Stefano D’Orazio, romano doc, silenzioso, umile, gentile, educato e simpaticissimo, fu per quasi quarant’anni – dal ’71 al 2009 – il batterista dei Pooh, prendendo il posto di Valerio Negrini, poeta del gruppo. Con una voce caratterizzante, che spesso prestava il fiato al flauto traverso, si espresse anche e soprattutto attraverso l’arte della scrittura. Scrisse numerosissime canzoni, sia per cantanti come Alice, sia per i Pooh.

Dopo piccole comparse cinematografiche e giovani esperienze in gruppi beat e progressive come i The Planets e Il Punto, fu catapultato, all’alba degli anni Settanta, in un vortice di musica attraverso concerti, prove, incisioni discografiche, interviste.

Soprattutto dal ’76, anno in cui i Pooh cominciarono ad auto prodursi con il disco Poohlover. Una storia che parla da sé, senza bisogno di presentazioni, ricca di successi e soddisfazioni, ma anche di stress e rinunzie.

“Il successo ti dà tantissimo, ma ti toglie con gli interessi altrettanto” disse Stefano in un’intervista, anche per spiegare le motivazioni della sua uscita dal gruppo, nel 2009, in una situazione fiorente.

Dal 2010 si dedicò alla scrittura di musical come Aladin, Mamma mia, W Zorro e Cercasi Cenerentola, sino al ritorno nel gruppo, assieme a Riccardo Fogli – bassista dal 1966 e sostituito nel ’74 da Red Canzian – per la fortunata ed attesissima reunion del 2016, festeggiando assieme a Dodi Battaglia e Roby Facchinetti, cinquant’anni di musica. Dopo la sua bellissima autobiografia, del 2012, dal titolo “Confesso che ho stonato”, sua moglie ha dato alle stampe, proprio in questo mese, il suo primo romanzo, postumo: “Tsunami”.

Stefano D’Orazio

Hanno detto che Stefano D’Orazio non sapeva portare un semplice tempo. Che suonava in playback, che i dischi erano incisi da altri e che la sua enorme batteria era sprecata. La realtà è un’altra. D’Orazio di certo non era un musicista virtuoso, ma dietro la sua batteria bianca Ludwig con la doppia grancassa, attraverso anche le numerosissime percussioni di cui disponeva, ha sempre fatto il suo, anzi di più.

Ciò su cui è necessario soffermarsi, per apprezzare al meglio la sua figura completa, è il carattere poetico presente nelle canzoni che ha scritto.

Il modo migliore per iniziare è con 50 primavere, una canzone che ha il sapore della libertà. «Quel 25 aprile la guerra era di casa, pioveva forte fuori dalla chiesa, la fame era nell’aria, la vita una scommessa ma il prete continuava la sua messa. […] La guerra che finiva, i balli americani, l’Italia da rifare con le mani. I 10 alla schedina, i figli all’improvviso, la casa troppo stretta e io che crescevo troppo in fretta».

Fu a Roma, sulla linea n.13 del tram, dal quartiere Monteverde a piazza Vittorio, che Stefano, a undici anni, incontrò La ragazza con gli occhi di sole, con i capelli profumati di Mira Lanza. A lei, tanti anni dopo, dedicherà queste parole.

«La ragazza con gli occhi di sole cominciava ogni giorno la vita, su quel treno di folla e di fumo che dal mare portava in città. Tra i giornali malati di noia la guardavo guardare il mattino, con la fronte sul vetro veloce che sfiorava le case del sud. E chissà se sentiva il mio cuore mentre mi innamoravo di lei. Ti porterò con me, più in là di questo mare, per tutti i tuoi domani starò con te».

D’Orazio, tra le tante, scrisse anche Che ne fai di te, Rubiamo un’isola, Eleonora mia madre. E poi ancora Peter Jr, Vivi, Tropico del Nord e Pronto, buongiorno è la sveglia, colonna sonora di tanti inizi di giornata.

«Pronto buongiorno è la sveglia ma di muoversi manca la voglia. Colazione per modo di dire, tutto in fretta bisogna partire, ci aspetta già un’altra città. Mangia la strada il motore e la radio riempie le ore. Uno legge, uno dorme, uno fuma ed intanto s’è fatta già l’una, fermiamoci c’è l’autogrill».

È sulle note di un Fa maggiore che Red canta Cercando di te

 «Cercando di te ho consumato la mia vita, tra storie in salita e provvisorie verità. Il tempo è pieno di sorprese e qualche volta ci assomiglia, si sogna e si sbaglia e ci si spegne sempre un po’. […] Cercando di te nelle maree che ho attraversato ho sempre incontrato troppe parole e poco amore. Tu parli poco e non prometti ma sai scaldare le mie notti e quando mi manco sono sicuro che ci sei».

Pooh

Sulle parole dello stesso pianoforte, la stessa voce intona Stare senza di te, racconto di un amore ostinato, complesso.

«Gli amici adesso avranno tante cose da parlare e poi mi riempiranno di consigli e di rimproveri perché adesso sto con te. Noi due avevamo fino a ieri i nostri amori veri, sembravano per sempre e adesso invece siamo qui e nessuno capirà che sto con te e nonostante tutto e tutti io corro da te, controcorrente, contro la gente. […] Ci siamo entrati lentamente nella pelle e poi ci siamo combattuti fino in fondo, fino a farci male, e alla fine hai vinto tu e io sto con te ed è solamente amore se corro da te, ci siamo presi, ci siamo arresi. Stare senza di te, io no, stare senza di te, non si può».

Non solo amore per una donna, ma anche per una città, come Napoli per noi.

«Napoli città di terni al lotto, di gente che ogni giorno è sempre una scommessa, che arrivano alla sera faticando e improvvisando. Che Napoli non è soltanto contrabbando. E guarda Napoli ferita, Napoli proibita, nuda o travestita, presa o abbandonata. Guarda Napoli futura, bianca di paura, con la gente vera, che ancora sogna e ancora spera. Napoli spogliata fino al mare. Ma Napoli che sa ricominciare. Napoli per noi che ci stupisce, che non ne siamo figli ma ci riconosce, quando la tocchiamo ci regala un’emozione, che non puoi fare a meno di volerle bene».

Stefano era davvero Un vero amico, che «ti resta vicino, nel bene e nel male, e non gli serve parlare per dirti che pensa di te».

Chi non conosce La donna del mio amico? La vita coi sui comandamenti, da difendere anche con i denti, in cui vive la sacralità di un valore come l’amicizia.

«Sei la donna del mio amico e a qualunque costo non possiamo fargli questo, non sarebbe giusto. Dirti sì, sarebbe facile ma io no, non posso farcela. Se io fossi in me ti trascinerei qui su questo letto, non ci penserei neanche per un po’, ti farei di tutto. Mi innamorerei come forse io non ho fatto ancora, ma non è così, noi saremmo noi solo per un’ora».

L’amore di Io sto con te: «Io sto con te e ti respiro e mi fai bene, mi prendi e mi sorprendi tu, tu sei la voglia e la ragione di questa mia stagione». Ma anche la corporalità di Dimmi di sì, declinazione fatta di sesso e di desiderio.

«Non ti dirò che è stato subito amore, che senza te non riesco neanche a dormire. Ma sarò sincero quanto più posso, con te vorrei una notte a tutto sesso. La tua eleganza non è un punto cruciale, la classe poi non mi sembra affatto essenziale, c’è che sei un animale da guerra, con te vorrei una notte terra-terra. Dimmi di sì, che si può fare, senza sparare parole d’amore perché ci prende e perché vogliamo, perché viviamo».

Stefano D’Orazio e Barbara D’Urso
Forse una delle sue canzoni più famose è Buona fortuna, tratta dall’omonimo album del 1981.

Un brano corale, in cui c’è tutto: lo slap di Red, la chitarra rockeggiante di Dodi, il “nuovo” piano elettrico di Roby e, naturalmente, lo stile di Stefano, dall’energico scampanellato sulla parte centrale del charleston agli spasmi a tempo di musica. È un brano perfetto, corale a tutti gli effetti, cantato in ogni strofa da un componente con il ritornello collettivo.

«Razza difficile, cambia idea se gli scappa così. Giorni a colori poi spenderà se gli parli di te. Fa quel che vuoi per un sorriso di più. Punterà su di te, gioca la vita tutta in una partita. Ma non sa perdere, ha sempre un asso addosso, una scusa buona e tanta fortuna sempre vicino a sé».

La vita di Stefano D’Orazio si è conclusa lo scorso 6 novembre, a settantadue anni, a causa del Covid-19

La stessa malattia per la quale si è speso scrivendo il singolo Rinascerò rinascerai, pubblicato l’8 aprile, i cui diritti sono stati devoluti all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

«Rinascerà rinascerai, la tempesta che ci travolge ci piega ma non ci spezzerà, siamo nati per combattere la sorte ma ogni volta abbiamo sempre vinto noi, questi giorni cambieranno i nostri giorni, ma stavolta impareremo».

Siamo vicini al Natale e manchi già. Ora non hai scuse, Stè «facci uscire dal temporale prima che ci trascini via, dacci strade per ritornare dove non siamo stati mai. E non serve che sia Natale per scoprire di avere un cuore, per capire, per sperare un po’». Carmelo Bene, con cui hai anche collaborato, diceva “È decorazione l’arte, è volontà di esprimersi”. Ti sei espresso nel modo migliore e noi tutti te ne siamo grati.

1 Comment

  1. Elisabetta Ponti 30/12/2020 at 8:52 pm

    Condivido con commozione. E’ un commento che avrei voluto scrivere personalmente, dopo 50 anni di amicizia e di una valanga di collaborazioni che ci inventavamo di volta in volta, pur di non perdere quella intesa fraterna che ci ha coinvolti tutta la vita. Ma finora non ne ho trovato la forza. Come con gli altri amici comuni, voglio continuare a sentirti sempre presente, ma attualmente occupato in altre faccende, che dal posto dove ti trovi adesso ti daranno tanto lavoro da fare, per assistere la tua famiglia ed i tuoi amici più sinceri, ai quali hai sempre dato tanto senza remore… Buon lavoro, Stefano, più vivo che mai!
    Elisabetta


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