Fedez al Primo Maggio: è più importante il messaggio o chi lo dice?
Sono passati pochi giorni dall’esibizione del concerto del Primo Maggio tenutosi all’Auditorium del Parco della Musica di Roma. Anche quest’anno, per la seconda e, si spera, ultima volta, non ci si è esibiti nella consueta piazza di San Giovanni che, dal 1990, raccoglie l’Italia intera in onore dei lavoratori. Sebbene l’assenza di pubblico, però, l’evento si è svolto sotto gli occhi di quegli addetti ai lavori invitati a parteciparvi live, e tra questi c’eravamo anche noi.
Stavamo per dimenticare l’estasi del live, quando una lieve ebrezza alle porte dell’estate ci ha ricordato che la musica dal vivo è bella tutta. Lo è stata perfino con gli spalti semi vuoti, per cui puoi scordarti di poggiare la spalla su quella dello sconosciuto accanto a te, cantare e stonare in preda ad una contentezza irrefrenabile. (La ricordi questa sensazione, vero?)
Ora, sappiamo bene cosa è rimasto particolarmente vivido nella mente di tutti da quel giorno, e questo un po’ mi rammarica. Dispiace per quegli artisti, tra gli emergenti del Primo Maggio Next e gli habitué della musica italiana, che con visibile voglia di esibirsi live hanno dato sfogo alla loro musica cercando di alleggerirci il cuore. Ci sono riusciti, indubbiamente, ma chi non si sarebbe aspettato, alla notizia della partecipazione di Fedez, un discorso che avrebbe spostato l’attenzione dalla musica al sociale/politico? Potevamo immaginarlo tutti, sebbene, questo del 2021, è stato il primo concerto del Primo Maggio del rapper milanese.
La domanda allora sorge spontanea, seppur possa apparire retorica.
Perché, se è stato così prevedibile, non riusciamo a smettere di parlare e discutere su quanto avvenuto?
Fedez ha portato sul palco romano una voce reazionaria che mai avrebbe potuto sfoggiare su quello sanremese, ad esempio. Decisione più che intuibile e, per una parte discordante della popolazione, opinabile.
Il primo punto a non convincere è stata la scelta di portare all’evento, nato per celebrare i lavoratori, una tematica che poco li riguarda. Per non mandarsele a dire, Federico Lucia ha, infatti, aperto il proprio discorso chiedendo a Mario Draghi di far qualcosa per questa categoria da un anno più che mai dimenticata. Consapevole che agli occhi dei più attenti sarebbe stato percepito solo come un appoggio per cantarle poi tutte a Pillon e company, ha comunque chiuso subito l’argomento lavoratori, e dato il via a parole che rimarranno nella storia. Insomma il rapper, che da settimane bisticciava con il leghista a suon di post e stories, non avrebbe perso occasione per dire la sua su un palco così importante.
Fedez, «il reazionario col Rolex». E il problema dov’è?
Rimbomba nei corridoi rumorosi dei social, la critica delle critiche che si becca chi, come Fedez, si batte per i diritti degli altri avendo dalla sua una gran forza economica. «Il reazionario col Rolex», mi è parso di leggere in giro, e perché no, potrebbe essere anche vero, ma il problema dov’è?
Al mondo non ci sono solo gay che si battono per i diritti dei gay, ma anche etero. Non ci sono solo poveri che si battono per i diritti dei poveri, ma anche ricchi. Non ci sono solo donne che si battono per i diritti delle donne, ma anche uomini. E cosa può esserci di male in questo? Anzi, ben venga.
Ben venga che chi ha potere economico, e non il coraggio, aiuti i più deboli nelle proprie cause.
Già, perché, sebbene l’entusiasmo per le parole di Fedez, non è giusto dire che sia stato il coraggio ad averlo smosso. Solitamente, il coraggio è di chi ha poco da perdere e si mette in gioco con la consapevolezza di non saper più come mangiare. Quella di Fedez è stata prima di tutto potenza economica, poi aggiungiamoci anche un po’ di visibilità, il voler elevare all’ennesima potenza il proprio bacino di consensi e quel minimo d’istinto “naturale” da dissing. Poi, infine, un po’ di coraggio.
Ma che sia stato coraggio, potere, o voler cavalcare l’onda, poco importa. L’importante è che qualcuno lo faccia, e se a farlo è colui che può e vuole sfruttare la propria ricchezza, ben venga.
Nella cavea dell’Auditorium, sabato sera, ho ascoltato parole dure e vere. Lì, non ho pensato che a dirle fosse un rapper di cui neanche apprezzo la musica, ricco e con in testa un cappello Nike. Tutti appellativi e catalogazioni, di cui non abbiamo effettivamente bisogno di fronte a problemi grossi come i leghisti.
Non è finita qui. Fedez non è stato attaccato solo per le ragioni sopra citate, ma anche e soprattutto per la sua collaborazione con Amazon. Sembrerebbe più che imputabile di incoerenza, in effetti. Eppure, anche in questo caso mi sento di chiedervi dov’è il problema.
A tal proposito, c’è un artista, Nervi, che recentemente mi ha fatto riflettere su quanto sia sopravvalutata la coerenza. (puoi leggere l’intervista qui). E con questo, non intendo giustificare Fedez, con cui, tra l’altro, mi trovo d’accordo per la prima volta nella vita. Ma se l’incoerenza fosse davvero il punto focale del suo discorso, che porta alla luce pensieri riprovevoli dei politici che ci rappresentano, come pensiamo di poter parlare di evoluzione? Come pensiamo di poter appoggiare a tutti gli effetti cause così importanti, su cui l’Italia è tremendamente retrograda, se ciò che interessa prima di tutto è la coerenza?
La difesa elegante di Michele Bravi
Passato in secondo piano, per ovvie, ma non per questo, giuste ragioni, è stato l’intervento di Michele Bravi. L’artista ha ribaltato con elegante disappunto la recente teoria di Pio e Amedeo, secondo cui sono le intenzioni a contare, più che le parole. A quanto pare i comici pugliesi hanno malinteso il concetto di libertà di espressione, traslandolo in libertà di poter ironizzare sull’utilizzo di parole come “ne*ro” o “fr*cio”. Qui riprendo il pensiero di Guglielmo Scilla, per cui il duo avrà avuto intenzioni più buone di quelle dimostrate, sono state le parole, poi, ad averli incastrati. In pratica si sono fatti male con le loro stessi mani.
Ecco una parte del discorso di Michele Bravi:
«Una cosa da cantautore la voglio dire. Uso le parole proprio per raccontare la visione creativa del mondo e per me le parole sono importanti tanto quanto l’intenzione. Le parole scrivono la storia. Anche quelle più leggere possono avere un peso da sostenere enorme. Ci ho messo tanti anni a trovare le parole giuste per raccontare il mio amore per un ragazzo e per me è un onore farlo adesso qua, su questo palco. Grazie a voi di avere ancora voglia di ascoltare gli artisti, di dare il giusto peso alle parole.»
Dopo una pioggia violenta in cui per la Rai e la Lega sono stati fatti i nomi e cognomi, arriva Bravi che, con la saggezza e la sensibilità di chi ha sofferto in prima persona per le tematiche riportate da Fedez, insegna come ci si difende dall’ignoranza. Non gli è servito offendere, infangare né mettere in cattiva luce persona alcuna, tantomeno Pio e Amedeo. Ha attinto con semplicità e diplomazia dai suoi stessi mezzi, da vero artista qual è: le parole e la musica. I comici, invece, forse per provare a giustificare la loro comicità discutibile e antiquata, si sono mostrati inesperti perfino sul loro stesso campo. Perché, no, servirsi di appellativi come quelli sopra citati o altre mille delle loro volgarità, ha smesso da tempo di far ridere.
Non è il primo atto reazionario sul palco del Primo Maggio
Era il ’91 quando gli Elio e le Storie tese sono stati interrotti in diretta sul palco del Primo Maggio.
«Andreotti è stato giudicato dalla Corte inquisitoria per un caso di depistaggio, il caso è stato archiviato come altri 410 su 411», cantavano.
Vincenzo Mollica, conduttore del concerto, interrompe l’esibizione spostando l’attenzione degli spettatori a casa su un’intervista improvvisata al momento a Ricky Gianco. Come dichiarano gli artisti, la loro è stata una semplice lettura di eventi già noti, un po’ come fatto da Fedez.
Luca Romagnoli, dei Management del Dolore Post-Operatorio, nel 2013 è stato per alcuni versi ancora più estremo. L’artista, allo scopo di sensibilizzare sul sesso sicuro e l’uso dei contraccettivi, mostra un preservativo come fosse un’ostia.
“Questo è il budello che uso io, che toglie le malattie dal mondo. Prendetene e usatene tutti. Fate questo, sentite a me”.
Una trovata contro la Chiesa, non di gradimento, però, della Rai che lo ha censurato in diretta televisiva. Il cantante, dopo essersene accorto, ha abbassato i pantaloni rimanendo nudo sul palco.
Che sia stato Fedez, o Michele Bravi con la sua eleganza, una cosa è sicura: al popolo italiano manca una voce. Una voce che canti ciò è nascosto tra insabbiature o ipocrisie.
E non sarà di certo un cappello della Nike o uno smalto sulle unghie di un uomo a cancellare delle dichiarazioni così ingiuste da parte dei politici italiani.
Cristiana Dicembre
Ho iniziato a scrivere per pensare ai fatti miei, ora scrivo solo di quelli degli altri. Di solito mi faccio descrivere dalla musica che più mi piace, per esempio: il mio album preferito ha una banana sullo sfondo.