Blindur, come fare un buco nel cuore per lasciar entrare un po’ di luce
There is a crack in everything
That’s how the light gets in[Anthem – Leonard Cohen]
In genere si tende a pensare che la soluzione al dolore e all’ansia sia altrove, ma è nel dolore la soluzione del dolore (e nell’ansia la soluzione dell’ansia). Sentendolo, abitandolo, assaporandolo, non è più estraneo, ma a poco a poco un ospite scomodo, irruente, tempestoso e infine un amante e dopo la fine un pezzo di noi.
Chi scrive è Chandra Livia Candiani, poetessa e traduttrice di testi buddhisti. Se c’è una cosa che a dire suo la meditazione insegna a fare, questa è sentire. Significa imparare a percepire il momento e il luogo. Significa imparare ad assaporare qualsiasi cosa si viva quotidianamente, senza esclusione. E tra queste, ovviamente, c’è anche il dolore. In queste occasioni dovremmo riuscire a non sentirci in dovere di essere esemplari, eroici, di tendere a qualcosa di ideale. Dovremmo semplicemente imparare a stare. Con noi stessi.
“A”, ultimo lavoro dei Blindur (2019, La Tempesta), attraverso dieci brani veicola le emozioni del protagonista sostenendo la necessità di riconvertire quelle da cui continuamente scappiamo in nuove occasioni. Una semplice “A”, in corsivo maiuscolo, che appartiene a un linguaggio comprensibile a chiunque, un simbolo universale, consente di mettere su di un piano orizzonte questa esperienza che da personale, può diventare di tutti.
Tutto ciò che sentiamo è legittimo sentirlo, è vero, e contiene grandi possibilità di recupero e di fertilità. Perchè dovremmo buttare via qualcosa senza alcun senso di riconoscimento? Solo un metodo che ci insegna a sentire, a farci capire che non ci sono vie di fuga né scorciatoie, ad accogliere l’inaccettabile, a ospitarlo lasciandocene scuotere forte, solo questo ci permetterà di far posto alla paura dentro di noi, a renderla sostenibile. La singola sensazione di paura, in realtà, non può durare che al massimo due o tre minuti, poi cambia. Dovremmo imparare a saper stare nel flusso, perchè se scappiamo dalle sensazioni scomode, allora ci sfuggiranno anche tutte le altre sfumature dell’essere al mondo.
Facciamo in modo che le cicatrici diventino dei percorsi. La famosa arte giapponese del kintsugi rappresenta l’alternativa a ciò che ognuno di noi farebbe di fronte a un oggetto di ceramica frantumatosi in mille pezzi. Non buttarlo via, bensì impreziosire le fratture saldandole con l’oro. All’oggetto rotto viene conferito un nuovo valore, divenendo così unico, per via della casualità della frantumazione e delle ramificazioni irregolari esaltate dal metallo. L’arte di accettare ed evidenziare la ferite. Solo così si guarisce veramente.
Di cosa vanno in cerca i cani? Non dire di cibo. Si sente che hanno perduto qualcosa e lo cercano ovunque col naso, col fiuto. Si sente che hanno mappe per l’assenza. Allora anch’io fiuto questo odore di alta montagna dell’assenza. Questa crepa che si allarga. Quando sarò tutta crepa, sarò di nuovo intera. [C.L. Candiani – Il silenzio è cosa viva]