Dimmi cosa canti e ti dirò chi sei: le parole più utilizzate nei brani di Sanremo
“Sono solo parole” cantava Noemi nel lontano 2012 sul palco dell’Ariston. Ma vi siete mai chiesti quali sono le parole più utilizzate nei brani dei cantanti in gara al Festival di Sanremo? Noi sì, per questo abbiamo raccolto i testi delle ultime tre edizioni della kermesse musicale più popolare d’Italia e li abbiamo analizzati per voi. Ci scuserete se non siamo partiti dal 1951, ma all’epoca non eravamo neanche nei più reconditi pensieri dei nostri genitori (o forse sì?).
Sessantanovesimo Festival di Sanremo, svoltosi dal 5 al 9 febbraio 2019 e condotto da Claudio Baglioni insieme a Claudio Bisio e Virginia Raffaele.
Tutti lo ricordiamo per “Soldi”, il brano con cui ha trionfato Mahmood, eppure, tra tutte le canzoni, di soldi si è parlato ben poco. Il podio delle parole viene infatti conquistato da te, amore e me, utilizzati rispettivamente 63, 59 e 53 volte. Insomma, un festival all’insegna del sentimento per eccellenza. Tant’è che qualche posizione più in basso troviamo la parola cuore ripetuta 30 volte. Sarà stata la direzione artistica di Claudio Baglioni a farci imboccare questa strada? Chissà, sta di fatto che due anni fa eravamo certamente più liberi di buttarci in “piccoli grandi amori” e vivere appieno le nostre love stories.
Il 2019 è anche il festival delle lingue. Tantissimi i termini dialettali utilizzati (special thanks to Nino D’Angelo e Livio Cori con “Un’altra luce”), ma anche la stessa parola/parole (26 volte in tutto), i verbi parlare (11) e dire (43), nonché un’occorrenza per dialetti e inglese. Pure il tempo sembra essere un argomento che sta particolarmente a cuore ai cantanti di questa edizione: quando e mai si piazzano nella top10, rispettivamente con una frequenza di 36 e 31 (addirittura prima di cuore!), seguite poco dopo da sempre e tempo (24). Che gli artisti in gara abbiano avuto un presentimento su tutti i momenti che avremmo perso a distanza di un anno? Non lo sappiamo, ma è proprio il caso di dirlo: tempus fugit!
Ma passiamo al settantesimo Festival di Sanremo, svoltosi dal 4 all’8 febbraio 2020 e condotto da Amadeus e Fiorello.
A vincere è Diodato con la bellissima “Fai rumore”, eppure in questa edizione a trionfare non è affatto l’amore. Anzi, sembra che nell’aria ci sia un certo pessimismo: a piazzarsi al primo posto è infatti la parola no con ben 106 occorrenze tra tutti i testi in gara. Che il 2020 non sia stato un anno positivo lo sappiamo, ma una negazione (e una negatività) così forti da parte degli artisti in gara si tramutano in inquietanti segni premonitori alla luce di tutto quello che è successo pochi giorni dopo la fine della kermesse numero 70.
Le cose non migliorano neanche se scorriamo ulteriormente la classifica delle parole: le occorrenze di solo e sola sono in totale 41 e si collocano al terzo posto, seguite da mai (33) e più in basso da niente (22). Di amore si parla soltanto 17 volte rispetto alle 59 dell’anno precedente. Se diamo uno sguardo alla direzione artistica, possiamo concludere che il profilo di coppia di Amadeus e Giovanna non ha particolarmente ispirato i cantanti. In compenso, gli artisti si sono focalizzati maggiormente sulla musica in sé: si tratta di una parola ripetuta ben 31 volte insieme alle 11 di cantare/cantante. Insomma, un’edizione che almeno in parte rispecchia l’essenza di Sanremo.
Eccoci arrivati, infine, al 2021.
La settantunesima edizione del Festival di Sanremo si è conclusa pochi giorni fa e ha visto il trionfo del rock con “Zitti e buoni” dei Måneskin: una bella botta di energia dopo l’oscurità degli ultimi mesi. Anche questa volta Amadeus e Fiorello hanno accompagnato il pubblico (rigorosamente da casa) attraverso una kermesse di 5 serate tutt’altro che facili da condurre. In uno show fondato quasi esclusivamente sulla parola e molto poco sull’interazione per ovvi motivi. I testi portati in gara risultano molto più ambigui rispetto a quelli dei due anni precedenti.
Sul podio troviamo mai, e, a pari frequenza, te e me, con un’occorrenza rispettivamente di 76 e 60 volte. Se l’equilibrio tra l’io e il tu ci fa pensare al restringimento del campo relazionale che abbiamo vissuto nell’ultimo periodo con i nostri stretti congiunti, e quindi al prevalere della dualità sulla molteplicità, la parola al primo posto è un po’ più difficile da interpretare, soprattutto alla luce di un testo come quello di Willie Peyote che contraddice la negatività intrinseca di questo termine (“mai dire mai”) e del suo opposto sempre che si piazza comunque nella top10 con 42 occorrenze.
Per fortuna vengono in nostro aiuto ora (56 volte) e qui (23) che tracciano la strada verso il senso del carpe diem che avvolge questa particolare edizione, sintomo del ritrovato piacere dell’hic et nunc suscitato dalla pandemia e dall’incertezza del futuro che questa ha portato con sé. Di una cosa, però, possiamo essere sicuri: seppure i Coma_Cose ci abbiano regalato uno dei duetti più teneri nella storia di Sanremo, sicuramente questo non è il festival dell’amore, piuttosto dell’amaro. La parolina che ci fa battere il cuore non raggiunge neanche le 10 occorrenze e viene decisamente superata dalla seconda. Sad but true.
In generale, i testi in gara riflettono una certa tendenza all’analisi di temi più intimi.
Parole come casa, silenzio, ricordi, sono utilizzate molto più di altre che forse ci saremmo quasi aspettati di sentire. Ad esempio, vi ricordate tutte le canzoni (per non parlare di veri e propri concerti e dj set) urlate dalla finestra mentre l’intero paese era in pieno lockdown? Surprise surprise, balcone e italiano sono in fondo alla lista e vengono citate solamente una volta! Che dire, un festival tutt’altro che patriottico.
Ma quindi cos’è che prevale in questo Sanremo ventiventuno? Tra la marea di parole che abbiamo incontrato, la più importante rimane una: emozione. Al di là di ogni classifica, di ogni gusto, di ogni testo scritto, la musica resta una delle poche cose che nonostante il tempo, le rivoluzioni, le epidemie, le catastrofi e i risorgimenti, arriva puntualmente dritta al cuore senza aver bisogno di pronunciare neanche una sola sillaba.
I dati presentati all'interno dell'articolo sono stati elaborati processando i testi raccolti sul web tramite tecnologia NLTK (Native Language Tool Kit), la libreria Python per il Language Processing and Analysis.
Annachiara Piscitelli
Linguista creativa, danzatrice maldestra, viaggiatrice incallita alla costante ricerca della Bellezza. Sono devota all'antica arte del comunicare, etimologicamente "rendere comune", perché la voce di ognuno di noi risuona in un'eco più grande.