“Il Suicidio dei Samurai” dei Verdena, vent’anni dopo
Ci avviamo alla metà degli anni Zero. Fabio Grosso ancora non sa che dovrà calciare il rigore decisivo di un mondiale. Gli echi del 2003 ci lasciano nelle radio e nelle orecchie i bombardamenti pop da amore tossico di Britney Spears (Toxic) e i White Stripes lanciano Seven Nation Army, che in Italia avrà un senso compiuto come inno popolare, qualche tempo dopo, proprio grazie a quel tiro vincente di Grosso.
In quei primi mesi del 2004 l’Esecutivo fa capo ad Arcore e il 4 di febbraio Zuckemberg lancia la piattaforma Facebook per riconnettere le persone tra loro anche a distanza di anni e chilometri. Ma per chi cerca emozioni forti e una musica che possa spiegarle, o per essere solo un po’ più felici, basta l’uscita, il giorno dopo, il 5 di febbraio, del nuovo disco dei Verdena. “Il Suicidio dei Samurai“, da quel giorno di venti anni fa, diventa di tutti.
Siamo anche negli ultimi anni in cui la musica bisogna ancora un po’ cercarla, rincorrere dischi e notizie, provare a scaricarla. Insomma, si viveva ancora quel senso di attesa, destinato a finire di lì a poco.
I Verdena continuavano a essere una sorpresa e a non sbagliare un colpo. Il Suicidio dei Samurai però fu davvero un colpo potente, a partire dalla copertina. Un elefantino posato sul braccio di Roberta tagliata a metà, incastonata in una cornice di giallo intenso che evoca suggestioni a metà strada tra la psichedelia e la Pop Art di Wharol. Con quel disco i Verdena passarono da promessa a certezza della musica rock/alternative in Italia.
Per quanto, nonostante il tempo passato, pensando ai Verdena, anche ora, quella sensazione costante di band giovane tende a non passare mai. Il power trio da Albino nel bergamasco, con Roberta Sammarelli al basso e i fratelli Ferrari, Luca alla batteria e Alberto alla chitarra e alla voce, sono stati e restano tuttora una delle cose più belle e intense della musica rock in questo paese. Il talento lo hanno dimostrato subito, sin dall’esordio omonimo prodotto da Giorgio Canali e confermato col secondo disco, Solo un Grande Sasso, stavolta sotto lo sguardo di Manuel Agnelli degli Afterhours.
Seppure sotto contratto con una major, che all’epoca cominciarono a tentare di pescare nell’alternative, non hanno mai perso la loro attitudine ferocemente rock.
Anzi, per certi versi, la hanno imposta in luoghi dove non era proprio di casa. Non si sono mai snaturati e non sono mai scesi compromessi, hanno sempre fatto la musica che hanno voluto. Quante se ne sono dette sulle loro influenze musicali, ma i “Nirvana italiani” resta la più gettonata, specie con Valvonauta in rotazione su Mtv. Certo negli anni Novanta il grunge era un po’ dappertutto e ovviamente fu una scarica di adrenalina positiva anche per loro, ma furono gli stessi ragazzi, in tempo reale, a rimettere un po’ le cose a posto.
Una giovanissima Roberta, prima ancora dell’uscita del primo album, quando eravamo agli Ep di esordio, in un’intervista a Odeon Tv al programma Il Muro, che tra l’altro rivelò anche una parentela dei fratelli Ferrari con un componente della mitica band punk bolognese Gaznevada, disse, a proposito del continuo accostarli alla band di Cobain: “noi di sta storia ne abbiamo abbastanza piene le palle, non basta una voce simile…”, mentre Luca citava come influenze Melvins e Black Flag, a conferma del fatto che lo sguardo musicale è sempre stato rivolto all’estero e all’America in particolare, e qualche tempo dopo, col dono della sintesi affermerà: “I Verdena sono un potente scontro fra Beatles e punk primordiale. Chi non la pensa così vada a farsi fottere”.
Emiliano Colasanti, nel suo libro sui Verdena (Un mondo del tutto differente. La storia di Wow e dei Verdena – Arcana 2012), ci restituisce nitidamente questo rapporto con Cobain, Nevermind e la band di Seattle:
“Sgombriamo il campo: i Verdena con i Nirvana non hanno mai avuto niente in comune, almeno dal punto di vista musicale, per lo meno se ci limitiamo a considerare la loro biografia ufficiale. La verità è che i Verdena, come tutti gli appartenenti a quella generazione sono stati investiti da quel ciclone. Dopo il grunge niente è stato più come prima”
E a confermare l’arrivo del ciclone è proprio Luca:
“Io all’epoca ascoltavo un sacco di hard rock, i Guns’n’Roses, quelle robe lì, ma con i Nirvana la mia prospettiva è cambiata in modo radicale”.
Colasanti diceva che non avevano niente in comune almeno dal punto di vista musicale, e quell’almeno ce lo chiarisce Alberto e in questo è la chiave di tutto:
“Sono stati importanti soprattutto dal punto di vista etico. Ci hanno mostrato come continuare a restare con i piedi per terra pur essendo parte di un ingranaggio, come dare sempre più importanza alla musica e relegare tutto il resto in secondo piano: le foto, i video, la promozione”.
Niente apparenza e messa in scena, solo musica e sostanza
“Sono questi gli elementi che i Verdena hanno ereditato dai Nirvana – continua Colasanti – più del suono, dell’essere un power trio e di avere un batterista coi capelli neri, lisci e lunghi. I Verdena sono rimasti impermeabili ai mutamenti e mentre ovunque si cominciava a teorizzare di comunicazione- orizzontale, hanno continuato a lasciare che gli aspetti musicali mantenessero un ruolo preponderante nelle loro scelte di carriera.”
Chiusa la questione.
A distanza di vent’anni e proprio grazie, anche e soprattutto, a Il Suicidio dei Samurai, forse possiamo finalmente dire che i Verdena sono i Verdena e basta. E allora entriamoci in questo terzo disco dei Verdena.
Balzano all’occhio subito due novità rispetto al passato. La prima è l’auto produzione. I ragazzi si chiudono nell’ex pollaio, allestito a dovere e ribattezzato Henhouse Studio, che diventa la loro casa musicale. Tra prove e lunghe improvvisazioni jam, costruiscono le undici tracce. L’altra novità è la presenza alla tastiere di Fidel Fogaroli, che porta temporaneamente a quattro la line up della band.
Le scelte funzionano, la tracklist non ha punti deboli. Anzi diventa una granitica certezza con l’aumento degli ascolti, creando, definitivamente il suono proprio che i Verdena si porteranno avanti da quel momento in poi; un intenso, furioso e riconoscibile marchio di fabbrica, inclusa la voce di Alberto volutamente spesso incastrata nel muro di suono. Quello che traspare è una crescita su ogni aspetto decisivo, dalla composizione all’esecuzione.
La sezione ritmica composta da Luca e Roberta, raggiunge una fase di maturazione impressionante, e Alberto alla chitarra si impone tra riff e ispirate linee melodiche. I testi di Alberto giocano col nonsense, talvolta onirici e visionari e funzionano maledettamente bene tanto da entrare in sintonia perfetta con l’energia e la potenza della parte musicale.
Dal vivo i Verdena erano già uno spettacolo di energia e forza, con queste tracce in scaletta ancora di più.
Ci troviamo di fronte a brani che faranno la storia della band come Luna e Phantastica, le più apprezzate dai fan sia nell’immediato che nel tempo, accompagnate anche da due azzeccatissimi videoclip; per passare poi alla ancora un po’ sottovalutata Mina, e scorrere verso la potentissima Elefante, fino alla psichedelia di Glamodrama o alla bellissima Balanite.
Ma in questi quarantacinque minuti di canzoni, come dicevamo, non ci sono punti deboli e lo si capisce anche da altri brani mai dimenticati come Logorrea (esperti all’opera) in apertura del disco, o Far Fisa, che precede un finale pirotecnico composto da 17 tir nel cortile, altro episodio vagamente psichedelico, seguito da un’altra scarica di riff in 40 secondi di niente, fino all’episodio finale che da anche il titolo all’album, in cui la furia sonora non solo non si placa ma per certi versi si dilata fino a sfinirsi.
Il tour che segue l’uscita del lavoro, oltre a confermare l’assoluta capacità e forza dei live, porterà la band a farsi conoscere nel resto d’Europa. Se possiamo ricordare la fine dei Novanta e quei primi anni Zero come un momento molto felice per l’indie rock e per l’alternative italiano, parte importante del merito va certamente anche ai Verdena, e un tessera preziosa di quel mosaico è senz’altro Il Suicidio dei Samurai.