Questi sono soltanto due dei versi del singolo che segna il “ritorno” (se così lo possiamo definire, visto che l’album “La vita veramente” è uscito proprio questa primavera) di Filippo Uttinacci, in arte Fulminacci.
Siamo diversi ma siamo gli stessi da almeno tre anni compiuti / Ricordi…la strada, la musica, i vecchi, il freddo, i capelli perfetti, la voglia di fare di tutto pur di stare fermi.
Queste frasi ben denotano la scrittura del cantante, vincitore recentemente della prestigiosa Targa Tenco, che, a parer mio, non può essere considerato un semplice exploit dal successo sorprendente. Sì perché Fulminacci è un fenomeno che vale la pena di analizzare proprio per la sua capacita di sorpassare il target anagrafico 18-30 a cui, più o meno, si rivolge l’indie-pop italiano.
In quelle due frasi emerge la sua capacità di armonizzare una malinconia esistenziale, una stanchezza indolente ripensando ai tempi andati con una pulsione vitale scanzonata.
Una stanchezza che sembra apparentemente atipica per un ragazzo di ventidue anni ma che invece si scopre essere molto diffusa nell’approccio alla vita della generazione di cui sopra. In questo particolare pezzo è enfatizzata da una sonorità irriverente che riporta alla mente brani di Cosmo o di un certo tipo di elettro-pop. È forse proprio grazie a questa nostalgia per un passato giovanile, evocata da un linguaggio estremamente semplice ma mai convenzionale o banale, che Fulminacci può riuscire a far breccia nell’immaginario di chiunque.
La voglia di fare tutto pur di star fermi
In questi versi possiamo trovare una riflessione sul continuo divenire, forse eccessivo, irrefrenabile che porta ognuno di noi a chiederci “forse affinché qualcosa cambi nello schema esistenziale già potenzialmente definito, la soluzione è che nulla cambi, è l’essere immobili, per trovare una tanto agognata tregua”. Possiamo trovarci echi di gattopardiana memoria, se proprio vogliamo fare i letterati da tastiera.
Ed ecco un’altra motivazione del perché Fulminacci possa soddisfare il gusto musicale di più di un target. Riesce a parlare di qualcosa che lui e i suoi coetanei non hanno ancora sperimentato con un disincanto e pulsione vitale tale che gli permette di entrare nei pensieri di chi invece ha già costruito un certo bagaglio di esperienze.
Partendo dall’ultimo pezzo, mi sposto poi ai brani di “La vita veramente” per trovare altre motivazioni del trasversale successo del fenomeno Fulminacci.
In Borghese in Borghese, da lui stesso definita “un elogio alla mediocrità”, possiamo trovare un’insoddisfazione, un’intransigenza, un lamentarsi ironico che è sì prettamente giovanile ma che, parallelamente, ci catapulta in una serie di considerazioni piene di riferimenti al quotidiano degli over 40, insomma di una generazione precedente
Che poi il problema più grande di tutti, la repressione dei retti con la censura dei rutti. Tra vent’anni dicono ci sarà la rivoluzione, dove passa il treno ci costruiscono la stazione. Già mi immagino la gente per strada che è pronta a urlare “Rivogliamo la libertà di poterci lamentare”
Una generazione verso cui, inoltre, si indirizza anche una critica, non troppo leggera, dell’ideale di questa borghesia di cui noi ragazzi, inconsapevolmente forse, aspiriamo a far parte, prima però di comprenderne l’effettiva decadenza o le millantate convinzioni.
Resti sempre un perdente, resto sempre un perdente. Sono vent’anni che ci sono ma non sono nessuno, sono dieci anni che suono, sono tre anni che fumo. Sono tre giorni che ho sonno, sono tre docce che sudo. Ma le stazioni dei treni non mi commuovono più. Nei nostri comodi luoghi comuni mi confortano. Queste opinioni a metà che valgono sempre di più. Le costosissime Polaroid che ritornano
Ma la maturità comunicativa di Fulminacci si nota soprattutto nei brani più introspettivi ed emotivi come I Nostri Corpi , Al Giusto Momento.
Colpisce, al primo ascolto, una descrizione delle dinamiche relazionali e/o amorose che un ventenne raramente può aver sperimentato in modo totalizzante. Ma c’è di più: troviamo anche l’eterogeneità delle sensazioni evocate, dai dilemmi interiori alle domande (retoriche e non) intimiste e corali. Questo crogiolo di emozioni sono dipinte con una leggiadria tale da coinvolgere sia le ipotetiche sofferenze, preoccupazioni, incertezze amoroso-esistenziali dei più giovani, sia la sensibilità più “testata” di un adulto.
I nostri corpi sono solo involucri costosi. Di qualche cosa che non ha importanza. La vita è solo la manutenzione di una circostanza. Quindi mi arrotolo la sesta pausa della sera. Sperando che nessuno vada via. Com’è forzata questa pallida presenza. Com’è lontana casa mia
Quanto è comune la malinconia stanca di una sigaretta a fine giornata?
È uniforme, tra adulti e ragazzi, l’ansia per una solitudine, indubbiamente necessaria in mezzo alla folla del quotidiano, ma in fondo temuta, rifuggita (sperando che nessuno vada via) perché tutti, indistintamente, siamo restii ad affrontare quello che si cela dentro di noi. Non voglio scendere in un fatalismo eccessivo, così come Fulminacci non vuole addentrarsi in riflessioni astruse o campate in aria. Restando aderente alla sua indagine per scoprire cos’è la vita veramente, sorprende la consapevolezza con cui egli riflette sull’effimero che riempie i nostri corpi, sostanza dei dubbi e delle incertezze dei più giovani (e non solo). Ma riflette anche sulle nostre vite in senso lato, invitando a spogliarle e “ridurle” ad una semplicità lontana da ipocrisie archetipiche o finzioni che forse solo attraverso le batoste, gli errori di percorso, i traguardi raggiunti, riusciremo a riconquistare.
I nostri dubbi scrivono la nostra storia di finzione, avere un dubbio lascia il beneficio dell’indecisione
Apparentemente l’ansia per le scadenze, per “l’essere in pari”, l’angoscia di cogliere occasioni che la società presenta come irripetibili, è propria di noi ragazzi.
Infatti, pur avendo una vita da conquistare, ci sentiamo pressati da un orologio sociale, un Super Io imponente, che non riusciamo mai del tutto ad ignorare, seppur percepito in lontananza, screditato addirittura dai più testardi di noi.
Senti queste voci distratte emesse da insensibili bocche rifatte sorrette da mandibole troppo contratte
In realtà questa serie di imposizioni e scadenze (e annesse preoccupazioni) sono due tra i tanti temi, affrontati da Fulminacci, che possono far breccia nella vita di tutti, perché ogni generazione sente pressante su di sé scadenze temporali illusorie ma percepite come incombenti. Lo stesso vale per le promesse, che vorremmo non fare perché consapevoli della nostra (in)capacità di attuarle. Vale per l’avere il giusto timing non solo nella scelte ma anche nel dire ciò che pensiamo. Oppure vale per il nostro essere propositivi finendo per contraddirci, allontanandoci da una riflessività che, diciamocelo, rimandiamo sempre ad altri appuntamenti (e in fondo è anche confortante così, ammettiamolo!)
Tanto come ho sempre detto. Non c’è niente che prometto. Sì però, e poi mi sono contraddetto. Forse perché non rifletto mai al giusto momento. Tanto come ho sempre detto
Insomma, grazie al suo approccio scanzonato, Fulminacci fornisce un’artigianale ma semplicissima, imprescindibile quasi, chiave di interpretazione di tutte queste sfaccettature vitali
Ci invita all’auto indulgenza, alla leggerezza dell’innocenza, contro una severità eccessiva nei confronti delle aspettative nostre che poi trasliamo, naturalmente, sugli altri. Perché cercare di capire cos’è la vita veramente è una fatica titanica ad ogni età, come scrivere l’Infinite Gest per David Foster Wallace, come affrontare una mattinata alle poste o la segreteria dell’università il primo giorno di lezione. Quello che rende così delicato e plurilaterale il cantautorato di Fulminacci è proprio questo: l’approcciarsi alla domanda-macigno di cui sopra immergendosi in punta di piedi nella complessità umana, con l’indolenza mai passiva o rassegnata di un ragazzo e l’intuitività navigata di un adulto, finendo per fondere generazioni solo apparentemente distanti. Per questo ci conquista, uno ad uno.