la sua notorietà lo rendano tale nel momento in cui sto scrivendo. L’ho visto sul palco qualche settimana fa e mi è sembrato di vederlo catapultato tra qualche anno su palchi giganti. Chitarre maleducate, sudore sulla pelle, voce intensa, capacità di scrittura immediata. Cosa manca a questo ragazzo? Proprio nulla, il suo è un percorso solo in crescita. Poi siccome sono una romantica, vi consiglio di ascoltare “Potresti essere tu”, una canzone intensa, dolce ma graffiante. Estremamente vera, come tutto quello che scrive Praino. Eccezione rara, ad oggi.
di Giulia Perna
8° Mobrici – Anche le scimmie cadono dagli alberi (7 voti)
La palude agrodolce dei vecchi fan, il guano de “non avrai lo stesso successo”, le incognite di una icona de “ero indie prima di te”. Matteo Mobrici aveva, teoricamente, tante bucce di banana da attenzionare. “Anche le scimmie cadono dagli alberi”, corposo proverbio cinese, non delude le attese e si mostra per quello che è: l’esordio da solista dell’ex leader dei Canova. Un’esperienza a cui tributa grande affetto mutuandone strutture narrative ma estremizzandole in un malinconico egocentrismo emotivo.
Lo scorrere dei giorni, i tassisti della notte, le scorie di rapporti mai davvero sopiti. Confermata la capacità di scrittura, lo spazio oggigiorno si restringe. I riflettori sono tutti puntati su di lui, senza grosse interferenze esterne. Coraggiosa ma coerente la carta d’identità (e prima traccia) tracciata in “Cantautore”. “Io sono un cantautore… vivo nel dolore, ai margini della città”. Basterebbe forse questo testo per comprendere alcune scelte di Matteo e poter fruire in maniera genuina del suo lavoro. Brunori Sas e Gazzelle i nomi scelti per impreziosire il disco: riuscitissima la collaborazione in “Povero Cuore” (traccia migliore), meno in “Scende”.
7° La Niña – Eden (7 voti)
Ai giorni nostri esordio e album d’esordio sono 2 concetti che molto spesso fanno fatica pure a sfiorarsi; ci sono carriere che permettono numeri, successo enormi molto prima di realizzare un vero e proprio album: “è la discografia, bellezza!” (semicit.).
Premesso questo mi trovo a raccontarvi dell’album d’esordio de La Niña, al secolo Carola Moccia (che i più attenti ricordano essere metà di un progetto interessantissimo di elettronica minimale in inglese chiamato Yombè). Abbandonato quel percorso (sicuramente difficile da portare avanti in Italia) è avvenuta questa metamorfosi che in realtà riporta Carola aka La Niña ad abbracciare le proprie origini sia dal punto di vista musicale che linguistico. Napoli è una capitale mondiale della musica, tanto quanto può esserlo Londra, Los Angeles o Seattle: mettere in dubbio questo, dal mio punto di vista, è un reato.
Scegliere il napoletano, significa affidare alla lingua un peso comunicativo enorme
Non è “paraculismo”, ma la consapevolezza che in quei fonemi, in quell’intreccio di suoni si nasconda molto di più di ciò che si può ascoltare o capire. C’è un aspetto materico e al tempo stesso sospeso (quasi aulico) che non ha pari (forse solo il gaelico gli è paragonabile). La Niña nel suo Ep Eden (ed ecco che l’aspetto aulico, divino, torna) esprime benissimo la forza della lingua napoletana. “Fortuna” e “Storia di Afrodite”, una di seguito all’altra rappresentano perfettamente questo dualismo. Terra e cielo. Il mare e il Vesuvio. I vicoli affollati e la vista che si ha da Posillipo.
Anche musicalmente archi e chitarre acustiche di madrigale memoria, lasciano al posto a percussioni e tamburelli tipici della musica popolare. Sacro e profano. Alto e basso. Miseria e nobiltà. Tutto a Napoli si mescola, si confonde e fonde, esattamente come in questo Ep.
di Manuel Tomba
6° Marco Castello – Contenta tu (7 voti)
In un periodo in cui si prova sempre di più a esordire quasi solo per singoli brani, l’album di debutto di Marco Castello, Contenta tu, rappresenta una sorpresa piacevole, quasi necessaria. Non si avverte la ricerca frettolosa del successo, la smania del ritornello radiofonico o il feat con quello più famoso. Insomma in qualche modo, anche metodologicamente, rompe gli schemi di quello che è diventato l’iperreale mondo indie pop, per solcare con competenza, calma e raffinatezza, il più ampio mare del cantautorato.
In questo mare sì che, rispondendo a tutti i canoni necessari, senza esserne imprigionato, senza perdersi nella copia carbone di qualcosa di già sentito, pur evidenziando influenze sonore, riesce a produrre un suono proprio, personale, aiutato della atmosfere delle storie che racconta e costruisce.
Nei testi ironici, scanzonati, nostalgici, che raccontano la fine dell’adolescenza, la sua terra o gli amori interrotti, riaffiora lo spirito di artisti del passato che hanno vissuto sul confine tra funk, jazz e pop cantautorale. E qui emerge l’aspetto più convincente, e cioè il Marco Castello, musicista, polistrumentista, capace di costruire solide trame sonore che reggono e rilanciano in avanti, le sue possibilità di essere davvero uno di quelli di cui sentiremo ancora parlare.
Il suo percorso formativo è certamente arricchito anche dal connubio artistico nel progetto La Comitiva col norvegese Erlend Øye, dei King’s of Convenience, così come dal saper trarre linfa vitale dalle sue radici siciliane, aspetto questo che lo avvicina a quel filone cantautorale isolano più giovane, dei vari Colapesce, Dimartino, Carnesi, fino ad Alessio Bondì. Forse anche tutti gli altri, nell’ubriacatura degli anni Dieci, sono stati troppo frettolosamente inclusi nel filone indie, certo è che Castello, anche esplicitamente nel disco, ne prende di fatto le distanze, per muoversi in uno spazio più ampio, e questo esordio dimostra che ne ha tutte le possibilità.
5° La Ragazza dello Sputnik – Kiku (8 voti)
Intimo, potente e promettente: “Kiku” è tutto questo. L’album di debutto di La ragazza dello Sputnik è una scintilla nel panorama musicale italiano. Elettro pop che trasporta con suoni sovrapposti, eccessivi e travolgenti. Un album che contiene al suo interno tracce che disegnano un filo invisibile nei sentimenti e nelle percezioni più interne, quelle che senti dalla pancia. Al primo ascolto probabilmente disturbanti, ci riportano poi in una dimensione del tutto nuova, esterna al mondo che viviamo ogni giorno. C’è tantissima verità e la dimostrazione di una ottima capacità di scrittura.
La ragazza dello Sputnik esordisce con un lavoro che la porta di diritto tra i progetti più promettenti e originali dell’ultimo periodo. Da inserire in playlist immediatamente!
4° Ditonellapiaga – Morsi (9 voti)
Quando penso a quale sia stato il miglior disco di debutto di quest’anno non ho dubbi: per me è Morsi, l’ep di Ditonellapiaga uscito lo scorso aprile. Ciò che mi ha colpito particolarmente di Morsi è il fatto che sia un lavoro composito e variegato, ricco di canzoni musicalmente abbastanza diverse tra loro ma che si incastrano perfettamente: una scelta insolita per un debutto. L’artista romana passa con disinvoltura dal reggaeton all’elettronica, dal R&B al pop e lo fa in maniera elegante e disinvolta.
L’ecletticità di Ditonellapiaga si evince anche nei testi, dove alterna racconti delle sue fragilità a racconti totalmente inventati ed ironici. E proprio l’ironia risulta essere il suo marchio di fabbrica, come già si deduce dal nome d’arte e come si scopre nei testi delle sue canzoni, tipo in “Repito”:
“Quasi a centoventuno chilometri solo per togliermi la corona e poi prenderti a capoccia”.
Morsi mi è piaciuto proprio per l’ironia e l’ecletticità, due qualità di cui abbiamo particolarmente bisogno di questi tempi. Sono convinta che saprà portare la sua stravaganza e la sua dinamicità anche sul palco del Festival di Sanremo, dove duetterà con Donatella Rettore (in arte solo Rettore, lei ci tiene!). Portata subito a cimentarsi in una grandissima sfida, sono sicura che sul palco dell’Ariston Ditonellapiaga non ci deluderà!
3° Svegliaginevra – Le tasche bucate di felicità (14 voti)
Le tasche bucate di felicità rendono giustizia a una voce femminile che non ha bisogno di urlare per farsi notare. Il tono basso e sottile di Svegliaginevra spesso mi fa sentire sbagliata, specialmente quando alzo la voce per questioni per cui potrei anche evitare. Svegliaginevra, infatti, quest’anno mi ha mostrato come l’estrema semplicità, unita a una egregia pacatezza e abilità di introspezione, sia in grado di raccontare cose articolate senza risultare altezzosi.
La dolcezza di ogni singolo brano, in particolare di “Due”, “Come fanno le onde” e “Senza di me”, non scade mai in banalità testuali non ragionate. Qualora ci fossero, sarebbero perdonabili, perché Svegliaginevra ha messo in discussione la mia voglia di rabbia nella musica, maturata, per esempio, con le grida di Blanco. Ed è paradossale come ci si possa sentir capiti, prima da uno che urla a squarciagola, e poi da un’altra che senza sforzarsi troppo, riesce a prendere il tuo umore, analizzarlo e tradurlo in semplicità.
2° Madame – Madame (14 voti)
Se guardate sul dizionario, tra i sinonimi di Miglior disco d’esordio Italiano del 2021 troverete scritto “Madame” di Madame (anche se in questa classifica finisce secondo dietro quello di Blanco, per un solo voto n.d.r). Proverò a spiegarvi perché. Ricordo la sensazione di curiosità misto scetticismo che aleggiava sulla diciannovenne vicentina prima della sua performance sanremese. Comprensibile, visto che Madame, senza neanche un tour alle spalle, faceva la conoscenza del grande pubblico, sul palco più importante d’Italia. Ma è bastata la sua prima esibizione per far ricredere i più.
Sicura, determinata e talentuosa, Madame completa l’opera pubblicando il disco omonimo, comprensivo di 16 brani, in cui si contano nove collaborazioni con grandi nomi del rap e pop nostrano (Guè, Blanco, I pinguini, ecc…) e un numero invidiabile di produzioni.
La cantante si muove come si esprime: liberamente. Le sue parole, in musica, riflettono la fluidità dell’artista, insieme alla sua visione disincantata e realistica del presente. L’amore, il dolore, la famiglia, la sessualità e la morte, vengono narrati senza filtri e finzioni. Il successo dei singoli conferma come il linguaggio di Madame riesca ad arrivare al pubblico vasto. Il suo entusiasmo, l’autenticità e la dedizione, fanno presagire che non si tratterà di una breve favola o di una meteora passeggera. Madame canta e lascia il segno, e tutto lascia pensare che continuerà a farlo anche negli anni a venire.
1° Blanco – Blu Celeste (15 voti)
Una luce Blu Celeste sferza il buio del panorama musicale italiano degli ultimi anni. Il più grande talento emergente di quest’anno, con notevole distacco dai suoi – pur lodevoli – colleghi. Si dice che chi ben comincia sia a metà dell’opera. E in effetti è innegabile quanto il suo singolo di lancio, “Notti in bianco”, abbia giocato metà della partita per avvicinare il pubblico all’album. Un pubblico che dopo l’ascolto non è rimasto deluso. Un successo guadagnato grazie anche a uno studio meditato, scientifico e azzeccato di un’immagine commerciale che calza a pennello con tutto quello che Blanco è e racconta.
Insomma, una cosa semplicemente fatta bene, rara in generale, tanto più per un giovane emergente. Un talento giovanissimo e inaspettato quello di Riccardo Fabbriconi, che già dopo un solo anno di fama gli ha permesso di guadagnarsi il palco dell’Ariston, accompagnato dal rodato Mahmood. Ha tutti gli occhi addosso, il ragazzo, ormai è chiaro. Non è facile riuscire a emergere per distacco nel magma della musica di questi ultimi anni. Insomma, distinguersi sembra essere la cosa più difficile, eppure ce l’ha fatta. Blanco c’è. E, a mio avviso, ci sarà ancora per un bel po’.
La Redazione
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