Questo sussidiario illustrato della giovinezza perduta è un vero sussidiario. O qualcosa del genere. Adesso vi racconto cosa succederà durante la lettura di questo articolo. Così potrete decidere di leggerne un po’, solo qualche parte o, se avrò fortuna, tutto per intero. Questo gioco non è originale, lo ha fatto già la stand up comedian Hannah Gadsby nel suo secondo show Douglas. Ma non abbiamo timore di farci ispirare. Dopotutto, come disse anche Gigi D’Alessio per difendersi dall’accusa di plagio: le note sono sette.
Com’è fatto un sussidiario illustrato della giovinezza perduta: l’indice
Tutti i sussidiari hanno un indice. Così come i libri e le riviste. Questo lo sa bene anche Wes Anderson, che nel suo ultimo e architettonico lungometraggio The French Dispatch tratta il film come un vero e proprio magazine. Con tanto di capitoli, titoli e indice iniziale. Questo articolo farà qualcosa di abbastanza simile: si comporterà come la brutta copia improvvisata di un sussidiario.
Inizierà da una panoramica generale, a tratti un po’ emozionale, dell’album. Con le sensazioni, i ricordi e una sadica e mirata pornografia del ricordo. La seconda parte sarà dedicata a una riflessione sull’innocenza, che lascerà subito spazio all’analisi del testo di alcune strofe. A un certo punto troverete anche un riferimento a William Blake: lo so, potrebbe sembrare un mero esercizio di stile. In parte lo è, ma non del tutto. E poi si giunge al termine di ogni sezione, ovvero la verifica. I nostri sussidiari avevano in realtà una fine ancora più esistenzialista: l’autoverifica. Un elenco di domande per valutarsi autonomamente. Qui ne proponiamo una versione nostalgica: più di un punteggio, probabilmente otterrete un sorriso a metà bocca. E scoprirete perché abbiamo scelto di ispirarci per la copertina a questo celebre e tormentato video di qualche anno fa.
La nostra anti-omologata adolescenza torbida: una panoramica
Il primo album dei Baustelle è una serie di dieci diapositive, di dieci storie sulla giovinezza. E i suoi tumulti, le sue lacerazioni, il suo perenne e poetico spaesamento. Quel tempo in cui l’indefinito sembra poter aprire le porte al senso dell’infinito.
Guardare al Sussidiario Illustrato oggi è un’occasione. Con gli occhi del tempo, è possibile riconoscere nei toni sensuali e aspri dell’elettro-pop la tipica saudade erotica dell’età adolescenziale. Guardare al Sussidiario oggi è un’opportunità. Sul bordo del tempo passato, è possibile ritrovare le prime storie delle nostre pulsioni: caotiche, urgenti, colpevoli.
Tremavo un po’ di doglie blu / E di esistenza inutile / Vibravo di vertigine /Di lecca-lecca e zuccheri
Nessun cuore giovane sapeva seguire la linea tracciata, ognuno di noi desiderava in modo torbido. Si spingeva verso qualcosa che sembrava contraddire le leggi dell’auto-conservazione. Ascoltavamo il Sussidiario Illustrato e quel racconto era anche nostro: noi c’eravamo dentro.
Incontri per solitudine / Mascara denso per nudità / Piccole catastrofi / Per minuti intimi / Tutto ciò significa / Scavare in profondità
C., una mia compagna di classe, aveva scritto sull’astuccio con il pennarello anti-omologata adolescenza torbida. Ed era la sintesi perfetta di quegli anni, dove vivevamo passione acerbe, in luoghi poco sicuri. Un po’ ci sentivamo in colpa, ma non sapevamo perché. Un senso di eccitazione e di sporcizia. Come nel Sussidiario, ogni sensazione era più violenta, ogni emozione era più violenta.
Qui è dove tiro fuori William Blake
Mentre ascoltavamo i Baustelle, mentre scopavamo male, mentre imparavamo a resistere alla violenza di un mondo che non comprendevamo, eravamo innocenti. Come nei canti di William Blake, quelli che studiavamo a scuola svogliati. Tyger tyger burning bright. Siamo le tigre, siamo l’agnello. Il Sussidiario è composto da Songs of Innocence e Songs of Experience.
Certi giorni penso che / Voglio odiare I want to hate / Copulare in hit parade / Suicidarmi insieme a te / Il tabacco di De André / E una fica come te
È un omaggio all’innocenza corrotta della giovinezza. Al suo torbido anelito verso la vita. Nella sua inesperta esperienza si rivela il tenero volto della purezza. Non esiste nulla di più violento della tenerezza. Nulla di più puro di un animo che non teme l’urgenza di sporcarsi. Nulla di più struggente della solitudine di un adolescente. Ed è così che spesso ci sentiamo, traccia dopo traccia: percepiamo l’immensità e la dolcezza delle nostre prime effimere storie. Non torneranno mai più, non sono mai finite.
Analisi del testo sentimentale: il parco e il riformatorio
Spesso non sono amate, ma le analisi del testo hanno un grande valore. Spezzano il linguaggio per raggiungere la vita, ma questa frase la rubo sempre ad Antonin Artaud. Frammentano, per ricongiungere. Come nelle due tracce centrali del disco: La canzone del parco e La canzone del riformatorio. Dove lo spazio diventa un luogo sospeso, che racconta l’intreccio di due opposizioni. Quella tra l’amore e la violenza, quella tra l’eternità e l’effimero.
Questa è per quando ti ho fatto male / Quel pomeriggio un anno fa / Con il coltello nello stivale / Mi facevo di alcolici andati a male / Di benzedrina per non dormire / Sotto le luci mi piacevi sai, Virginia
Partiamo dal riformatorio. Lì dove le pulsioni umide di un adolescente incontrano l’immagine della ragazza che ha ferito. È un tributo a I 400 colpi di Truffaut. Lontano dalla droga, in un limbo tra gli eccessi del passato e l’ignoto del futuro, resta il canto erotico di una passione che non sa toccare la vita vera e non sa distinguersi dal male e dalla sua banalità. Racconta le domande che timidamente ci poniamo: qual è il rapporto tra l’amore e la violenza? ogni amore è a suo modo violento? può definirsi amore ciò che ci distrugge? È il confine fragile tra eros e thanatos.
E adesso mi manchi te lo giuro / Le sogno la notte le tue grida aaah / Le tue cosce bianche stonano / Sopra le donnine pornografiche / Appese dagli altri custoditi qui / Come ci fa bene l’istituto / Amore fra cinque anni dove andrò? / E tu chi sarai? E chi saremo noi? / Fuori dal riformatorio / Le vite perdute come gioia / Passata per sempre come moda / Cos’è che ci rende prigionieri?
Concludiamo con il parco.
Lì dove lo sguardo eterno della natura osserva gli amori acerbi dei giovani. In un canto in due atti: il primo ritmato da un’elettronica balbuziente, come i primi desideri e i primi atti erotici. Irruenti, umidi, imprecisi, voraci.
Se lei e lui nuvole / Di desideri / Si toccano puri / Il prato respira / Domani è lontano / Domani è lontano / Se mi ami ora / Domani è lontano / Se mi ami ora
Il secondo è estatico, mistico, immenso, struggente. È il parco, è la stagione, è l’ordine naturale che viene scosso dalla violenza del desiderio innocente. Partecipa alla commovente tenerezza della passione acerba. Si baciano alle porte della notte, tra le foglie e l’urgenza. Nel loro tremare, trema anche tutto il loro mondo.
Penso che / Ho di nuovo i brividi / E mi lascio prendere / Da domande inutili / Da poeti poveri / Sui miei rami umidi / Sulle foglie ultime / A che cosa pensano / Questi umani fragili / A che cosa servono / I miei rami stupidi / A che cosa servono / Se mi lascio prendere / Da pensieri inutili / Posso solo esistere / In eterno vivere / Senza avere gli attimi / Degli amanti giovani / Degli amori giovani / A che cosa pensano / Questi umani fragili
Verifica: piccoli esercizi di nostalgia
Sarà semplice. Lascerò qui delle frasi dell’album. E per ogni frase, chi leggerà saprà perfettamente se c’è qualcosa dentro di sé che le corrisponde. Sono piccoli esercizi di nostalgia, piccole dosi di dolore, piccoli respiri del desiderio.
- Tremavo un po’ di doglie blu e di esistenza inutile.
- E ci ameremo come i cani e tu non mi ricorderai negli anni mai
- Domani è lontano
- Incontri per solitudine, mascara denso per nudità
- E groppi in gola e secca sete di te
- Certi giorni penso che voglio odiare I want to hate
- Penso che ho di nuovo i brividi e mi lascio prendere da domande inutili.
Artwork by Chiara Zaccagnino