C’è un dipinto e c’è la copertina di un disco. Partiamo da qui.
Il dipinto è quello a cui l’artista George Seurat – post-impressionista e tra i padri del cosiddetto movimento puntinista – diede il titolo di “Bagnanti ad Asnières”. La tela ritrae un angolo balneabile della Senna nella periferia industriale di Parigi, a fine Ottocento. Le figure, avvolte da un’immobilizzante aura sacrale, sono lì a non interagire in nessun modo tra di loro. Non c’è alcun pericolo di contaminazione. L’elemento dell’acqua ricopre la funzione di unire ciò che per scelta o per necessità è di fatto diviso. Lo sguardo dei bagnanti fisso davanti a sè, privo di profondità, alienato: “Siamo qui ma non lo siamo davvero. Stiamo sul limite. Dentro/fuori”, sembrano dire.
La copertina è quella de “Il nuotatore”, l’ultima fatica dei Massimo Volume. E il termine “fatica” non a caso.
Sì perché di sforzo, fisico e mentale, si può a buon diritto parlare, in riferimento sia al lavoro artigianale di ideazione e produzione del disco – che porta i segni di una radicale scarnificazione di suoni e di un consistente apporto autobiografico da parte di Emidio Clementi a proposito dei contenuti dei nove brani – sia all’impegno richiesto all’ascoltatore per poter cogliere a pieno la portata universale delle narrazioni di vita e dei personaggi magistralmente messi in musica.
Ma dicevamo, la copertina.
La spiaggia affollata, immortalata da Luciano Leonotti e abilmente manomessa da Marcello Petruzzi, mostra “una folla di solitudini bene assortite”. Quasi una rivisitazione, in chiave contemporanea, una riattualizzazione del quadro di Seurat. L’acqua, anche qui, come immagine ricorrente dell’album da un punto di vista testuale e concettuale. È l’acqua sempre più torbida delle piscine percorse a furia di bracciate da Neddy Merrill per tornare a casa [“Il Nuotatore”], è l’acqua minerale prodotta dalla ditta dello zio di Clementi [“La ditta di acqua minerale”], è l’acqua dei canali di Venezia della passeggiata onirica con Nietzsche [“Fred”].
Forse, però, quello che compare a più riprese non è tanto l’elemento-acqua, quanto il gesto del nuotare, inteso quasi come una certa condizione esistenziale dell’uomo che, sempre lì lì tra il seguire dolcemente la corrente e l’esserne sopraffatto, cerca solo di restare a galla. Nel continuo confronto con il mondo, con gli attori che vanno e vengono della scena, in questa sorta di Truman show generalizzato dove tutto sembra funzionare alla perfezione, mentre sotto si agita un qualcosa di inquietante e di Reale che preme dalle profondità per poter emergere, per avere anche Lui, giustamente, la sua Parte. E allora proviamo a farlo uscire questo Reale, proviamo a dare importanza alle interferenze di questo Truman Show in cui ci troviamo – non sempre per nostra volontà – ad essere immersi. Proviamo a purificarci anche noi. L’acqua, ancora una volta. Proviamo anche noi a tornare all’essenziale.