Un’intervista a me stesso su Antonio Diodato. Sarà colpa delle mie origini irpine, ma il “fatti una domanda e datti una risposta” di Marzullo mi ha aiutato molto in questo flusso di coscienza.
Ho conosciuto Diodato indirettamente attraverso i racconti di Gallaro, artista che stimo e che ha avuto lo scorso anno l’onore o l’onere – decidete voi – di condividere il palco con lui al Morgana Music Club di Benevento. Parlandone con lui, ai tempi, ricordo le parole di stima e gioia, ma soprattutto ricordo quell’amore per la musica che condividono.
“Antonio (perché è così che si presentò) è un artista che fa bene alla musica. Merita davvero tutto il successo che sta avendo, perché è vero. In un mondo di finti like e di artisti che non prendono posizione, si è fatto strada con la musica. Sono davvero felice per lui.” – Gallaro
Diodato è la stella inaspettata del 2020?
Quando vinci il Festival di Sanremo ed il David di Donatello nello stesso anno, compi un’impresa mai vista prima, diventando, come direbbe qualche giornalista di StudioAperto, “l’uomo che sta illuminando il 2020”. Il racconto che provo a fare io non è di questo calibro. Certamente questo sembra essere l’anno di Diodato. Antonio è stato, per molto tempo, un’artista trascurato dal mondo mainstream e sempre molto amato da chi segue da più anni i sottoscala indipendenti. Proprio per questo non mi va di riproporre il racconto pasticciato, fatto da molti, dell’artista fuoriuscito dal nulla, di un talento sbocciato all’improvviso. Perché sarebbe falso e anche irrispettoso nei confronti del percorso artistico di Diodato, che dopo anni di gavetta ha pian piano conquistato il grande pubblico, restando con coerenza se stesso.
Quindi questo successo improvviso non dovrebbe essere così inaspettato?
Siamo abituati a dimenticare presto, ma già qualche anno fa ha sbalordito tutti con la sua musica e con la sua umiltà portata sul palco dell’Ariston. Ricorderete il duetto con Ghemon (altro grande artista sottovalutato). Insieme cantarono “Adesso”, canzone che, riascoltata oggi, quasi spaventa per quanto attuale e profetica. Ma tornando al 2020, questo Febbraio ha pubblicato “Che vita meravigliosa”, entrando, anche grazie al Festival, a far parte dei grandi della musica italiana ed europea. Un album che però vi invito ad ascoltare spogliandovi del pregiudizio, positivo o negativo, che avete di Sanremo. Ci dimostra, infatti, che non c’è proprio nulla di inaspettato e improvviso.
“Che vita meravigliosa” avrebbe avuto successo senza Sanremo?
Forse è inutile, dopo così tanti mesi, ripetersi sulla bellezza armonica e sulla completezza cantautorale di questo lavoro. Con un attento ascolto si capisce che la maturità artistica del disco non è paragonabile alla mela di Newton caduta all’improvviso dall’albero, ma a qualcosa di estremamente ricercato. Ci accompagna in questo viaggio la morbida voce di Diodato che combacia perfettamente con la produzione orchestrale, ennesima dimostrazione che le chitarre non sono morte e che c’è un mondo oltre i synth. Senza trascurare la scelta delle parole mai banale, ci troviamo di fronte a una penna puntuale, attenta, delicata proprio come la voce di chi sa trasformare le parole in musica.
“Fai Rumore” non è solo la canzone di Sanremo.
L’incipit di “Fai rumore” mi riporta ad un brano dei Cani, in cui Contessa ci diceva che avremmo dovuto abituarci a sparire. Poche sono le canzoni capaci di partire dall’intimità. Abbiamo in questo brano un invito ad abbattere i muri dell’incomunicabilità. Attraverso un legame emotivo che collega l’artista all’ascoltatore, Diodato coglie l’essenza stessa della musica: cioè intrappolare un pensiero tra le note per condividerlo con gli altri. Capita a tutti di ascoltare le canzoni e di immedesimarsi pienamente. Poche volte mi è capitato che una canzone facesse immedesimare così tante persone. Diodato ci è riuscito: ci ha intrappolati tutti.
Nel lockdown Diodato è riuscito a salire sul tetto d’Europa.
Non so molto di tetti, ma l’emozione che è partita da Sanremo è passata su tutti i balconi europei. La musica ci ha permesso di essere più uniti, più di quanto non abbia fatto la politica. Molte volte dimostriamo difficoltà nell’esserlo, tanto che ha dovuto ricordarcelo il presidente Mattarella nel suo discorso del 2 Giugno. La forza della musica è proprio questa: riuscire in silenzio a riaccendere le luci dell’Arena di Verona e a farci vivere un tempo sospeso. Mi chiedo se però, quando tutto questo sarà finito, riusciremo a ricordarci di nuovo “dell’essenziale invisibile“, citando Diodato in “Alverari”.
Netflix o multisala?
Non molti sanno che Antonio Diodato è un appassionato di cinema. Lui, laureato al DAMS, è di quelli veraci che vanno al cinema da soli. Con la vittoria del David di Donatello riesce a far incontrare le sue due più grandi passioni. Per farvi un parallelo, è come se Valentino Rossi fosse diventato un pilota della Ferrari. Nella musica c’è tanto cinema: Diodato è uno di quelli che riescono a dipingere tante immagini con la sola forza delle parole. Magari un giorno diverrà anche un regista, sappiamo già che preferirebbe i multisala a Netflix.
Taranto, l’ambiente e il primo Maggio.
Venire da una città come Taranto, che combatte ogni giorno contro le morti causate dal disastroso inquinamento, sicuramente condiziona il modo di essere e di vedere le fragilità umane. Diodato ogni anno da direttore artistico di “Uno Maggio Taranto” prova, insieme a tutto il collettivo, a dare proprio questo messaggio, usando la musica come un grande amplificatore. Infatti, non dimenticherò mai che il vincitore del Festival di Sanremo lo scorso primo maggio su La7 cantava, in maniera straordinaria, Lucio Dalla e promuoveva l’uscita di “Libere e Pensanti”, mentre la restante parte della scena italiana era sulla RAI. Un atto non banale, nel quale si preferisce l’amore per la propria terra.
Diodato ieri, oggi… ma domani?
Conosciamo il Diodato del passato e quello del presente, ma sinceramente non credo possiamo porre condizioni al Diodato del domani. Sarebbe incoerente con quanto detto fino a questo momento. Questa quarantena ha sicuramente sconvolto tutti, un periodo particolare, ma per molti artisti è stata anche un’opportunità per crescere e produrre. Spero che sia stato così anche per Antonio.