Dumbo Gets Mad: di psichedeliche evasioni e galassie inesplorate
Non poteva dirlo meglio Dumbo Gets Mad, progetto diretto e prodotto da Luca Bergomi, originario di Reggio Emilia, che ha “spaccato” (è il caso di dirlo) in America, con il suo nuovo album “Things are random and time is speeding up”. Le cose sono casuali e il tempo ci sta sfuggendo di mano, chi di noi non lo ha pensato almeno una volta, in questi ultimi anni insoliti, tra senso di claustrofobia e vite vissute in slow motion?
Il disco, uscito all’inizio di quest’anno, è ultraterreno
Un fruscio di foglie e rumori della notte, un cielo illuminato di stelle; aria bagnata che ci avvolge e ci stordisce, un oceano di sensazioni e spazi. Un pianeta tridimensionale in cui sonorità malinconiche ci accompagnano nel viaggio di una band definita psych-rock ma che di fatto fa fatica ad inserirsi in un genere preciso. I Dumbo Gets Mad sfuggono alle etichette in cambio della libertà assoluta nel modo di fare musica e sperimentare nuovi suoni e nuove visioni. E, grazie al cielo, riescono a mantenere un’esistenza meticcia, un suono ricco di colori indiani, di vibrazioni 60’s californiane che esplodono nella chitarra del front man e riecheggiano nella profondità dei cori. Una musica capace di passare per la Svezia degli Abba e catapultarci al mercato della seta dell’antica Madras in un riff.
L’America l’ha capito da tempo, tanto che prima della pandemia, i DGM erano pronti a suonare in alcune tra le principali città americane
Andare a sentirli live, a Milano la scorsa settimana, è stato come fare un piccolo viaggio spazio temporale, organoletticamente psichedelico e a rilascio lento. Il concerto, sul piccolo e coraggioso palco dell’Arci Bellezza, è stato il manifesto della band stessa: poche parole perché a parlare per loro ci pensa la Musica. Che ribalta gli schemi, destruttura le aspettative e scompone le incertezze del tempo moderno. Offre paesaggi stranieri a spettatori affamati del loro suono animale e ipnotico, che si muovono e ballano ora assembrati, ora nella loro solitudine di perla.
Quando è partita Crystal Balls on Roll (dall’album Quantum Leap, 2013), ho ricordato la prima volta che li ho ascoltati. Piombai in un universo sinestetico, un salto quantico appunto.
Il primo oggetto che mi venne da associare a quella musica fu un caleidoscopio. Faccio sempre questo gioco freudiano quando ascolto per la prima volta un album. La prima emozione che sento la traduco in oggetto, così, toccandolo o delimitandone i confini, posso sviluppare gli altri sensi e farmi guidare dall’irrazionalità.
“Things are random and time is speeding up”, album auto prodotto, è diverso dai lavori precedenti.
La sensazione è quella di voler fermare il tempo, nel tentativo di dargli un ritmo più definito, più affilato, nel senso di puro, raffinato. A tratti più sintetico. In costante contatto con la nostalgia old-fashioned a cui ci ha abituati, da embrioni quadrati che eravamo, a materie grigie fluttuanti pronte ad essere soffiate via o riempite, sedotte o mischiate.
Il trip avanguardistico di cui è capace questo gruppo abbraccia talmente tanti generi musicali che la percezione di scorgervi un Syd Barret o un canto induista si sovrappone continuamente. Si crea tassello dopo tassello un genere a sé stante, un mondo parallelo dove tutto è possibile e dove le culture si combinano in maniera eterea, restituendo al pubblico un’atmosfera sognante e liquida, portandolo sovente dentro un film di Baz Luhrmann.
L’America e le sue mille opportunità espressive si contrappone all’Italia, patria distante fisicamente ma anche empaticamente dall’arte dei Dumbo. Una dicotomia che si insinua in tutta la loro discografia ma che non risulta totalizzante e anzi manifesta la sua vena nostalgica sviscerando mormorii dal retrogusto folk, voli jazz e sfarfallii anni ’80.
DGM in fondo sono emigrati, non dimentichiamolo.
Nel 2010 il duo Bergomi – Menozzi si trasferì a Los Angeles per concretizzare il progetto. Provo a immaginare, come se gli album fossero dei diari sonori, in che modo si possa rallentare il tempo in una metropoli come LA.
Immagino il progresso, per come lo viviamo noi, ammettiamolo a volte schiacciante, altre miracoloso, avanzare irrimediabilmente. Da una parte le sofisticazioni audio, sviluppate nel tempo e messe a punto un po’ alla volta, cominciano a vivere di vita propria soprattutto nell’ultimo lavoro. Gli echi e i sussurri sono ombre su strade scheletriche che si dilatano nel buio; dall’altra un’umanità zombificata, perennemente connessa, dove i confini sono labili e i cuori fragili. In mezzo una pandemia, l’Arte messa in pausa. La vita sospesa. Il vuoto della lontananza sembra colmarsi grazie a melodie etniche e giravolte dell’anima, le voci acute fino a diventare un’isola, il romanticismo gotico che rivela la follia persuasiva della città degli angeli.
Una magia singolare, da ascoltare e vivere. Viene da chiedersi, dunque, perché l’errore ricorrente del mercato discografico italiano, che solo negli ultimi tempi ha saputo valorizzare taluni artisti, sia soprattutto quello di ragionare per compartimenti stagni.
Sembra infatti, e parlo da semplice fruitrice di musica, che al di là del consenso che un artista in Italia possa generare, la piazza sui cui si gioca la partita dell’originalità tenda spesso all’omologazione. Quest’ultima spiazza così i numerosi artisti che giustamente vogliono mantenere la loro natura sempre più contaminata da influenze non convenzionali e futuristiche, come nel caso dei Dumbo Gets Mad.
Non sto parlando del successo o della fama, ma di sentirsi capiti anche nel proprio Paese.
È risaputo che le Arti soffrano dell’approccio pressapochista delle Istituzioni, che dovrebbero salvaguardare il patrimonio artistico, invece di annichilire gli slanci più bizzarri e penalizzare intere generazioni. La Cultura viene (ancora) conservata in teche di cristallo, accessibili a pochi.
Musicalmente, ho la sensazione che invece di potenziare quelle intersezioni metafisiche che in quest’arte diventano possibili, Istituzioni e Industria tendano sempre di più ad impacchettare il prodotto finale. Come fosse un trolley di dimensioni standard, in stile Ryanair. E guai a metterci un grammo di esotismo in più.
Provo a fare una riflessione al riguardo
Se da un lato abbiamo una “controcultura” che ci vuole divisi, livellati e che ci appiattisce con retorica e felpe-slogan; dall’altra stanno emergendo sempre di più realtà indipendenti. Queste ci permettono di svincolarci da una partitura monocorde e di crearci, quindi, un nostro schema di interpretazione. Anche musicale.
La libertà, come ci ricordano i DGM, per quanto complessa e solitaria possa sembrare, va alimentata e protetta soprattutto se considerata un concetto osceno, come in Italia.
I rischi dell’essere liberi e avventurosi sono parte del viaggio. Psichedelia e sperimentazione sono strade tortuose che l’Italia percorre in affanno ormai da troppo tempo e che faticano ad affermarsi, in un contesto che premia la quantità piuttosto che la sostanza.
Lontano dalle logiche del personal branding, fuori dalla ancor quadrata Italia, cresce il progetto dei Dumbo Gets Mad. E questa musica, queste vibrazioni empiriche, servono proprio a ricordarci la bellezza dell’unicità: di respiri diversi, di mondi sconosciuti, del libero pensiero.