Tra miracoli e cose non memorabili: il live di Vasco Brondi al Flowers Festival
Correggio sta a cinque chilometri dall’inizio dell’autobrennero di Carpi, Modena che è l’autobahn più meravigliosa che c’è perché se ti metti lissù e hai i soldi e tempo in una giornata intera e anche meno esci sul Mare del Nord, diciamo Amsterdam, tutto senza fare una sola curva, entri a Carpi ed esci lassù. Io ci sono affezionato a questo rullo d’asfalto perché quando vedo le luci del casello d’ingresso, luci proprio da gran Teatro, colorate e montate sul proscenio di ferri luccicanti, con tutte le cabine ordinate e pulite che ti fan sentire bene anche solo a spiarle dalla provinciale, insomma quando le guardo mi succede una gran bella cosa, cioè non mi sento prigioniero di casa mia italiana, che odio, sì odio alla follia tanto che quando avrò tempo e soldi me ne andrò in America, da tutt’altra parte s’intende, però è sempre andar via.
Altri libertini, Pier Vittorio Tondelli
Credo che la grandezza di certi artisti risieda nella capacità di creare mondi e di regalare al pubblico, nel momento in cui salgono sul palco, la chiave d’accesso a quel mondo.
Mi riferisco a tutto un universo fatto di riferimenti culturali, letture, ascolti, esperienze di vita che sta allo spettatore decidere se accogliere o meno. Io con Vasco Brondi l’ho fatto, complice una particolare affinità elettiva che di rado mi capita di esperire. Grazie a lui mi sono avvicinata all’opera di Ghirri, Mariangela Gualtieri, CCCP, Celati e tanti altri ancora. In questo senso penso di dovergli molto.
E invece è stato Vasco a ringraziarmi, anzi a ringraziarci, per il semplice fatto di essere lì, a Torino, quel venerdì sera di luglio: “È sempre più prezioso vedersi qui, al di là degli schermi”. C’è nell’aria una sorta di gratitudine reciproca, spontanea. Condividiamo l’intensità di un momento che assomiglia più a un rituale collettivo. Non lo diamo per scontato. È qualcosa che aleggia sopra di noi e che riesce a riempire ogni interstizio di questo spazio sacro provvisorio. “Siamo qui per rivelarci e non per nasconderci”, ci dice. Racconta che quel verso di 26000 giorni è stato per lui quasi un mantra, durante la stesura dell’ultimo album.
Scrivere canzoni si è rivelato l’antidoto al pericolo di chiudersi in se stesso, di non mostrarsi.
E non è un caso che “verità” in greco antico venga indicata col termine “aletheia” (ἀλήθεια), con quell’Alpha privativo iniziale a conferire il significato del “non essere nascosto”, restituendo l’idea dello svelamento, del rivelarsi. C’è questo esercizio che alcuni monaci zen praticano come forma meditativa: si dispongono in cerchio e, aspettando ognuno il proprio turno, chiedono la parola. Una sola è la condizione da rispettare: si possono dire unicamente cose che fanno tremare la voce quando le si dice. Per andare sul sicuro, basta dire la verità, perché, “quella fa sempre tremare”. È stata questa la regola che Vasco si è imposto mentre realizzava il disco, “dire sempre la verità”, sperimentarla. Gli viene in mente anche Gandhi, e quella sua biografia il cui titolo originale recita così: “Storia dei miei esperimenti con la verità”.
A intervallare il concerto, ci sono state anche le poesie, le stesse che hanno avuto il potere di sconvolgerlo al momento della scoperta.
Parla di loro come di “doni immeritati”: Bukowski, Arminio, Cortazar; Jack Gilbert e quella citazione prima di “Due animali in una stanza”: “La nostra vita accade negli intervalli di cose memorabili”. E allora cantiamole queste cose non-memorabili che per frequenza superano di gran lunga i momenti eclatanti delle nostre esistenze. Cantiamo della trecentesima notte d’amore, non dell’inizio, né della fine di una storia ma della durata. C’è stato Tondelli, che va a coronare quella che Vasco ha definito la sua “trilogia emiliana”: La gigantesca scritta Coop, La terra, l’Emilia, la Luna, Adriatico. Tondelli che ha reso mitici quei posti dell’Emilia che fino a quel momento agli occhi di Vasco risultavano anonimi, gli stessi da cui avrebbe sempre voluto scappare, senza mai farlo veramente.
Il viaggio si chiude da dove l’avevamo iniziato.
Le immagini sono state prese dall'account Instagram del Flower Festival