La musica è “cosa” proibita in Afghanistan
Non è una novità che in un Paese teocratico, dove la religione – in questo caso l’Islam – è diretta protagonista della vita politica e legislativa, e dove vige l’assenza di libertà individuale, le arti vengano ostacolate e spesso bandite; non bisogna quindi stupirsi dei libri dati alle fiamme, dei siti archeologici distrutti, dei cinema e dei teatri chiusi, della musica vietata.
L’Afghanistan è storicamente tra i posti peggiori in cui nascere donna.
Ecco ciò che ha recentemente dichiarato il portavoce talebano Sayed Zekrullah Hashim: «Una donna non può fare il ministro. È come se le mettessi al collo un peso che non può portare. Non è necessario che le donne facciano parte del governo, devono fare figli». Inoltre, tra le altre follie, esiste ancora la pratica del bacha bazi, ovvero la schiavizzazione e la prostituzione dei bambini: un vero e proprio business.
In Afghanistan, sin dalla conquista della capitale Kabul nel ’96, i talebani hanno dichiarato guerra all’arte. All’epoca dissero: «Cassette e musica sono proibite nei negozi, negli alberghi, sui veicoli e sui risciò. […] Nel caso venga trovata qualsiasi cassetta di musica in un negozio, il titolare sarà incarcerato e il suo negozio chiuso».
Nel 1998 fu istituito “l’Ufficio per la Diffusione della Virtù e la Prevenzione del Vizio di Herat” che aveva il compito di confiscare e bruciare oggetti considerati “eretici”. Inoltre, durante il regime dei talebani (1996-2001) Radio Sharia – da notare la scelta del nome… – smise di trasmettere musica per dedicarsi a notizie perlopiù di attualità. Erano permessi soltanto i sermoni.
Queste ed altre misure provocarono l’immediata fuga, verso gli Stati limitrofi, di scrittori, musicisti e artisti.
Altri restarono e cambiarono mestiere; mentre, come spesso accade nei regimi, una parte silenziosa di essi continuò in segreto a diffondere la propria idea di musica, non disdegnando certe pellicole cinematografiche occidentali. Basti pensare alla grande diffusione del taglio “alla Di Caprio”, dopo l’uscita del film Titanic, che portò all’arresto di numerosi barbieri.
Durante gli “anni di libertà”, tante furono le rivoluzioni. Nel 2004 Selay Ghaffar fondò il Solidarity Party of Afghanistan, nel 2008 Ahmad Sarmast istituì l’Afghanistan National Institute of Music e nel 2015 Negin Khpalwak cominciò a dirigere la Zohra Orchestra, un ensemble composto solo da giovani donne.
John Baily, ex professore alla Columbia University, ora docente di etnomusicologia a Londra e soprattutto capo dell’Unità di musica dell’Afghanistan, nel saggio “La censura musicale in Afghanistan prima e dopo i talebani”, ha scritto: «Il regime dei talebani afghani ha prodotto una delle forme più estreme di censura musicale che si siano mai viste. Solitamente la censura impone limitazioni all’esecuzione di determinati tipi di musica, oppure fa tacere individui le cui opinioni sono ritenute ostili da coloro che detengono il potere. I talebani invece hanno imposto un divieto su tutte le manifestazioni legate a ciò che essi consideravano “musica”».
A distanza di vent’anni, con il ritorno dei talebani al potere – dopo che almeno una parte della cittadinanza aveva creduto in un rinascimento culturale attraverso l’istruzione, la conquista dei diritti e l’amore per le arti – tutto è tornato come prima.
Musica vietata, sport negato alle donne, bandito il dress code “all’occidentale”, torture e massacri. Il ministro dell’Istruzione ha dichiarato: «Non permetteremo che ragazzi e ragazze studino assieme. […] L’istruzione mista è in conflitto con i princìpi dell’Islam e dall’altro lato è in contrasto con i valori nazionali ed è contraria alle tradizioni degli afghani».
Un mese dopo l’assassinio del comico Nazar Mohammad, avvenuto a fine luglio, è stato trucidato anche il cantante folk Fawad Andarabi. Questo è solo l’inizio. Il portavoce dei talebani Zabiullah Mujahid ha detto: «La musica è proibita nell’Islam. Speriamo di poter persuadere le persone a non fare queste cose, invece di esercitare pressioni».
“Queste cose”
La musica tutto è fuorché una cosa. Senza ricorrere a Nietzsche con la sua celebre “senza musica la vita sarebbe un errore”, è quasi inutile rimarcare quanto la musica sia importante nell’esistenza umana, per mille ragioni. Evidentemente in certe realtà, retrograde e invasate, non è poi così scontato.
Mi rendo conto d’essere una persona privilegiata, come probabilmente molti di voi lettori nati in Paesi liberi e democratici. Ho avuto la fortuna di crescere ascoltando Jobim, Albéniz, Coltrane, Dalla, Drake, Pastorius. È triste pensare che possa nascere ancora qualcuno senza avere la possibilità nella vita di godere di certa bellezza…
In copertina Fawad Andarab, ucciso a fine agosto
Francesco Saverio Mongelli
Classe 1997. Autore di canzoni, poesie, saggi, articoli e racconti. Musicista e scacchista, appassionato anche di antimafia, attualità, giornalismo, arte e cinema.