È passato un anno da quando Betty si faceva prendere e lasciare, giocando con l’amore e la violenza. Nel frattempo i Baustelle sono tornati con il loro nuovo album, il quale si propone come un secondo volume in stretta connessione con il precedente disco e si dedica specularmente a un approfondimento delicato e cantautorale sulla passione relazionale e su quell’amore negativo, che negli ultimi decenni ha riempito intere pagine del pensiero occidentale.
A un primo sguardo, difatti, i brani de “L’amore e la violenza vol.2” sembrano avvicinarsi maggiormente a una dimensione quotidiana, sentimentale e soprattutto lontana dalla ‘bellicosità’ intrinseca del primo disco. Nella poetica baustelliana, però, la fenomenologia dei rapporti è sempre sondata nella sua molteplicità e – in contemporanea – nella sua essenzialità. L’amore non viene mai scisso dalla ‘violenza’ che implica. Eros si rispecchia in Thanatos. O, almeno, questo è quello che sembra suggerirci il testo del brano “L’amore è negativo”, la nona traccia dell’album.
“In amore, nella migliore delle ipotesi, ci scappa il morto. Intendo dire che avviene un annullamento del sé per aderire a un oggetto altro. Viviamo in una società che spinge a massaggiare il proprio ego. L’amore è esattamente il contrario: è negativo, sporco e distruttore.” Riprendendo il pensiero del filosofo sudcoreano Byung-Chul Han, espresso in particolar modo nel saggio “Eros in agonia” (Nottetempo, 2013), Francesco Bianconi ripropone una visione drammatica del sentimento erotico, il quale nega (negativo, appunto) e limita la soggettività, per concederle l’occasione di connettersi con l’alterità.
“Perché l’amore è negativo,/
perché la pace un giorno finirà/
Il nostro cuore è sporco e cattivo./
Il vero amore ci distruggerà./
Mi manchi davvero, lo sai.”
Se l’Altro non mi limita, il mio Io si espande senza confini in una smania narcisistica. Nelle relazioni, invece, la nostra soggettività è inquieta. Essa viene sbilanciata, messa in crisi e riformulata dalla presenza dell’amato. L’amore, difatti, non ci rassicura, non ci concede il lusso di rimanere immobili. Al contrario, ci consegna alla necessità di una perenne danza collettiva. Esso è dialettica, il morire per tornare a nuova vita.
“Spegni l’ego, spegni l’abatjour./
Stringimi forte e fammi l’autopsia./
Butta il buono, il pop, la tappezzeria./
Tieni le mosche e il sangue, amica mia.”
Attualmente, qual è il destino di un amore negativo?
Spegnere l’ego, in una società neoliberale come quella descritta nei testi di Han, significa ribellarsi alle logiche narcisistiche che trasformano gli altri – e i sentimenti stessi – in una merce da consumare, con il minimo sforzo e senza alcun sacrificio. L’alterità, in questa gabbia capitalistica, appare anti-economica, non conveniente. Per tal motivo, nelle relazioni si finisce col ricercare conferme positive di noi stessi: un gioco di specchi. L’uomo contemporaneo riesce ad amare solo ciò che riconosce come simile a sé.
Rinunciando alla possibilità di connettersi con gli altri, non aderiamo al gioco dialettico dell’amore negativo. Il destino dell’umanità contemporanea difatti è quello di sprofondare in un’angosciante solitudine. Da un lato, la frantumazione delle etiche proibizioniste concede agli individui postmoderni una dilagante libertà. Dall’altro, quest’ultima confluisce in legami che per la loro stessa e imprescindibile liquidità paiono svanire non appena si volge lo sguardo altrove. L’erotismo ha lasciato spazio a una pornografia dei sentimenti.
“Che brutta storia esser liberi dentro/
La solitudine dei corridoi/
Essere liberi e uomini mai.”
Come Asterione – il minotauro figlio di Minosse raccontato da Borges e ripreso nell’ultima traccia del disco, intitolata appunto “Il minotauro di Borges” – attraversiamo le stanze infinite del nostro labirinto esistenziale. Afflitti dalla nostra solitudine, schiacciati su noi stessi, non immaginiamo che di poter comunicare con copie della nostra persona. Non ci è concesso l’incontro con l’Altro, il quale ci appare unicamente come portatore di una morte senza alcun ritorno. Thanatos, senza Eros.
Nella concezione baustelliana, invece, si canta ancora dell’amore negativo, quello che postula l’incontro/scontro con l’alterità e che è lacanianamente desiderio dell’Altro, non il mero desiderio di desiderare o di essere desiderati. Una passione che porta alla distruzione, solo per poi rinascere in una forma ulteriore, grazie alla quale – per parafrasare Viito – “l’industria porno muore” e le leggi economiche perdono momentaneamente di valore.
Sarebbe allora il caso di tornare ad essere negati, indagati e rinnovati da quell’universo complesso, anti-conservativo, sconveniente e rischioso che è l’Eros. In amore, dopotutto – e Leo Pari ci perdonerà per la citazione – “un po’ ci si bacia, un po’ ci si brucia, un po’ ci si ama e un po’ ci si usa”.
© Illustrazione di Chiara Zaccagnino