Dai CCCP ai C.S.I: ciò che doveva accadere, è accaduto
La confederazione degli stati indipendenti (C.S.I.) è stato il tentativo, maldestro, di dare continuità all’unione sovietica (CCCP). Lo definisco maldestro perché era evidente che in quella manovra totalmente politica mancavano i presupposti sociali ed ideologici per tenere insieme singolarità così diverse tra loro.
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Lezione di storia finita. Ora passiamo alle cose serie: questo preambolo era necessario (più o meno) per introdurre la band, ed il disco di cui parliamo questa volta. E udite, udite, la band sono i C.S.I. (ex CCCP) con il loro terzo album dal titolo, naturalmente, “Tabula Rasa Elettrificata“.
Ad acronimi direi che siamo decisamente a posto, cominciamo quindi a mettere ordine tra tutte queste sigle.
I CCCP per chi si fosse distratto durante gli anni ‘80 hanno rappresentato in modo assolutamente credibile e coerente la scena punk italiana. Un’architettura visiva, musicale e comunicativa, quella dei CCCP, che lasciava decisamente poco spazio ai fraintendimenti.
Tutto il periodo di produzione dei CCCP racconta una vitalità artistica e creativa fuori dal comune, soprattutto se si considera quella che in quegli anni era la produzione musicale italiana (i tempi del prog-rock della P.F.M., degli Area o dei Perigeo erano ormai passati e molto poche erano le realtà che sembravano poter raccogliere quella eredità fatta di innovazione, sperimentazione e anticonformismo, tra questi, e non a caso la commistione tra i membri delle due band è notevole, ci sono i Litfiba).
Il capitolo CCCP occupa uno spazio fondamentale per tutto ciò che avvenne in Italia negli anni ‘90, legato alla scena indipendente, al rock e, conseguentemente, ai C.S.I. Il consorzio suonatori indipendenti (questo il significato dell’acronimo) raccoglie, come per la confederazione degli stati indipendenti, l’esperienza precedente traghettandola nel nuovo decennio, alle soglie del nuovo millennio. La band emiliana sveste totalmente gli abiti punk (decisamente anacronistici e ormai poco credibili), ma non l’attitudine ad affrontare la forma canzone in modo intenso e mai banale. A cambiare è la percezione del tempo, del ritmo che si rallenta, si dilata, si allunga fino quasi a scomparire dietro alle parole, dietro ai “mantra” cantati (spesso recitati) con il solito pathos di chi, insieme a Massimo Zamboni, diede vita ai CCCP ed ora ai C.S.I.: Giovanni Lindo Ferretti.
Dopo i primi 2 album (“Ko de mondo” e “Linea gotica”, inframezzati dal live “unplugged” di videomusic “In quiete”) siamo dunque di fronte al terzo lavoro in studio.
Il lavoro nasce un anno dopo che la coppia Ferretti – Zamboni compie, nel 1996, un viaggio in Mongolia. Lmeta sottolinea ancora una volta quella dilatazione temporale, ma anche spaziale di cui sopra. Se “Ko de mondo” nasce come album intimo (la band si raccolse in un casale in Bretagna a scrivere, comporre, produrre e registrare tutto l’album), se “Linea Gotica” guarda fuori… ad est, all’est europeo in fiamme a causa della guerra nella ex Jugoslavia, “Tabula rasa elettrificata” (questo il significato dell’acronimo) no si dà confini, non accetta nessuna regola né di spazio, né di tempo.
Un disco sospeso, ma mai in sospeso.
Sin da subito con “Unità di produzione” si capisce che siamo di fronte ad un disco che difficilmente passerà inosservato. Le chitarre di Zamboni e Canali si inseguono, si accarezzano e si sfidano. Il basso di Maroccolo, “ignorante” nel suo significato più alto del termine è insieme alla batteria un treno che, attraverso la transiberiana, parte da quell’Occidente (brano in “Ko de mondo”) e giunge fino al deserto del Gobi (traccia in T.R.E.) in un viaggio in cui Ferretti appunta tutto: pensieri, osservazioni, visioni, previsioni, postvisioni.
Il primo estratto dell’album, “Forma e Sostanza”, è tutto questo. Intrecci di chitarre distorte, un cassa/rullo ipnotico, un basso che marcia dritto come la milizia dell’armata rossa e un testo che lascia decisamente zero spazio ai dubbi.
“Voglio ciò che mi spetta lo voglio perché mio m’aspetta”
Dopo i primi 3 brani, energici, dirompenti il viaggio in quella Mongolia diventa più palpabile. In modo inversamente proporzionale, le canzoni diventano decisamente meno palpabili. Rarefatto è il clima di “Vicini” e di “Ongii” (ciascuno della durata di più di 7 minuti), fino ad arrivare ad un capolavoro di mantrica musicale: “Accade”.
Ma tutto ha una fine, e soprattutto, tutto non deve lasciare strascichi. Se in “A tratti” (“Ko de mondo”) Ferretti cantava “Se tu pensi di fare di me un idolo. Lo brucerò. Trasformami in megafono m’incepperò” manifestando l’assoluta fermezza di non voler essere né un profeta, né un guru, in T.R.E la chiusura del disco è lasciata ad una canzone il cui titolo, anche in questo caso, non lascia dubbi “M’importa ‘nasega”.
Ascolta Tabula Rasa Elettrificata dei C.S.I
NOTE A MARGINE:
Il gioco di questa rubrica è di catapultarmi e tentare di catapultarvi, leggendo, esattamente quando il disco di cui parlo di volta in volta vide la luce. In questo caso però è doverosa un’annotazione “col senno del poi”.
Sebbene ci fu una serie di (s)fortunati eventi concomitanti, T.R.E. divenne il “caso discografico” dell’anno. Nella sua prima settimana di uscita balzò al primo posto dei dischi più venduti in Italia, superando per numero di copie, gli Oasis. Attorno a questo accadimento ci sono spiegazioni tecniche e commerciali, legate al mondo della distribuzione dell’epoca, ma certo è che quel disco, insieme a molti altri pubblicati intorno proprio al 1997 segnarono profondamente la scena musicale italiana (cito i Subsonica, i Bluvertigo, i Casino Royale, i Marlene Kuntz).
Un’epopea dove per la prima volta fu possibile rendere mainstream qualcosa che non aveva nel suo DNA nulla che fosse mainstream. Sia chiaro che anche il termine mainstream aveva un’accezione in parte diversa rispetto ad ora. Quel “momento” musicale, noto anche come “scena indipendente” fu capace di ridare dignità a tutto il panorama musicale italiano (a fronte di una esterofilia dilagante). Fu il viatico per quella scena indie che abbiamo poi ritrovato in questi anni, naturalmente con tutte le differenze che 20/25 anni possono fare.