Achille Lauro è un mistero, un dubbio. Forse per tutti, anche quelli che lo amano entusiasti senza farsi troppe domande. Insomma, quelli che di Lauro prendono quel folle mistero e lo accettano. È indubbio che negli ultimi due anni il suo personaggio si sia evoluto in maniera significativa – se non esplosiva. Prima di quella Rolls Royce sul palco di Sanremo 2018 pochi effettivamente lo conoscevano bene, ed era soprattutto famoso per un genere di musica tra il trap e la techno. Insomma, la sua creatività si esprimeva in un genere musicale a cui è difficile avvicinarsi, soprattutto per i non interessati.
Il mio primo ricordo di Achille Lauro è quello di quando partecipò a Pechino Express, anche conosciuto per essere l’unico reality in cui il genere umano non viene svilito. Non lo apprezzai al tempo. C’era qualcosa nella sua immagine e nel suo modo di fare che non riuscivano a farmelo piacere. Chiaramente non mi venne neppure voglia di andare ad ascoltare qualche suo pezzo. E lo lasciai lì.
Il mio secondo ricordo è quello di un mio compagno di corso universitario, che circa tre anni fa, chiacchierando del più e del meno, mi disse “guarda che Achille Lauro è un genio”. Io, che in quel periodo ero nella mia fase dei cantautori seri e del rock anni 70/80, confesso di aver pensato che il mio compare di studi fosse un cretino. Ecco, caro amico di cui non ricordo neppure il nome: se stai leggendo questo, io ti chiedo scusa.
Forse l’Achille Lauro di allora era un genio intrappolato in delle vesti artistiche davvero criptiche, ma da quando si è acceso il motore di quella Rolls Royce qualcosa è cambiato. Non solo per lui, ma anche per noi.
Certo, impossibile escludere – anzi facile pensare – che tutta la rivoluzione intorno al personaggio di Lauro sia stata anche progettata in laboratorio come strumento di marketing. Tuttavia il risultato appare come tutt’altro che artificioso. Al contrario, è come se finalmente il personaggio avesse trovato la sua chiave di volta, la sua strada, la sua vocazione. E diciamocelo, era una vocazione che in Italia non si vedeva un po’. E di cui avevamo bisogno.
Per anni – fuori da Sanremo e dentro – siamo stati circondati di artisti carini e perbene, che si impegnano a scrivere poesie (non sempre con successo), scopiazzando colleghi di successo. Ci siamo circondati di indie, e poi l’indie è diventato una copia di una copia, di una copia, di una copia. Ci siamo fiondati sulla trap, che è l’esatto opposto del piatto di politicamente corretto di cui ci siamo nutriti con cantanti e musicisti di cui sopra. Si è creato così un universo musicale in cui tutto è un po’ simile a se stesso, dove raramente ci si entusiasma e dove spesso qualità e ricercatezza sono i grandi assenti. Si certo, non sono mancate menti creative di buona intenzione. Ma in un mondo così saturo e rumoroso, per farsi sentire la botta deve essere enorme. Tipo Lady Gaga quando si vestì svaligiando il macellaio sotto casa, tipo Miley Cyrus che dall’essere la brava bambina di Disney Channel cominciò a dondolare nuda su palle demolitrici.
Negli ultimi anni in Italia abbiamo optato per la prudenza artistica.
Dimentichi della lezione di Renato Zero, Raffaella Carrà, Patty Pravo. E poi è arrivato Achille Lauro, che dal palco del teatro più politicamente corretto di sempre ha insinuato il demone dello scalpore, per guadagnarsi lo spazio di dimostrare le sue idee. Uno stile preciso il suo: una liquida e camaleontica follia. Generi diversi, epoche diverse: prima il rock del 1969, poi il pop del 1990, per poi tornare indietro al 1920 con il jazz, proponendo arrangiamenti di tutto rispetto sui brani dei precedenti album. Tutto quello che tocca Achille Lauro, diventa Achille Lauro. È passato dall’essere un artista al diventare un progetto, una somma di idee e ideali. Libertà, estro, femminismo, fluidità di genere: Lauro indossa tutti gli ideali dei progressisti di questo secolo. Gioca senza scherzare e provoca senza ferire, così che tra lo stupore e l’interesse il suo messaggio arrivi dappertutto, anche dove non piace. Perché è spettacolo, e sorpresa. E questo stuzzica un po’ tutti, infondo infondo.
Insomma, Achille Lauro per ora sembra un uomo con il Jolly sempre in tasca. Uno su cui l’unica certezza che abbiamo è l’imprevedibilità. Uno che nel suo apparire è riuscito anche a costruire – oltre che un’immagine – un modo di fare musica che scuote un po’ la linearità degli ultimi anni. Uno che vede il quadro un po’ più ampio e meno retorico. E ce n’era tanto bisogno.
Maria Giulia Zeller
Rifletto molto, parlo troppo, e mi piace scrivere. Amo la musica, l'arte, la creatività, soprattutto quando riesco a farne un collante sociale. Credo nel potere della cultura e nella bellezza delle persone. Mi piace trovare e inventare opportunità, lavorando con nuove persone che possano insegnarmi qualcosa.