Door Selection: i Sigur Rós e Cristina Scabbia dei Lacuna Coil
Quando si è molto giovani si pensa che non si cambierà mai idea su nulla.
Se a vent’anni ti piace la Guinness, leggere Pier Vittorio Tondelli o le ragazze more con gli occhi chiari sei convinto che anche a trentacinque continuerai a bere Guinnes, leggere Tondelli e a impazzire quando una ragazza con i capelli neri e gli occhi azzurri ti guarda.
Io ad esempio c’è stato un periodo della mia vita in cui adoravo l’inverno.
Sono fermamente convinto che quel momento della mia esistenza abbia coinciso con la passione per la musica islandese. Erano gli anni spensierati dell’Università. Venivo da un passato burrascoso adolescenziale di musicista e di numerose fissazioni per i generi più disparati. Dal grunge di quando ascoltavo Nirvana, Pearl Jam e Alice in Chains – avevo dieci anni ed ero un piccolo nerd disagiato sociale, preso in giro dai suoi compagni di scuola – al cosiddetto crossover di gruppi come Red Hot Chili Peppers, Faith No More, Rage Against the Machine e Incubus (dal 1993 al 1998) a parentesi nel punk californiano con Lagwagon e No Use For a Name (dal 1997 al 1999).
Parentesi che coincise stranamente con i primi ascolti italiani come Afterhours, Marlene Kuntz, Prozac+, Tre Allegri Ragazzi Morti, Subsonica, Lacuna Coil, Verdena (il 1999 e il 2000) e poi ancora Tool, Deftones, The Mars Volta, A Perfect Circle (dal 2000 al 2003).
Fu in quell’anno, nel 2003, che quasi per caso entrai in contatto con il mondo musicale islandese.
Più precisamente fu grazie alla copertina di un disco. Era uscito da poco. Il titolo era “Fold Your Hands Child, You Walk Like a Peasant” e la band era i Belle and Sebastian. Quella cover, ricordo, ebbe su di me un effetto ipnotico, mi verrebbe da dire quasi rivoluzionario.
Non saprei dirvi se fossi semplicemente innamorato o che altro. Magari di quel sano sentimento infantile, del tipo di quelli che si poteva provare per Nadia de “Il mistero della pietra azzurra” o Sabrina di “È quasi magia Johnny”. Comunque ad un certo punto venni a sapere, non ricordo come né da chi, che le due gemelle in quella foto avevano a loro volta un gruppo che si chiamava Mùm.
Scoprii così “Green Grass of Tunnel”, iniziai ad ascoltare tutto ciò che potesse in qualche modo c’entrare con l’Islanda – Björk e Sigur Rós in primis e altri all’epoca minori come Amiina e Emiliana Torrini e più tardi Ólafur Arnalds – fino a che, pochi anni dopo, uscì “Takk…”, l’album con dentro “Hoppipolla”, “Sæglópur” e “Glósóli”, che fu per me un vero e proprio spartiacque nella mia storia di ascoltatore.
In quel periodo iniziai a sentire i The Postal Service e la passione per la musica elettronica ebbe il sopravvento.
Quando poi, nel 2005, una delle due gemelle Kristín Anna Valtýsdóttir si fidanzò con Avey Tare degli Animal Collective – sì, continuavo a tenerne d’occhio la vita privata come il peggiore degli stalker – oltre ad avermi spezzato il cuore – del resto non aveva granché senso disperarsi, restava pur sempre una gemella, uguale in tutto a lei, ancora disponibile – ebbe il merito di spingermi, da quel momento, ad ascoltare praticamente di tutto e senza seguire alcun filo conduttore. I miei ascolti erano l’anarchia più totale. Per citare solo qualche nome che nel tempo mi ha segnato: dai Joy Division agli Arcade Fire, da The Get Up Kids sino ai Beirut, da Pat Metheny agli MGMT.
Vi dicevo dell’inverno per raccontarvi di come un tempo amavo le giornate brevi e il buio alle cinque di sera, il vento gelido che ti taglia la faccia, il vapore che esce dalla bocca, le sciarpe grosse e i cappelli di lana con fantasie lapponiche. Fantasticavo sui paesi nordici, loro – i Sigur Rós – me li immaginavo come degli elfi o dei folletti timidissimi, amanti della natura e dei mille posti sperduti che la loro isola metteva a disposizione, condannati – per nostra fortuna – dalle condizioni climatiche avverse, a suonare chiusi in casa e a produrre musica fatata.
Oggi, proprio come è capitato a me e capita o capiterà a voi, i Sigur Rós non sono più gli stessi.
Io da tempo ormai, ogni anno, dal 21 dicembre solstizio d’inverno, conto i giorni che mi separano dall’equinozio di primavera. Non sopporto più il buio e il freddo. Ho bisogno di sole, di caldo e di salsedine.
Anche i Sigur Rós pare abbiano cambiato gusti. Dall’isolamento, il silenzio, la pittura e la natura – ricordate il bellissimo documentario “Heima”? – oggi Jónsi Birgisson, Ágúst Ævar Gunnarsson e Georg Hólm, i componenti della band, hanno iniziato ad amare auto, case, moto e sopratutto conti in banca. Indagati per evasione fiscale pare gli siano stati congelati beni per otto milioni di dollari. Ormai però non sono più ingenuo come quando avevo vent’anni e non me ne sono stupito più di tanto.
C’è modo e modo però di cambiare.
Ieri sera, ad esempio, ho voluto vincere la forte resistenza di non vedere “The Voice of Italy” e ora credo, senza esitazioni, che continuerò a non guardarlo. Le mie reticenze erano legate per di più alla partecipazione di alcuni giudici: di J-Ax – che da quando si è messo con Fedez mi è calato tantissimo e faccio tanta fatica a sopportarne la presenza – e di Al Bano, che ho sempre considerato borioso.
La trasmissione si fregia anche dell’inutile partecipazione di Renga, che è un po’ come se non ci fosse, perennemente assorto nei suoi pensieri. La presenza della somma Cristina Scabbia dei Lacuna Coil vale la vista dell’intero programma.
Un po’ come Manuel Agnelli a X Factor dimostra anche lei di saperci fare. Brava nella gestione dei tempi, puntuale nei giudizi ai concorrenti e sempre bellissima, dall’alto dei suoi quasi quarantasei anni. È lei a passare alla “Door Selection” di questa settimana.
E il pensiero che qualcuno possa, vedendola, googlare “Lacuna Coil” e finire per ascoltare “Swamped” mi fa sperare in un mondo migliore, a prescindere che questo qualcuno possa conseguentemente innamorarsi del gruppo metal milanese o no.
A non passare questa volta alla mia door selection quindi sono proprio loro, i Sigur Rós (foto in copertina di Piero Perfetto), che sono riusciti a distruggere anni e anni di immaginario costruito tanto duramente a suon di mia costanza e ingenuità.
I puristi che accusano Cristina Scabbia o Manuel Agnelli di essere cambiati, di essersi venduti non tengono conto che non si cambia o si tradisce facendo televisione o entrando in contatto con il mondo del mainstream. Il tradimento e la delusione passano per cose ben più gravi. Come una eventuale condanna per evasione fiscale per esempio.
Si cambia continuamente e in modo molto rapido.
Anche voi non siete gli stessi che avevano cominciato a leggere questo articolo, come io non sono lo stesso che lo aveva iniziato a scrivere. Rispetto a tanti anni fa oggi non bevo più la Guinnes: il semplice odore mi provoca nausea.
Le opere di Tondelli come “Altri libertini” o “Pao Pao”, al cospetto di certi suoi capolavori come “Rimini” e “Camere separate”, mi sembrano molto sopravvalutate, oltre ad essere ormai definibili come cose “datate”, e mi stupisco di averle tanto ammirate negli anni del liceo. Non sono poi più così estremista a proposito delle ragazze con i capelli neri e gli occhi azzurri, tanto più che la donna della mia vita, Claudia, che mi è sempre accanto e mi sopporta, non ha i capelli neri né gli occhi azzurri. Eppure mi sembra, ogni volta che la guardo, la cosa più bella che io abbia mai visto.
Natan Salvemini
Natan Salvemini è nato nel mezzo degli anni Ottanta, gli piacciono le tartarughe, perdersi tra gli alberi e Bill Murray. Scrive di musica in giro e sul suo blog Stormi.
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