Sangue Misto, alle origini dell’Hip Hop italiano [pt. 1]
SxM dei Sangue Misto è considerato un disco fondamentale per la nascita e lo sviluppo del rap in Italia. Uno spartiacque che segna un prima e un dopo. Tratteggiamo dunque alcune questioni storiche e musicali che aiutano a contestualizzare l’importanza di quelle dodici tracce.
C’è un prima molto lontano, a inizio anni Settanta, nel quartiere Bronx di New York, dove l’anagrafe della storia della musica colloca la nascita dell’hip hop. Formato da quattro discipline, per certi versi indivisibili, la breakdance, il djing, il writing e il rap nascono e si svolgono per strada. Questo resta un tratto decisivo per mantenere la propria forza dirompente. In Italia, alcuni angoli delle grandi città, negli anni Ottanta, cominciano a essere teatro di improvvisazioni hip hop; così come vagoni di treni e muri di periferia cominciano a essere colorati e dipinti dai primi writers.
Quella hip hop è una (sub) cultura che lentamente prende piede e che anche a livello musicale cresce intrecciando le sonorità di Africa Bambata, Cypress Hill, Public Enemy e tanti altri. Si campionano i suoni dei vinili americani e si cominciano a produrre i dischi delle prime crew, ancora tutto rigorosamente in lingua inglese. Il movimento hip hop si fa strada segnando una prima tappa importante con la formazione e il disco dei Radical Stuff, gruppo che vede protagonisti anche due giovanissimi Kaos One (inizialmente in veste di writer) e Dj Gruff.
Per contestualizzare ancora meglio la situazione italiana bisogna delineare velocemente anche il percorso di un’altra (sub) cultura che arriva da lontano, presente già da qualche anno: il punk.
Anche se sono passati oltre quarant’anni, il punk resta l’ultima rivoluzione musicale a livello planetario (almeno per l’emisfero occidentale), e non soltanto dal punto di vista strettamente musicale. Certo, ci sarà la potente scossa del grunge proveniente da Seattle a cavallo tra Ottanta e Novanta, ma niente a che vedere con la portata storica anglo-americana di Ramones, Clash, Sex Pistols e di tutto quello che ne è derivato.
Quel tipo di approccio, teso a rompere le regole, a eliminare la distanza tra chi è sul palco e chi sotto, a trasmettere e comunicare la propria voglia di esprimersi senza badare troppo alla tecnica e senza rincorrere a vita grosse etichette discografiche per il successo, ha avviato un nuovo modo di vivere la musica, principalmente con il Do It Yourself (DIY), con il fai da te, con l’autoproduzione.
L’onda del punk, ha dunque significato la comparsa, anche in Italia, delle prime etichette indipendenti, delle autoproduzioni, così come dei primi centri sociali e spazi occupati. Siamo negli anni Ottanta e il circuito hardcore punk disegna una mappa che fa tappa in quasi ogni città, creando il primo embrione di circuito alternativo. Parallelamente a questo si sviluppano anche scene cittadine punk e post punk, come Bologna, Firenze, Pordenone, Milano, che cominciano a far conoscere le prime band a livello nazionale.
Questi spazi aumentano a dismisura tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, cambiando anche un po’ le proprie caratteristiche
Per esempio, tali spazi cominciano a politicizzarsi maggiormente, ma restando sempre un riferimento per lo sviluppo della musica indipendente e autoprodotta. Già lo sgombero del centro sociale Leoncavallo di Milano chiama a raccolta per la prima volta tutta l’area poi detta “antagonista”. Ma ancora di più, le occupazioni delle università a inizio anni Novanta, sotto il segno del movimento della Pantera, favoriranno una maggiore familiarità con le autogestioni e le occupazioni.
La colonna sonora di questa nuova fase sarà il rap, l’hip hop, che diventerà un utile e imprescindibile megafono per le lotte sociali. Dai centri sociali nasceranno le band più rappresentative di quel periodo per quanto riguarda quell’area politica, andando poi artisticamente ben oltre quei confini. Ne citiamo solo alcune di un arcipelago variegato per avvicinarci alla questione da mettere a fuoco. A Roma, dal Forte Prenestino, arrivano gli Onda Rossa Posse, di fatto i futuri Assalti Frontali; a Napoli, nell’occupazione del centro sociale Officina 99 si formano i 99 Posse e gli Almamegretta; invece, a Bologna dall’esperienza dell’Isola Nel Kantiere, gli Isola Posse All Stars.
Il rap delle Posse è politicizzato. “Batti il tuo tempo” degli Onda Rossa Posse per la prima volta fa risuonare in piazza, dal palco, alla fine di un corteo, quel modo di rappare e lottare. Per certi versi però, sarà un altro pezzo, in italiano, Stop al Panico, a colpire nel segno.
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A Bologna la tensione è alle stelle.
La strage della Uno Bianca, al rione Pilastro, ha gettato una città intera nello sconforto e nella paura. Aumenta la repressione da parte delle istituzioni e delle forze dell’ordine, che arrivano a sgomberare i centri sociali e i posti occupati. Solo tempo dopo si verrà a sapere che la banda della Uno Bianca è maturata all’interno stesso delle forze dell’ordine. Dall’Isola Nel Kantiere, intanto, parte la campagna Stop al Panico, che spinge i musicisti del centro sociale (Isola Posse All Stars) a prendere il nome di quella campagna di denuncia e farci un brano. Nasce così Stop al Panico che, mentre racconta del clima di tensione cittadino, diventa anche un momento liberatorio colto da molti e in grado di spianare con più decisione la strada alle autoproduzioni in italiano. A comporre inizialmente sono Treble Mc, Speaker Dee Mo, Gopher D, Deda Mc e Papa Ricky.
Per il secondo singolo, dal titolo Passaparola, il collettivo artistico, che di fatto contiene già alcuni componenti dei futuri Sud Sound System, si allarga ulteriormente, accogliendo Dj Gruff, sempre più un maestro dello scretching e delle produzioni; e Neffa, che abbandona il circuito del punk hardcore di cui faceva parte come batterista dei torinesi Negazione, band di punta di quell’ambiente. Ed è a questo punto che, senza ancora saperlo, negli Isola Posse All Stars, ci sono già tutte e tre le anime dei Sangue Misto: Deda, Neffa e Dj Gruff.