Tra la strada e le stelle: l’Umanesimo dei Thegiornalisti
Ponte Milvio, il traffico anonimo e snervante di un dicembre di un over 30 in un taxi. Roma, che la si conosca come la schiena di un amante fedele o che la si esplori dietro occhiali fuori moda in una maglietta Fruit of the Loom, seduce ed esplode in ogni suo attimo, sampietrino, disagio. Parte una canzone di Venditti: io e il tassista a cantare, sottovoce, come a volerci godere quel piccolo istante prezioso, come un pezzetto di cioccolata dopo una dieta mezza riuscita. Non è facile pianificare un percorso, ancor meno trovare un momento perfetto per ricaricarsi, riossigenare le camere dell’anima.
Circo Massimo, settembre 2019, Thegiornalisti.
Il meteo ha minacciato pioggia, scatenando trend topic su Twitter. Strade deviate, folle oceaniche, il cuore di Roma. Arrivo e cerco di guardami intorno: la caleiodoscopica marea mi avvolge, inglobandomi, destrutturandomi, micronizzandomi come un frammento di mosaico. Un magma vitale, variopinto e multiforme. I Thegiornalisti hanno vinto i loro Demoni, Tommaso stringe tra le mani le stringhe umanistiche che professava nei primi lavori della band.
L’esordio (2011, Vol. 1), si caratterizza per una ricerca quasi spasmodica di una Umanizzazione profonda, capace di spostare l’equilibrio cardiaco e vocale di una società, tanto singola quanto collettiva, depersonalizzata e anaffettiva. La scrittura di Tommaso, un po’ Ken Shiro, un po’ esistenzialista, ci foraggia puntando fortemente su una istrionica e blasfema Ricerca dell’Uomo. Le nuvole che abbracciano il mondo e l’Urlo che ne deriva turbano notti sempre troppo brevi.
Il mio sguardo si perde sulla marea colorata, sulle magliette, sul cielo che ci sta regalando una benedizione insperata. C’è Sartre, c’è la ricerca di un controllo precario tra i flutti della vita. L’evoluzione del pensiero della band, evidente ma mai fuori forma, è tutta nei miei compagni di viaggio: c’è il fan della prima ora, le famiglie, le ragazzine adoranti. Come beduini nel deserto, abbiamo richiesto al Vate Tommaso le indicazioni per la Fonte più vicina: le sue risposte ci hanno permesso di conoscerlo, identificarlo, strapparne un pezzetto.
Si vive di slanci e nostalgie
Matilde e la fine dell’estate ce lo ricordano ogni secondo. Le storie su Instagram, le foto sfocate contribuiscono a tessere impalcature di un evento mistico, caotico. È il noumeno del Sold Out: esiste solo nei ragionamenti che abbiamo riperfuso per limitare le ischemie vitali da cui Tommaso ci ha messo in guardia. Ripenso alla prima traccia di Vol.1 “Siamo tutti marziani”: adesso sono nel Love tour.
È il successo, la storia di un amicizia, di mani che percorrono lo stesso ideale. Nelle pieghe di un sound nostalgicamente cantautorale, legato a eleganti rouche anni 80 e epici intermezzi glam, c’è la mano tesa di Tommaso. L’abbraccio colpisce ognuno di noi, tutti insieme.
Cala la sera: si accendono le luci.
Le velleità filosofiche si perdono nell’energia della band, nella struttura modaiola e nella presenza scenica di Tommaso. È la sua notte, nella sua Roma, nel giusto dono ad una ascesa prorompente ma dalle radici profonde. La scaletta, oggetto di numerose storie di IG, si apre con Completamente, pietra miliare e testo tra i più riusciti. Non vi è angolo del Circo Massimo che non esploda come un enorme turbina impazzita. Gli ospiti, tanti ed emozionati, sono lì a testimoniare un processo di progresso che li ha portati dai palchi della Roma Musicale in eterno cambiamento ad un evento di dimensioni nazionali.
La parola it-pop fa capolino tra le scenografie tridimensionali e le magliette sudate di Tommaso, le facce emozionate di Primavera e Rissa.
L’enorme contenitore glossologico dell’it-pop esplode a voler raccontare dieci anni di musica, l’evoluzione stilistica e di contenuti. Tommaso emoziona, intrattiene da buon padrone di casa e presenta gli ospiti: Franco126 (la più grande penna italiana), Luca Carboni (chi ha creduto in me), Dardust (mente e braccio geniale), Elisa (la principessa delle principesse), Calcuttino (un fratello), Takagi e Ketra (hit-maker). Queste sere perfette, bocconi di nostalgia da deglutire quando servirà.
“Io c’ero”, Tommaso indossava gli occhiali per evitare di mostrarsi con gli occhi lucidi. Le speranze di una generazione musicalmente disomogenea e speranzosa di un tempo migliore. Eravamo lì mentre Tommaso dedicava un pensiero alla madre, mentre bestemmiava contro chi aveva definito “un flop” il mancato sold-out. Per una sera ho visto il nuovo Goku convogliare tutte le nostre energie. Vivere di musica. Il momento intimistico di tre amici che suonano, senza sovrastrutture, in un intimo showcase dinnanzi a 45mila persone. Chi scrive non riesce quasi mai a trasmettere le emozioni, i sogni, le speranze: gli amori sinceri, quelli in divenire, le palpitazioni del cantare e del pensare all’ultimo esame all’università.
Era una sera di fine estate: Tommaso Paradiso canta, emozionato, Questa nostra stupida canzone d’amore. Tutte luci. Poche note e il mio sguardo incrocia gli occhi nocciola di chi mi accompagna da anni. E quella luce, quel battito mischiato alla musica, è davvero quello che resta.
Fotoin copertina di Federica Iannella x Rolling Stone
Uno dei migliori articoli mai letti sulla recensione di un concerto.
Grandissima penna, davvero.
Ti ringrazio! ❤️