La settimana del Festival di Sanremo, si sa, è la laica Settimana Santa. Tuttavia, non è così da sempre. Fino al 1986, le serate del Festival erano solo tre. Divennero poi quattro a partire dall’anno seguente, e lo rimasero fino al 1994 – fatta eccezione per il 1989 e per il 1990, con cinque episodi.
Il format delle cinque serate iniziò in pianta stabile nel 1995, ed è rimasto intatto fino ad oggi – incredibile a dirsi, dal momento che tutti abbiamo creduto che, a un certo punto, Amadeus decidesse di allungare le serate a sei, sette, otto, cinquanta (e siamo sicuri che ci ha pensato).
Finché le serate sono tre, un direttore artistico deve solo preoccuparsi di scegliere pezzi forti. Quando diventano di più, per combattere la monotonia e lo share calante, deve inventarsi qualcosa di diverso – una puntata inconsueta, ai limiti della gara o addirittura fuori gara. Un espediente che salvi i telespettatori dall’arrivare alla finale saturi dei brani in scaletta, imparati a memoria come l’Ave Maria, per mantenere l’iconografia sacra.
Per combattere la noia, il Festival di Sanremo ha proposto, negli anni, tre diversi format nella serata intermedia.
Nel 1990 e nel 1991, agli albori delle quattro puntate, fu ripresa un’idea in voga negli anni Sessanta, ovvero l’abbinamento di ogni Big in gara a un cantante straniero, che aveva il compito di reinterpretare nella propria lingua la canzone del Festival.
Nel 2005, Paolo Bonolis ideò i duetti. Ciascun artista fu chiamato a riarrangiare il brano in gara con un accompagnatore – un cantante, un musicista, un ballerino, un attore, tutto valido.
Nel 2004, l’anno del boicottaggio delle major discografiche, anche per sopperire all’assenza di nomi noti, nacque la serata cover. Quell’anno, erano ammessi solo brani delle edizioni passate di Sanremo. Col tempo, il regolamento si è fatto ben più flessibile, fino ad ammettere, di base, ogni cosa registrata.
Per arrivare preparati alla serata cover di quest’anno, un enorme karaoke generazionale a metà tra la nostalgia e il cringe, abbiamo deciso di ricordare (e di far sfidare tra loro) otto esibizioni che vivono rent-free nei nostri ricordi.
Nel bene o nel male, dimenticare queste otto performance è impossibile. Da otto, diventeranno presto quattro, poi due, e alla fine ne rimarrà una sola: la cover, il duetto più indelebile nella storia del Festival. Infatti, avrete la possibilità di votare durante questa settimana la cover più memorabile tramite le nostre Instagram Stories. Pronti a votare?
Nikka Costa, All for the love (1990)
Verso la fine degli anni ‘80, Amedeo Minghi e Pasquale Panella scrissero la musica di una power ballad. Un synth-pop molto potente, in crescendo, con un inciso ultra-strumentato. Ricordava da vicino pezzi come “Total eclypse of the heart”: forse era un po’ fuori tempo massimo – gli anni ‘90 erano alle porte – ma aveva in ogni caso le carte in regola per sfondare. Per un motivo o per l’altro, però, ci venne scritto sopra un testo che recitava “magari ti chiamerò trottolino amoroso dududadada”, e capiamo tutti come sia difficile concentrarsi sulla musica, con delle liriche del genere.
Per fortuna, al Festival di Sanremo 1990, un cantante straniero poteva rivisitare il brano in gara. Il compito di cantare “Vattene amore” fu di Nikka Costa, l’ex-bambina prodigio della discografia, allora diciottenne. Nacque “All for the love”: la vocalità straripante dell’artista si fonde alla perfezione con la melodia pomposa, e regala un capolavoro anni ‘80 eseguito alla perfezione. Con un testo meno sdolcinato, dove sarebbe potuto arrivare questo brano? Sarebbe stato capace di scavalcare i confini nazionali e di consacrare l’Italia come terra del pop anni ‘80? Non lo sapremo mai – ma almeno, abbiamo un’esibizione che possiamo riascoltare mille volte.
La Rappresentante Di Lista, Ginevra, Margherita Vicario e Cosmo, Be my baby (2022)
Nel 2022 per un momento il palco di Sanremo è sembrato quello del Mi Ami. La Rappresentante di Lista – in gara con il brano “Ciao ciao” – hanno voluto omaggiare Ronnie Spector de le Ronettes con “Be my baby” e lo hanno fatto insieme a Ginevra, Margherita Vicario e Cosmo. Se dovessi utilizzare l’interrogativo degli ultimi mesi qual è il tuo impero romano? una delle risposte sarebbe pensare a Cosmo sul palco dell’Ariston.
Presentare la canzone di qualcun altro non sempre vuol dire eseguirla allo stesso modo, ma anche adattarla e renderla magari più contemporanea. C’è da dire che non tutti riescono a farlo e facilmente si cade nel cringe.
Uno dei palchi più importanti d’Italia trasformato in una discoteca queer con a capo Veronica Lucchesi in una tutina argentea (fighissima) seguita da Ginevra e Margherita Vicario in vesti più easy.
La voce di Veronica Lucchesi è capace di render bello anche un pezzo di Bello Figo se solo ci provasse e anche stavolta ci ha e ci hanno regalato uno dei più bei momenti degli ultimi anni. Menzione a parte per Cosmo con il “stop greenwashing”. Riferimenti e fatti sono puramente casuali.
Ps. la cover andò parecchio bene e se volete riascoltarla è su Spotify!
Gianluca Grignani e Arisa, Destinazione paradiso (2023)
Il brano, uscito nel febbraio del 1995, composto dallo stesso Gianluca Grignani e arrangiato da Massimo Luca, è stato presentato in gara al Festival di Sanremo nello stesso anno, classificandosi al sesto posto nella categoria “Nuove Proposte”. “Destinazione Paradiso” rappresenta la metafora di un viaggio in solitudine verso una destinazione Paradiso, ossia la morte.
Gianluca Grignani porta sul palco la sua “Destinazione Paradiso” insieme ad un Arisa in pelle total black, nella quarta serata del Festival di Sanremo 2023, il cantante comincia l’esibizione da solo, poi dalle scale scende lei, che lui accoglie e accompagna per mano. Al termine del brano, Gianluca scende verso il pubblico chiedendo loro di proseguire con il ritornello, dando vita ad un momento “karaoke” esilarante e a tratti imbarazzante. Una performance al termine della quale la stessa Arisa commenta: “Abbiamo fatto un casino!”
Malika Ayane e Gino Paoli, Come foglie/Il cielo in una stanza (2009)
Nel 2009, Paolo Bonolis – già ampiamente citato in introduzione quale artefice della serata cover come oggi la conosciamo – decise di aggiungere qualcosa in più alla performance dei duetti. O meglio, di farvi partecipare anche le Nuove Proposte, fino ad allora escluse.
L’idea era quella di dedicare agli esordienti una serata durante la quale potersi esibire con la propria canzone in gara, affiancati però ciascuno da un ospite d’eccezione. E mentre Irene Fornaciari sceglieva il padre Zucchero, Arisa optava per Elio Luttazzi e Silvia Aprile per l’indimenticabile Pino Daniele, Malika Ayane chiamò invece al suo fianco Gino Paoli.
Il cantautore genovese, tuttavia, fece ben di più: quella stessa sera, infatti, era prevista la sua presenza come ospite e, da copione, avrebbe dovuto esibirsi in quattro canzoni del suo repertorio (“La gatta”, “Una lunga storia d’amore”, “Il nome” e “Il cielo in una stanza”).
Per eseguire l’ultima decise di chiamare sul palco proprio la sua nuova pupilla, Malika Ayane, improvvisando un’esibizione da brividi.
La Ayane non vinse, ma la sua canzone “Come foglie” – arrivata seconda dietro alla “Sincerità” di un’altra sorprendente esordiente, Arisa – ebbe un successo davvero “senza fine”.
Max Gazzè/Paola Turci/Marina Rei, Il solito sesso (2008)
Partiamo da una premessa: Il solito sesso di Max Gazzè è uno dei migliori brani mai proposti al Festival. Ci sarebbe chi (come noi!) questionerebbe il dodicesimo posto nella classifica di tutti i brani della storia di Sanremo; figuriamoci cosa si può dire e pensare del dodicesimo posto che ottenne nel 2008.
Al di là di questo, quell’anno la “serata inconsueta” prevedeva i duetti delle canzoni in gara. Max Gazzè, per un pezzo così complesso (con sei cambi di tonalità in tre minuti, come ricordava sempre Pippo Baudo!) scelse Paola Turci e Marina Rei. La prima alla chitarra, la seconda alla batteria, e Gazzè al basso. Ne uscì quello che, a tutti gli effetti, si avvicina moltissimo al duetto perfetto.
Le strofe divise una a testa, i ritornelli e i post-ritornelli armonizzati, con Turci a fare da contralto, Rei mezzosoprano, e Gazzè in voce di testa. La regia che staccava tra i primi piani nelle strofe e lo schermo diviso in due e in tre durante le armonizzazioni. È un duetto che ancora oggi mette i brividi, e che ha giocato un ruolo da protagonista nella consacrazione de Il Solito Sesso all’interno dell’harem dei migliori pezzi mai suonati all’Ariston.
Achille Lauro e Loredana Bertè, Sei bellissima (2022)
Memorabile il duetto, con quelle note disperate che tutti conosciamo e le voci di Lauro e Loredana a renderne ancora più toccante il significato.
Ma memorabili soprattutto le parole che Achille Lauro ha voluto tributare alla Bertè (e a tutte le donne) alla fine della performance:
“Che strano uomo sono io, incapace di chiedere scusa perché confonde il perdono con la vergogna. Che strano uomo sono io, che ti chiama pagliaccio perché pensa di dover combattere ciò che non riesce a raggiungere. Strano uomo sono io, capace solo di dire sei bellissima perché ancora ha paura di riconoscere il tuo valore. Stasera, per i tuoi occhi ancora, chiedo scusa e vado via”.
Un momento emozionante, quasi educativo. Che dovremo ricordare decisamente più spesso.
Elisa e Giorgia, Luce/Di sole e d’azzurro (2023)
Per chi come me è nato tra la metà degli anni ‘80 e i primi anni ‘90 questo duetto, fin dalla sua annunciazione è stato una vera e propria estasi. Più atteso della fusione tra Goku e Vegeta, della pace tra Oliver Hutton e Mark Lenders del bacio Tra Miki e Yuri di “Piccoli problemi di cuore”. Beh, ci siamo capiti.
Vedere Elisa e Giorgia insieme, 22 anni dopo quel famoso 2001 in cui erano rivali, cantare le loro rispettive canzoni in mondovisione, con potenza, eleganza, grazia, onestà, amicizia, emozione, è stato forse uno dei momenti di musica e spettacolo più alti degli ultimi anni, sicuramente uno dei più alti dell’era Amadeus.
Sono certa che se Jovanotti avesse scritto nel 2022 “Il più grande spettacolo dopo il Big Bang”, avrebbe sicuramente aggiunto “sono Giorgia ed Elisa a Sanremo”.
Tosca e Silvia Perez Cruz, Piazza Grande (2020)
Nel primo Sanremo targato Amadeus, la serata cover contava ai fini del piazzamento nella classifica finale. La corsa all’esibizione perfetta, dunque, si fece abbastanza feroce.
Tosca, quell’anno, fu aggiunta al cast del Festival in corsa. I nomi vennero spoilerati a fine Dicembre da alcune testate, e così Amadeus corse ai ripari, invitando due nomi in più, per mantenere alta la curiosità – l’altro fu Rita Pavone.
In gara con “Ho amato tutto”, che fu molto apprezzata dalla stampa, scelse, per la serata cover, di omaggiare Lucio Dalla e la sua “Piazza Grande”. Una scelta molto coraggiosa, toccare uno dei classici mostri sacri della serata cover. Tosca si fece accompagnare, per l’occasione, da Silvia Perez Cruz, artista spagnola, con la quale riarrangiò il brano in chiave flamenco. La serietà e la profondità interpretativa dell’artista italiana si mischiarono perfettamente con la sensualità spagnola, regalando tre minuti ipnotici. Le due, a sorpresa, vinsero la serata cover – ma non poteva che esser così. Il pezzo fu poi inciso, come conseguenza dell’enorme successo ricevuto.
Siamo sicuri che se ci fosse un torneo delle migliori cover dell’era Amadeus, questa sarebbe testa di serie!
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La Redazione
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