Tuttə pazzə per i Måneskin: un fenomeno musicale, ma soprattutto socioculturale
Dal Festival di Sanremo agli Eurovision, dall’opening act dei Rolling Stones al trionfo agli MTV EMA per la categoria “Best Rock”: ricorderemo questo 2021 come l’anno in cui i Måneskin hanno preso a morsi il mondo, calcando palchi europei e americani, primeggiando a oltranza in classifiche internazionali per ascolti e views, presenziando a programmi di punta della TV d’oltreoceano e, in definitiva, conquistando il consenso di un pubblico di portata non ampia, bensì mastodontica, dentro ma – soprattutto – fuori dai confini italiani.
Ma perché?
Come mai una band romana che propone, peraltro, musica rock di stampo anglosassone piace così tanto e sempre di più al grande pubblico internazionale? Può questo loro successo senza precedenti essere ricondotto a parametri di giudizio puramente musicale? In questo articolo proviamo, per una volta, ad andare oltre le canzoni – che, comunque, piacciono e ci piacciono -, e a concentrarci, invece, sul messaggio di cui il progetto Måneskin si è reso inesorabilmente portavoce: la libertà di essere (e basta), sopra e sotto il palco.
Quando guardo Damiano, Victoria, Thomas ed Ethan, non posso fare a meno di pensare ad un’altra band che, tra la fine degli anni ’90 e i primi ’00, divenne talmente famosa da essere considerata una vera e propria icona dell’alternative hip-hop che i trentenni di oggi ascoltavano negli auricolari dell’mp3 da adolescenti. Parlo degli statunitensi Black Eyed Peas, un gruppo che non ha certo bisogno di presentazioni e che nel corso degli anni ha scritto delle intramontabili hit generazionali, come “Where is the love?” e “Pump it”, pezzi capaci – ancora oggi – di solleticare gli animi dei giovani adulti nostalgici di tutto il mondo.
La mia riflessione parte da un ricordo
Quando ero ragazzina e scoprii i BEP, non furono soltanto la sperimentazione musicale, i beat riuscitissimi o i videoclip colorati e spesso divertenti a farmi innamorare di quel gruppo canzone dopo canzone. Fu qualcos’altro dei Black Eyed Peas a bucare lo schermo della tv, a catturare la mia attenzione e ad emozionarmi: la loro diversità spavalda e fiera, il loro personalissimo modo di mescolarsi (etnicamente e musicalmente) e il loro consapevole capovolgimento dei ruoli “tradizionali” all’interno del gruppo, dove Fergie – unica donna della band – non era certamente relegata a fare da showgirl, bensì era, insieme a will.i.am, volto e front(wo)man ufficiale dei BEP. Tutto questo non vi ricorda qualcosa?
“Il felice mistero dei Måneskin è che sono i primi musicisti italiani ad avere successo nel mondo con una musica non italiana. – spiega Massimo Gramellini in un episodio del podcast “l’Ammazzacaffè” (Corriere Daily). – Che cosa possiedono di così speciale questi quattro ragazzi romanissimi? Per usare una parola alla moda: sono fluidi. Tutti e quattro appaiono sfuggenti, non incastrabili in una definizione; e la loro non sembra una posa, ma un’essenza in cui si riconosce la loro generazione”.
La ricerca di nuovi modelli di normalità senza stereotipi
Insomma, se dovessimo individuare l’esatto bisogno del pubblico a cui i Måneskin rispondono in modo così mirato e puntuale, non penseremmo alla voglia dell’ascoltatore medio di scoprire e ascoltare nuova musica – di quella ce n’è fin troppa -, quanto ad una volontà collettiva di stampo socioculturale che oggi più che mai spinge le persone (giovani e meno giovani) a cercare nuovi modelli di normalità non stereotipizzata in cui potersi trovare, vedere e, infine, riconoscere. Non più la speranza di poter essere “qualcosa”, ma la famelica pretesa di essere chiunque desideriamo, senza etichette e senza giudizi.
Sono fuori di testa ma diverso da loro. E tu sei fuori di testa ma diversa da loro / Siamo fuori di testa ma diversi da loro. Siamo fuori di testa ma diversi da loro, no
Damiano David è un ragazzo che indossa minigonne e si esibisce in reggicalze senza perdere la sua mascolinità. Victoria De Angelis è una ragazza che divora il palco con fare da dura senza, per questo, risultare meno o poco “femminile”. Thomas Raggi suona la chitarra con il viso truccato ed Ethan Torchio porta lo smalto alle unghie delle mani; eppure né l’estetica né il linguaggio corporeo durante le loro esibizioni rende questi due ragazzi meno uomini. È probabilmente questa normalizzazione dell’indefinito, questa libertà d’espressione non più soltanto idealizzata, ma pretesa, fatta propria e urlata sopra un palco a fare dei Måneskin degli autentici supereroi moderni che, armati di stivali e lustrini, hanno dato voce e forma a ciò che oggi conta davvero: essere noi stessə, inafferrabili e felici nella nostra vera essenza.
In copertina uno scatto di Vianney Le Caer
Annalisa Senatore
Annalisa Senatore all’anagrafe, ma sul web e nel cuore lei è annamatita. Nata e cresciuta a Siracusa, ha una laurea in psicologia, una in neuroscienze, un master in comunicazione digitale eeeee Macarena! E' una libera professionista e lavora nel mondo della comunicazione e della promozione musicale. La sua missione - dice - è combattere la banalità delle parole vuote e delle canzoni tutte uguali! Social media manager e Press officer della Red&Blue Music Relations, Project manager di The Web Engine. Ma anche sniffatrice seriale di libri, sosia ufficiale di Amy Winehouse e orgogliosissima Serpeverde.