Sì, questa è una classifica. Negli anni addietro, dalla messa in rete di questo sito, abbiamo sempre provato ogni fine anno a produrre un contenuto riepilogativo, generico, non classificatorio: quest’anno, invece, abbiamo sperimentato un metodo più “scientifico”. La redazione delle Rane cresce ogni anno e non è sempre facile coordinarsi e mettersi d’accordo. Per questo motivo abbiamo optato per dei semplici sondaggi interni per constatare quali fossero per noi i migliori dischi dell’anno. Uso il plurale “sondaggi” perché quest’anno i contenuti di fine anno a cura della redazione saranno ben due.
Infatti tutta la nostra crew, sia chi è occupato a scrivere articoli sia chi lavora intorno sui social e sul sito, ha avuto la possibilità di scegliere in un sondaggio i suoi 15 migliori dischi italiani del 2021 in generale e in un altro i migliori dischi italiani ma di debutto. Questa distinzione da un lato può essere banale o superflua, dall’altro però crediamo possa mettere in luce gioiellini di cui probabilmente avete sentito poco parlare.
Oggi vi presentiamo la classifica venuta fuori dal nostro sondaggio interno, partendo dal 15° disco più votato.
Per ogni disco troverete un breve trafiletto scritto ognuno da un membro diverso della redazione. Nel titolo troverete anche il numero di voti con cui ha preso quella posizione. Ci sono casi di pari merito (non nelle prime posizioni, per fortuna) e in quel caso abbiamo deciso deliberatamente la posizione semplicemente per non creare confusione.
Prima di lasciarvi alla classifica, se avete letto fin qui vi ringrazio e vi ricordo che domani uscirà la classifica generale decisa da voi attraverso il sondaggio pubblico che vi abbiamo proposto nel corso delle scorse due settimane. Mentre dopo domani uscirà il secondo contenuto a cura della nostra redazione, ovvero quello relativo ai dischi d’esordio.
15° Margherita Vicario – Bingo (7 voti)
Ça va sans dire, il progetto artistico di Margherita Vicario è unico all’interno del panorama musicale italiano. La cantante e attrice romana, negli ultimi due anni, è entrata nell’immaginario collettivo degli affezionati dell’indie pop come artista completa e poliedrica, capace di intrattenere e di spingere alla riflessione. “Bingo” rappresenta la coronazione di un percorso artistico fatto di singoli iconici e visionari, come “Abaué (Morte di un trap boy)” o “Romeo (ft. Speranza)”. Nei brani di Margherita troviamo il teatro, il femminismo, la religione e, in generale, una visione d’insieme su un mondo sempre più complesso e difficile.
Eppure, nonostante la varietà di generi musicali (si spazia dal pop, al rap, all’elettronica) e la molteplicità di temi trattati, (pensiamo a “Mandela”, canzone a tema immigrazione o “Orango Tango”, in cui si fanno nomi e cognomi di noti politici italiani), tutto riesce a convivere in modo coerente, legato dallo stile un po’ scanzonato e ironico della cantautrice romana. La capacità espressiva, l’uso delle lingue straniere, l’attenzione per i videoclip, e il punto di vista femminile, sono punti di forza che contribuiscono a consolidare un’identità musicale inconfondibile. La nostra Margherita si prende i suoi spazi e i suoi tempi, per regalarci un disco ricco, e rappresentativo di un prezioso percorso artistico.
14° Franco126 – Multisala (8 voti)
Multisala è il secondo disco da solista di Franco126. Viene dopo “Stanza Singola“, un debutto egregio per scrittura, musica, coinvolgimento emotivo, e per questo sul secondo disco c’erano delle aspettative davvero alte. In effetti Multisala non è il suo predecessore: è un disco più maturo, meno fortunato probabilmente, ma che per certi aspetti osa di più. La penna di Franchino resta inconfondibile, il suo modo di approcciare la realtà, le vicende che narra, i frame quasi cinematografici che crea con le parole, sono un marchio di fabbrica.
In questo secondo disco infatti, non assistiamo più al soliloquio di un artista tormentato dal suo passato, dalla nostalgia o dalle storie d’amore finite male; o meglio, non solo. In Multisala, come in un certo senso suggerisce il titolo, è come se le storie si aprissero in un ventaglio di sfaccettature e di molteplicità. Ce ne accorgiamo anche dal fatto che in alcuni brani Franco126 musicalmente osa, spazia in un corollario di suoni diversi da quelli del disco precedente.
In sostanza forse Multisala non supera Stanza Singola ma neanche sfigura al confronto. Il secondo disco è complicato, soprattutto se il primo è stato un gran successo. Per questi e altri motivi, con 8 voti si piazza al 14° posto della nostra classifica redazionale. Niente male direi.
13° Mace – OBE (8 voti)
Obe: out of body experience. È questo il concept del disco d’esordio di Mace, un’esperienza extracorporea che porta l’ascoltatore su un’altra dimensione. Diciassette brani dove chi ascolta viene trasportato su una dimensione extrasensoriale in cui si ascolta un genere musicale comune a tutti. Non è trap, non è rap e non è cantautorato. Il producer milanese ha creato un unicum che collega tutti all’unisono. È riuscito a inserire artisti come Colapesce e Chiello o Irama con la FSK Satellite in un unico brano, artisti totalmente diversi, ma che si incastrano perfettamente nell’universo OBEniano. Alcuni dei brani presenti all’interno dei disco ci hanno accompagnato in questo anno di rinascita come “La canzone nostra” con Blanco e Salmo o “Senza Fiato” con Joan Thiele e Venerus.
Insomma, un bel disco d’esordio per un vecchio produttore il quale è entrato all’interno dei migliori lavori dell’anno. Poche volte mi è capitato di apprezzare un disco al primo ascolto e questo, forse stranamente, è uno di quei casi. Brano consigliato: “Ayahuasca”, Colapesce feat. Chiello.
12° Rkomi – Taxi Driver (9 voti)
Il nuovo range di Rkomi si ispira al cinema per segnare una strada artistica inedita. Mirko lascia crescere i capelli e la somiglianza con Alex Turner è palese, ma nel frattempo strizza l’occhio alla pellicola di Scorsese nel suo disco che si chiama proprio “Taxi Driver“, pubblicato in primavera per Island Records/Universal.
Quattordici tracce farcite di featuring, che spaziano dall’urban al pop con una certa sensibilità nel coinvolgere le nuove realtà che stanno infiammando le classifiche di streaming. Il risultato è un long play tre volte disco di platino, che ha proiettato l’artista milanese nell’olimpo del music business nostrano. Il connubio tra quantità e qualità è raro nel suo genere: ai grossissimi numeri collezionati su qualsiasi piattaforma si abbina un registro creativo coraggioso, che esce dalla comfort zone per approcciare, temerario, schitarrate, beat sintetici e sequenze. Mettici un nugolo fra i producer più ispirati in questo anno solare e il gioco è fatto: “Taxi Driver” brilla tra i dischi da non perdere per l’anno 2021.
Merita attenzione anche il “fratellino” tutto acustico “Taxi Driver (MTV Unplugged)“: quando hai canzoni che funzionano, puoi metterle a nudo (come Rkomi in copertina) e non perdono una virgola del loro carisma.
11° Motta – Semplice (9 voti)
Di solito tendiamo a prendere sul serio sempre le cose complicate, intricate, con un percorso per niente lineare. Ascoltare “Semplice”, il nuovo album di Motta, può aiutarci a ribaltare questa prospettiva. Esce a tre anni di distanza dall’ultimo lavoro discografico del cantautore e porta con sé la necessità di Motta di liberarsi, aprirsi a una crescita diversa. Una maturità che non è accompagnata da complicazioni, ma piuttosto dalla volontà di comporre nel modo che sente più suo.
“Semplice” è un album in cui risuonano prorompenti gli archi e gli arrangiamenti tutti, che fanno da sottofondo a testi mai banali ma dritti al punto. Motta in questo album dona una nuova dignità alla semplicità, che non vuol dire dare al pubblico qualcosa senza impegno ma al contrario donargli la sua intimità. Ogni traccia, che è attraversata da diverse influenze, è lo specchio di una penna nuova, che non ha bisogno di dimostrare ma soltanto di portare fuori ciò che Motta sente per davvero. Un disco che ci fa respirare sul serio.
10° Coma_Cose – Nostralgia (10 voti)
“Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista”. Cantava Caparezza, a sottolineare come confermare il successo di un album d’esordio è sempre un’impresa per 1000 motivi. Critica e pubblico tendono a essere al varco: se cambi troppo l’accusa è di esserti venduto (a chi non si è mai capito), se non cambi l’accusa è di non saperti rinnovare e di copiarti (avete presente “Cara ti amo” di EELST, ecco).
Nostralgia è il secondo album dei Coma _Cose ed esce dopo che il duo si è fatto conoscere a livello nazional popolare a Sanremo con “Fiamme negli occhi”, il successo di Hype Aura è ancora recente e una gestione meno rischiosa forse avrebbe dovuto farli dissuadere di rimettersi così in gioco, ma è evidente che il rischio faccia decisamente parte della loro cifra stilistica.
Il connubio con i Mamakass a livello di produzione si consolida (tanto che il duo di producers li affianca anche in tour)
Questo permette di poter parlare inequivocabilmente di un “suono dei Coma Cose”, riconoscibile, fatto di non troppi elementi, sicuramente privo di frivolezze. Asciutto, diretto, crudo, deciso. È su questo tessuto sonoro che le liriche surfano perfettamente a loro agio, perché non prendiamoci in giro: la scrittura dei Coma Cose è senza dubbio una delle più efficaci che ci siano nel panorama musicale italiano. L’uso ed abuso delle parole, gli stupri sillabici che le metriche offrono sono come la notte di San Lorenzo (la stella cadente te la aspetti, ma quando arriva te ne stupisci comunque.
I Coma_Cose con Nostralgia consolidano sé stessi, ma consolidano anche la loro posizione nella nuova scena musicale italiana; non sono in grado di dire se la loro sarà una carriera trentennale, se faranno gli stadi, se i loro fans desidereranno una loro reunion tra 10 anni, sono in grado però che il solco che hanno iniziato a tracciare alcuni anni fa è chiaro, preciso, credibile e soprattutto autentico.
Di Manuel Tomba
9° Giorgio Poi – Gommapiuma (10 voti)
Dallo Smog alla Gommapiuma è un attimo: un attimo lungo due anni. Almeno per Giorgio Poi, cantautore novarese che abbiamo imparato ad amare nel corso del tempo e che ad ogni lavoro sa stupirci e regalarci qualcosa. Con l’ultimo album, uscito lo scorso 3 dicembre per Bomba Dischi, ci dona un orizzonte fatto di nuvole sparse e cieli blu, dipinti sulla copertina del disco e fra le righe di ogni traccia. Troviamo cieli blu dietro le ombre cantate ne “I pomeriggi” – “passati a pensare, a soffiare sul vento, che se non cambia si mette male, ché sta arrivando l’inverno”.
E troviamo nuvole sparse nel duetto con Elisa, “Bloody Mary”, pezzo capace di aprire una nuova dimensione dentro le atmosfere da sogno che Giorgio sa magistralmente costruire. Una ballad dove malinconia e speranza non sono poi così distanti, grazie anche al tappeto delicato di archi ad unirne le intenzioni. La title track è lo spartiacque strumentale di cui avevamo bisogno per catapultarci nella seconda parte del disco con una leggerezza nuova, verso quei “Giorni felici” tanto agognati. Ascoltare questo album significa tenere stretto ogni nostro stato d’animo, accogliendolo semplicemente così com’è. E la voce di Giorgio Poi, alla fine, è la vera Gommapiuma: ci avvolge soffice, finché “la notte è finita” (“Moai”).
8° Cosmo – La terza estate dell’amore (10 voti)
Nella obbligatoria vacua classifica degli album migliori di questo 2021 ho scelto senza molti dubbi “La terza estate dell’amore” di Cosmo. Nella frammentaria ed episodica narrazione musicale della pandemia, l’ipnotico affresco del filosofo eporediese riesce nel difficile compito di fornirci una chiave di lettura completa da poter rielaborare, affrontando paure e voglia di ripresa, spazi angusti e abbracci tra sconosciuti ma senza cadere nella tentazione di autocommiserarsi o sterili manifestazioni di rabbia.
La narrazione è funzionale alla destrutturazione dei miti pre-pandemia, di quel pauroso egocentrismo figlio e non genitore del lockdown. Le sonorità di Cosmotronic asservite ad una Umanità troppo lontana da quel “Godere” fisico e soprattutto morale. Cosmo stregone e profeta del potere taumaturgico della Musica: la sua consolle è però immersa in un buco nero emotivo dal quale la luce filtra a stento. Lui si divincola come sa far bene, consapevole che nessuno si salva da solo.
7° Marracash – Noi, Loro, gli Altri (10 voti)
Quello di Marracash non è solo un album, è una struggente e devastante confessione a cuore aperto, dove il rapper ci racconta delle sue idee, dei suoi mostri, del suo vissuto e della sua visione della società. Quello di Noi, Loro, Gli Altri è un Marra maturo, consapevole e lucido, ma anche cinico e forse quasi amareggiato. In “Loro”, prende in prestito le parole di Jameson rese celebre da Mark Fisher in Realismo Capitalista e le rielabora con “riesco a immaginare più la fine del mondo che la fine della differenza sociale”.
Ma anche in “Cosplayer” c’è spazio per la riflessione politica “Oggi che tutti lottiamo così tanto per difendere le nostre identità, abbiamo perso di vista quella collettiva, l’abbiamo frammentata”. Proprio in questo brano azzarda un dissing politico-culturale dove critica politici, influencers e in generale coloro che sposano cause solo quando fa comodo e per crearsi una certa immagine pulita di se stessi.
In “Dubbi”, quella che per me è la traccia più bella, profonda e dolorosa del disco, Marracash ci parla delle sue dipendenze, della sua famiglia, dell’amore, dei soldi e della salute mentale. È l’autenticità la qualità che distingue Marracash dagli altri, autenticità che si traduce in credibilità, che ti parla in un modo che è personale ed universale allo stesso tempo, che ti fa riconoscere in quello che viene detto. E probabilmente è questa una delle tante ragioni per cui questo album è piaciuto a molti.
6° Madame – Madame (10 voti)
Madame è la più giovane vincitrice nella storia del prestigioso premio Tenco, ben due targhe, miglior brano con “Voce” e miglior opera prima. La giovane vicentina regge bene tutte le diciassette tracce del disco d’esordio, anche duettando con mostri sacri del rap. Tra gli otto feat vale la pena sottolineare l’ottimo sapore pop di “Babaganoush” con i Pinguini Tattici Nucleari. Madame è sincera, talentuosa, non ha filtri, la sua curiosità e intraprendenza, si mischia con la paura di chi osa cominciare a crescere, nel timore di un vuoto di affetti, e nella ricerca di legami sicuri che possano alleviare le varie solitudini.
Esplora la realtà così come fa con il suo corpo, con i rapporti familiari, e con quelli sentimentali, appesa al coraggio di non doverli distruggere per forza, nella speranza di ricavarne benessere e sicurezza, e dunque esponendosi senza corazza anche al rischio di esserne profondamente e ripetutamente ferita: “chi mi vuole bene me lo provi” (Istinto), “amico stammi vicino anche nelle notti in cui io voglio morire” (Il mio amico), “baciami con calma finchè non ti stanchi di me” (Clito), ecc.
L’immediatezza della scrittura di Madame assorbe il linguaggio del rap, ma nelle pieghe è già in marcia verso un universo cantautorale, come il brano Voce lascia intuire. In questo caso tutta la corporeità e le esperienze sensoriali lasciano spazio all’identificazione di sé stessa nella sua sola voce, augurandosi che possa sopravvivere a tutto il resto.
5° La Rappresentante di lista – My Mamma (10 voti)
Mi sento onorata ad essere in questo piccolo spazio per raccontare “My Mamma”, quarto disco in studio de La Rappresentante di Lista, nome collettivo dietro al quale si nascondono (ma neanche tanto) Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina che forse li ha resi più popolari grazie alla partecipazione al Festival di Sanremo col brano “Amare”.
Sarebbe non veritiero affermare che questo lavoro rappresenta il disco della maturità artistica o della consacrazione del giovane duo, significherebbe negare lo spessore artistico, la delicatezza, la consapevolezza che si rivela in dischi come Bu Bu Sad (ascoltate la canzone “Siamo ospiti”) o in Go Go Diva e in brani come “Maledetta tenerezza”.
Chiaramente sono di parte ma sono letteralmente e non innamorata del modo in cui Veronica riesce a esprimere la sua femminilità, il suo essere donna: dell’atavismo col quale il corpo viene sviscerato, narrato, vissuto che si sposa con delicatezza possente della voce di Veronica. Col sostegno talvolta solo nella produzione e nella scrittura, talaltra, anche con la voce di Dario.
My Mamma è un disco che sa di terra, che parla all’istinto primordiale che ci connette ai nostri affetti intimi, agli amori inconsolabili, carnali, alle parole taglienti, inafferrabili, spietate, dolci, inconfessabili, non dette, urlate, cantate sotto voce. Per resistere, amare, esistere, senza riserva alcuna.
Di Carmen Pupo
4° Vasco Brondi – Paesaggio dopo la battaglia (11 voti)
Vasco Brondi sa cosa vuole e credo che l’abbia sempre saputo. Se ne frega delle logiche di mercato ma lo fa senza spocchia, rimanendo fedele ad un suo credo personale e pubblica Paesaggio dopo la battaglia a quattro anni dal suo ultimo lavoro in studio, il primo disco a nome suo dopo l’esperienza de Le Luci della Centrale Elettrica. Dopo tanto viaggiare in giro per il mondo, Brondi ci riporta in Italia, ritorna ai colori e ai suoni della vita in provincia, tutto sembra avvolto da un’atmosfera rarefatta e analogica, un pandino spunta dalla tempesta. In questo disco si mischiano racconto e poesia, alcuni brani sembrano (e sono) quasi recitati, c’è anche un’inaspettata positività in queste canzoni.
Il cantautore veronese (e non ferrarese, come molti erroneamente credono) ci invita alla calma, al saper cogliere i dettagli più insignificanti ma così fondamentali, a rallentare i pensieri. Non a caso questo lavoro discografico arriva nel bel mezzo di una pandemia ancora in atto, ancora forte nella percezione quotidiana della vita. 33 minuti di battaglie collettive e individuali, tra fiati, archi, cori, sintetizzatori, percussioni, un piano e qualche chitarra. Il disco si apre con “26.000 giorni”, la media dell’aspettativa di vita mondiale, 71 anni circa per essere la versione migliore di noi stessi. Un incipit significativo, una seconda vita artistica per Vasco Brondi, che non ha paura di interpretare se stesso, cresciuto, maturato, viscerale come dal 2008 ad oggi.
Di Giulia Perna
3° Blanco – Blu Celeste (11 voti)
Dentro Blu Celeste guerra e pace si scontrano fragorosamente. Tra dirty talk e poesia urbana Blanco compone un album di cui non sapevamo di avere bisogno, in cui scopriamo che la trap può diventare pop e piacere anche a chi l’ha sempre scansata. I singoli – “Notti in bianco”, “Blu Celeste”, “Ladro di fiori”, “Finché non mi seppelliscono” – dimostrano di essere stati estratti sapientemente, poiché non solo fanno salire l’acquolina, ma compongono già da soli il quadro generale del mood di tutto il disco.
Si, forse Blu Celeste non parla a tutti – sebbene piaccia a molti – ma sprigiona una potenza comunicativa unica per il suo genere, grazie a un linguaggio forte, diretto, nel bene e nel male. E tuttavia, forse proprio questo il bello, quando il pugno si apre, ecco che emergono la dolcezza, l’amore, il dolore e il sentimento. Hanno un vestito tutto loro, si fondono con la violenza, diventano il motore che muove la vita, in un’armonia riscoperta, sorprendente. Tra opposti che si fondono, Blu Celeste è il quadro perfetto dell’Ultraviolenza moderna. E ci piace.
2° Venerus – Magica Musica (12 voti)
Un disco per riempirci quando siamo solə a casa e svuotarci quando siamo fianco a fianco ad un concerto: così potrei definire “Magica Musica”, ultimo, sorprendente album pubblicato da Venerus lo scorso 19 febbraio e che considero uno dei piccoli, grandi miracoli musicali di questo 2021 un po’ disgraziato. Con questo strabiliante e iper-contaminato progetto discografico, Venerus è approdato laddove né le logiche del mercato discografico odierno né, tanto meno, le aspettative di un pubblico disilluso hanno osato avvicinarsi: l’idea di fare Musica proponendo non un prodotto di cui l’utente usufruisce e basta, ma una vera e propria esperienza che l’ascoltatore può (ancora) vivere, e non soltanto tra le mura domestiche, ma anche là fuori, sotto ad un palco.
Sì, perché “Magica Musica” è stato un album baciato dalla fortuna, godendo di una stagione estiva che ha – finalmente! – permesso agli artisti di tornare a suonare dal vivo e a noi di poter cantare con loro a squarciagola, con la fronte sudata e il cuore felice. Io, che Venerus e la sua band li ho ascoltati dal vivo, posso dirvi che “Magica Musica” è molto più di un disco: è un fenomeno culturale, un riuscitissimo esperimento musicale, un necessario punto di contatto con gli altri e con noi stessə. Insomma, se Venerus fosse un mago, quell’album sarebbe senza dubbio il suo incantesimo più potente.
1° Iosonouncane – IRA (13 voti)
L’uomo, soggetto prediletto in IRA, diventa mezzo e preda della musica, dove questa sfrutta incondizionatamente la sua fisicità per riprodursi e divenire materia. Ma l’umanità, che è il punto focale dell’album, intende chiaramente essere sua serva, affinché la musica riacquisti il proprio possesso e giochi con se stessa in un magico atto di autoerotismo. Tanto magico, quanto misticamente incomprensibile e, a volte, angosciante. Trasceso il minimalismo dei suoni, l’ambiente musicale dell’album si trasforma in un bordello, in cui tutto assume un senso di comunità, di civiltà e di unione.
Ci tengo a precisare che qui non si parla di musica erotica, tutt’altro: si parla di musica che abusa di se stessa per non svuotarsi, ma, al contempo, riempirsi di tutto ciò che le appartiene e che la compone. Questo affinché l’uomo e i suoni del mondo si uniscano nello stato più brado e originario che da sempre li riguarda. Insomma, tutto ciò per dire che le radio comuni non potrebbero mai trasmettere alcuna traccia dell’ultima opera di Iosonouncane, il disco più bello dell’anno secondo la nostra redazione.
La Redazione
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