A cosa pensi, caro lettore, quando ti imbatti in un nostro contenuto sui social? “Ecco l’ennesima pagina Instagram a cui chiedere pubblicità” o una community in cui sentirsi parte di qualcosa? Un’altra webzine da contattare per l’uscita del tuo nuovo singolo o quella realtà di cui leggi volentieri gli articoli non soltanto per il piacere di leggerli, ma anche perché sai che dietro c’è stata una selezione, una scelta ponderata e critica?
Insomma, cosa sono per te Le Rane?
Nonostante sia stato un anno difficile, a tratti catastrofico, per la musica, quella da club, da locale, quella emergente, di nicchia, quella d’esordio, nonostante questo 2020 è stato costellato di privazioni importanti per il settore musicale, poiché abbiamo dovuto rinunciare a molti luoghi e molte abitudini, ai festival, al pogo, al cantare a squarciagola schiacciati contro una transenna, agli amici dei concerti, abbiamo provato ad esserci.
Abbiamo provato a sostenere il mondo a cui crediamo di appartenere con il lavoro che facciano da anni, nella speranza di esserci stati lì quando occorreva qualcosa da leggere, un consiglio su nuova musica da ascoltare o semplicemente una playlist per “cambiare canale”.
Così ci siamo guardati indietro lungo gli ultimi dodici mesi e, pensandoci, abbiamo riflettuto su quanto coraggio serva per decidere di pubblicare il proprio primo lavoro discografico in un anno del genere, con la consapevolezza di non poter suonare in giro, di non potersi creare un pubblico soltanto con la forza delle proprie canzoni senza nessun filtro, coltivando una flebile, nostalgica speranza nel ritorno alla normalità. Per questo noi de Le Rane abbiamo deciso di dedicare il nostro articolo di fine anno agli artisti che hanno debuttato nel 2020.
Quella che troverete qui di seguito non è una classifica, ma una raccolta di quelli che, secondo noi, sono gli Ep o gli album d’esordio più belli dell’anno. E i vostri, quali sono?
“Toccaterra” – Emma Nolde
Ho ascoltato per la prima volta il disco di esordio di Emma Nolde, “Toccaterra“, in un caldo pomeriggio di fine settembre. Pensai ci volesse coraggio a raccontarsi così tanto, a iniettarsi il veleno della sincerità e a lasciare sbranare dal pubblico ogni millimetro di pelle. La provincia, le relazioni umane, la nonna. Guardarsi allo specchio e dirsi tutto, sospesi tra sospiri, mani sporche e candidi foulard. Toccare terra come rumore prima dello schianto, come limite delle ali in volo. La forza di essere sé stessi, rialzarsi, rivelarsi. Toccaterra è l’album dell’anno: la copertina che ritrae Emma, fragile come porcellana, mezza sommersa da un terreno buio e senza sfumature, è l’immagine più potente in musica che ritrae questo 2020. Ughi è canzone di rara bellezza.
Francesco Pastore
“L’ultimo a morire” – Speranza
Una mitragliata di singoli esplosi a bruciapelo l’hanno cristallizzato come fenomeno virale che illustra spaccati sociali tra piombo e cemento. In autunno ecco il primo disco di Ugo Scicolone: “L’ULTIMO A MORIRE” è una bomba la cui deflagrazione stende questo già malconcio 2020. Speranza si accomoda come il perfetto anello di congiunzione tra rigore tecnico e sperimentazione delle strumentali hip-hop: manda a spasso tutta la scena ed eleva gli standard qualitativi, gettando le basi per il suono del futuro.
Tra le metriche, c’è sangue che ribolle di rabbia e amore.
Spall a sott.
Giandomenico Piccolo
“Merce Funebre” – Tutti Fenomeni
“Merce Funebre” di Tutti Fenomeni, per me, non è solo il miglior disco d’esordio uscito nel 2020: è uno degli album migliori in assoluto! “Sono lo spartiacque” canta Tutti Fenomeni in Trauermarsch, e credo che non ci sia frase più adeguata per descrivere questo album. D’altronde non è da tutti mixare trap e Mozart e definire Carlo Magno “rock” e Napoleone “rapper”. È un album intelligente, che mescola riferimenti pop e culturali, che si serve di ironia pungente ma con un forte velo di malinconia.
Non mi sento di scomodare grossi paragoni, ma tutto ciò che posso dire è che sono sicura che questo album continueremo ad ascoltarlo all’infinito e che sentiremo parlare di Tutti Fenomeni per parecchio tempo.
P.s grazie anche a Niccolò Contessa, che non delude mai.
Martina Quagliano
“Spazio” – Ariete
Essere giovani ed essere incapaci di mentire. A volte romanzare le storie, si. Ma farlo sempre con la propria voce. E Ariete, nel suo “Spazio” è esattamente così: disperata, confusa, accelerata, folle, a volte depressa, piena di una voglia di fare a cui non sa che direzione dare. È un po’ la vita come è capitata a tutti noi, piena di improvvisazione e disagio. E questa ragazza ha il pregio di saperla raccontare, questa vita da vivere – o già vissuta – con una semplicità letale. E dico letale perché a sentirsi dire “tutti sono belli da lontano”, oh, tocca ammettere che ha ragione. Pure se è Natale.
E così, sincera, senza voli pindarici, è pure la sua musica, quella che accompagna le sue parole. Senza fingere di essere qualcun altro. Tra ballad e un po’ di rock, tra rimorsi, fotografie di attimi e insicurezze, Ariete ci ricorda che la chiave della bellezza è la sincerità, il raccontarsi come si è. Senza puntare in alto, ma semplicemente scavando dentro se stessi per trovare il modo di dire la verità nel modo migliore possibile. E poi è donna. E poi è giovane. Insomma, se non vi ho convinto io, andate su Spotify e mettete play: ci pensa lei.
Maria Giulia Zeller
“Stupide cose di enorme importanza” – Marco Giudici
“Stupide cose di enorme importanza” sono quelle che succedono mentre siamo impegnati a fare altro, solo che un giorno – o un intero anno – siamo costretti a guardarle e ci accorgiamo di quanto siano importanti: epifanie piccolissime, quotidiane, spugne imbevute di ricordi e odori e sapori, che infinite corrono oltre ogni sguardo distratto. Sono quelle che Marco Giudici canta nel suo primo disco in italiano, uscito quest’anno infame per 42 Records. Selezionate e raccontate con originalità dal cantautore attento – e grazie alla sua sensibilità – donate a noi affannati e agitati animali spaventati da tutto, anche dalla vita. Fermati e sdraiati sul tappeto, indossa il tuo paio di cuffie preferito e lascia le cose importanti fuori dalla porta. Dedicati per 33 minuti e 79 secondi alle sue 9 tracce, ti renderai conto che non l’avrai fatto per lui, ma per te stess*.
Mattia Muscatello
“Campi Elasi” – Elasi
“Campi Elasi” è un viaggio alla scoperta della redenzione personale e artistica di Elasi, un iter stroboscopico fatto di parole che bagnano e sentimenti che bruciano. Un’esperienza sinestetica che Elasi sviscera attraverso sei tracce unite per concept, ma distanti per le sonorità che le caratterizzano. Dal funky presobene ai bassi spacca-timpani, dagli elementi di beatboxing all’eco esotico delle canzoni orientali: “Campi Elasi” è un’esplosione somato-sensoriale, un trionfo della sperimentazione artistica e musicale. Ascoltatelo tutto d’un fiato, come fosse un cicchetto magico: sarà la vostra nuova cosa preferita.
Annalisa Senatore
“Dall’altra parte del mondo” – Gregorio Sanchez
Un tocco, nulla più. Un tocco sulla pelle quando al mare ti scotti e resta l’impronta che piano piano svanisce. Lui lo scopre, e continua a premere quella dita piccoline nella carne che affonda e riemerge. Ride così tanto che le ciglia si allungano sempre di più di fronte al tuo stupore. Tu che hai solo trent’anni e hai già dimenticato la facilità con cui ridono i bambini. Un tocco, nulla più, come quest’album che mi scotta e fa svanire l’impronta lentamente.
Sarà quel suo mezzo sorrisetto sottinteso in ogni singola sillaba, sarà questo sound tutto suo, ora tutto mio, tra un po’ tutto tuo, sarà l’arroganza di chi non vuol essere arrogante, ma io ho appena finito di disegnare l’immagine di un bambino che mi sorride giocando con quel che poco che ha, di fronte gli occhi di un adulto appena adulto che è già stanco di esserlo.
Stai ascoltando “Dall’altra parte del mondo” e ti sembra di circumnavigare il pianeta nella tua barchetta di carta senza sentirti mainstream, vero?
Cristiana Dicembre
“44.DELUXE” – bnkr44
Nuovi arrivati in casa Bomba Dischi, ho scoperto i bnkr44 per caso, ma sono stati una bella sorpresa in questo finale di 2020.
Ciò che maggiormente caratterizza il suono della crew empolese, composta da Erin, Ghera, Caph, Piccolo, JxN, Fares, Faster e Harakiri, è un rap, che potremmo definire, melodico. Non mancano però dimostrazioni, per chi avesse qualche remora, di saper alzare i giri e rappare nel senso più puro del termine (come in Pianeta 3).
44.DELUXE è un album ottimamente mixato e prodotto, con l’intermezzo “Non riciclo+” messo quasi a dividere le sue due facce: una più allegra e l’altra più cupa, nei testi così come in parte nelle atmosfere. Apprezzabile in “Trash Talker 2” la citazione iniziale (voluta?) di cross the tracks, in cui si presentano alla scena rivendicando un proprio posto. Pretesa più che legittima considerando che questo è un album d’esordio e che, spulciando le loro carta d’identità, risultano tutti appena ventenni. Spiccano i primi due brani che racchiudono in sé un po’ tutta l’anima del disco. Nel complesso è un album che scorre molto velocemente. Un ottimo compagno per un viaggio in treno in pieno centro cittadino o durante un trekking urbano.
Simone Moggio
“amor, requiem” – Voodoo Kid
Nello Stivale Dantesco, “l’amor che move il sole e l’altre stelle” indossa tessuti sonori ancora parzialmente inesplorati attraverso il disco d’esordio “amor, requiem” di Voodoo Kid. Otto tracce argomentate con un vocabolario nuovo, fatto di soluzioni testuali affascinanti e strumentali dal dizionario multiculturale. La ragazza che ha scelto di andare contro la grammatica utilizzando il neutro kid ha confidenza e dal del tu al microfono, alternando parole sussurrate, giochi di volume e performance cantata. Complicità con l’ascoltatore per una sensazione di sensualità caleidoscopica e fluida, in piena linea con le istanze LGBTQ+ che l’artista sostiene.
Quantità di stile che esaltano la sostanza del suono. Ci sono tutti gli elementi per sviluppare un percorso di altissimo cabotaggio.
Giandomenico Piccolo
“Domani” – Tōru
Ascoltando “Domani“, il disco d’esordio di Tōru, ho avuto l’impressione di avere la possibilità di entrare nel microcosmo personale e intimo dell’autore. Il disco sembra congelare nel tempo un luogo e un momento storico preciso della vita di Elia Vitarelli. La stanza diventa la galassia dentro cui esplode, si frantuma e si evolve il suo Io. Il disco non pretende, però, di essere la mappa per mezzo della quale ognuno di noi possa orientarsi tra le sue cianfrusaglie. La nostra zavorra resta la nostra zavorra: il percorso è estremamente personale.
Tōru tenta di annullare l’abisso che ci separa in quanto esseri incapaci di conoscere l’altro per quello che è davvero. Con eleganza e la grazia di un artista prova ad aprire un varco, una porta d’accesso su quello che è stato per lui un momento molto difficile. Per questo motivo “Domani” è un disco che va ascoltato più volte, con attenzione che, in questo preciso periodo storico, può consolarci. Può in qualche modo comprenderci e farci sentire meno soli, credo che paradossalmente possa perfino ascoltarci.
Passato quasi in sordina, questo è il disco che dovreste assolutamente recuperare nel caso in cui non ne abbiate mai sentito parlare, sia per uno spiccato valore artistico fatto di ricerca estetica, stilistica e contenutistica che per l’eleganze e il gusto con cui culla l’ascoltatore.
Raffaele Nembo Annunziata
“Inverno Deep” – Logo
Quando mi hanno chiesto quale fosse il mio Ep d’esordio preferito di quest’anno non ho avuto dubbi: “Inverno Deep” di LOGO.
È un disco che presenta molteplici sfaccettature: da un lato è caratterizzato da atmosfere elettroniche, ballabili ed eccentriche, mentre dall’altro non manca un aspetto più introspettivo in cui Giulia guarda dentro di sé.
Ironia, malinconia, rabbia sono le chiavi di lettura di un lavoro arricchito dal prezioso lavoro grafico e visual della sorella Silvia.
Alcuni singoli, infatti, acquisiscono un valore aggiunto grazie all’apporto significativo dei videoclip: si crea così un equilibrio che rende questo disco un lavoro completo e originale, una vera chicca tra gli esordi di quest’anno.
Ornella Cannavacciuolo
“Curriculum vitae” – Rareş
Lo puoi ascoltare quando vorresti avere SPALLE PIÙ larghe, mentre ti ripeti di mantenere la CALMA o quando la vita ti sembra troppo MALDESTRA. Lo puoi ascoltare nel PALLORE lunare di notti insonni, quando vai a trovare MAMMA o compri le BANANE al supermercato. Oppure lo puoi ascoltare mentre ti ripeti “IO NON HO PAROLE IN PIÙ”, proprio perché hai scoperto che MIRUNA è un nome proprio o perché ti sei accorto che CRESCI sul serio, come le piante: con radici dentro il tuo passato e rami che fluttuano già nel futuro. Lo puoi ascoltare tra i panni STESI, mentre passa l’ennesima replica di “MARCELLINO pane e vino” sulla tua tv locale. Lo puoi ascoltare e, mentre lo fai, il cuore pulsa VENE PIÙ grosse: perché davvero il “Curriculum vitae” di Rareş è il miglior esordio di questo 2020. In CAPSLOCK le tracce.
Monica Malfatti
“?” – cecilia
Impresa difficile individuare il disco (in questo caso di un artista emergente) più significativo dell’anno. Un po’ perché spesso gli album sono antologie di singoli usciti in un periodo di tempo molto lungo, un po’ perché 12 mesi sono un arco temporale molto lungo per ricordarsi tutte le uscite e perché dal punto di vista creativo non stiamo vivendo un’età dell’oro. Allora è necessario pescare dal mazzo altri parametri di valutazione, scoprendo che forse l’unico parametro da considerare è la “sensazione”, la sensazione che l’ascolto di un disco ti dà, la sua capacità di muovere qualcosa, di muoverti, o farti muovere (se richiesto). Con questa prospettiva cecilia e il suo eloquente “?” rappresenta per me l’opera prima che merita una menzione particolare.
Nessuna rivoluzione copernicana, ma tutti gli ingredienti sono dosati con un senso della misura preciso ed efficace. Drum machine a inquadrare tutto in un “boom boom cha” minimale ed efficace, che mai prevarica una voce energicamente fragile, linee vocali che accarezzano il soul e l’r’n’b (quasi jazzy nel caso di Coltrane), synth di appoggio dal sapore vintage creano spazi in cui le parole, semplici ed immediate, non perdono mai il loro peso specifico (Baltico ne è la prova provata); strofe dense, ritornelli catchy: una scrittura che non cerca fronzoli o arabeschi. “La ruota del Karma gira conta fino a dieci e poi respira“ sembra decisamente un invito ad avere fiducia in un 2021 alle porte.
Manuel Tomba
“Piccoli Boati” – Tananai
“Piccoli Boati” è l’EP d’esordio di Tananai e l’ossimoro perfetto per descrivere questo 2020. E no, non mi riferisco alla pandemia mondiale che ci ha travolti tutti, no. Mi riferisco alla musica che ti accarezza i capelli e il cuore, quell’organo che proteggi dentro al “Seno sinistro” perché non l’avresti mai detto, no, che “Giugno” sarebbe diventato “il mese più freddo dell’anno”.
Piccoli Boati, sono le inquietudini che ti tolgono il sonno e tu però non le allontani. Perché prima che le ferite pulsanti diventino cicatrici, devi ascoltare il ticchettio di quei vivissimi sussulti.
Carmen Pupo
“Morbido” – Moci
“Morbido” è un album che, grezzo e diretto, ci consegna una scrittura senza mezzi termini accanto ad arrangiamenti finalmente originali. È un album per me coraggioso, ironico e pungente. Non avrete nessuna carezza, nessun bacio Perugina da scartare nelle canzoni. Umorismo pirandelliano quasi, quello di Moci. È un album d’esordio coraggioso, che non si presta a metafore delicate ma preferisce buttare fuori le immagini così come sono: crude, esagerate e quasi goliardiche.
Il pop di Moci non si arrende alla ritmica noiosa, ma naviga anche in sonorità rock che fanno da sottofondo splendido alle immagini che evoca – possiamo qui lasciare indietro la retorica troppo intimista dell’itpop come finora lo conosciamo. Resta presente nel tempo di cui è figlio, dà voce alle domande che tutti noi ventenni ci facciamo e che ora non vogliamo più imbastire solo con la dolcezza. Moci non ha voglia di trovare parole candide per indorare la pillola ed è questo che rende “Morbido” un album che è assieme guerra e pace, un esordio bellissimo che vi consiglio davvero di ascoltare.
Virginia Ciambriello
“Amore doni, amore vuoi” – Forte
Che sono una romantica d’altri tempi, lo sanno tutti. Avrei potuto scegliere tra nomi di spicco della scena emergente ma perché non dare spazio a chi davvero fa tutto da solo? Non c’è niente di male a finire nelle playlist, sia chiaro. Ma io penso che essere attenti alla scena emergente voglia dire anche andare a scavare davvero nel sottobosco delle millemila uscite mensili che ci sovrastano e far emergere chi davvero merita: ecco perché ho scelto “Amore doni, amore vuoi”, il disco d’esordio di FORTE.
Di lui mi hanno colpito le immagini vintage che caratterizzano il suo profilo Instagram ma anche quelle evocate dalle 9 tracce che ho divorato una dopo l’altra. Ascoltare questo disco equivale a un viaggio tra i suoni del nord europa e i tratti più cantautorali del nostro bel Paese, al centro storie di vita, sconfitte e piccole vittorie. Vi consiglio di ascoltarlo il primo giorno del nuovo anno per tirare un sospiro di sollievo e lasciarvi alle spalle questo anno difficile.
Giulia Perna
“La voce umana” – Francesco Sacco
Introspezione, ricerca di contatto e relazioni controverse: no, non sto parlando (solo) di come molti hanno vissuto il 2020, ma delle tematiche caratterizzanti il sorprendente album d’esordio dell’artista Francesco Sacco dal titolo “La voce umana”, che da maggio scorso continua ad avere riscontri positivi tra gli ascoltatori. Questa mia scelta non è casuale poiché si tratta di un album capace di creare immagini nella mente di chi ascolta; immagini evocative che rendono possibile l’immedesimazione nei testi e nei suoni. Le sonorità dunque mescolano sapientemente cantautorato e elettronica, passato e futuro. Da ascoltare quando si ha voglia di vedere un film. Decisamente degno di nota, “La voce umana” è un album sfaccettato, colto e narrativo.
Michela Moramarco
“Maddai” – Caponetti
“Maddai” di Caponetti è il classico album d’esordio semplice, orecchiabile e con una scrittura pulita e delicata. In tutta la sua schiettezza ha descritto i piccoli e i grandi drammi che viviamo nella nostra quotidianità. Le parole di Caponetti parlano di un viaggio interiore che parte dall’isolamento, passa per l’amore e ritorna, seppur in modo più maturo, alla solitudine. Mischiando elementi d’élite con elementi mainstream è riuscito a unire le contraddizioni moderne arrivando alla conclusione che due cose, seppur diverse, possono stare bene insieme.
Lucrezia Costantino
La Redazione
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