Colonna sonora dell’omonimo documentario uscito nelle sale il 17 febbraio scorso (per inciso, l’ultima volta che sono entrata in un cinema), Fabrizio De André & PFM – Il concerto ritrovato è un cofanetto di registrazioni rimasterizzate che catapulta l’ascoltatore direttamente nel capoluogo ligure. E, più precisamente, al Padiglione C della Fiera di Genova, il 3 gennaio 1979.
Questo disco, rilasciato lo scorso 22 maggio, è un reperto prezioso: per i fan, ma non solo. Chiunque ami la musica in tutte le sue forme non potrà non apprezzare l’eclettismo che sta alla base della collaborazione fra De André e la Premiata Forneria Marconi.
Di più, queste registrazioni dal vivo, insieme al già citato documentario diretto da Walter Veltroni, testimoniano lo sdoganamento di un tabù vero e proprio. Perché che il cantautore italiano per antonomasia collaborasse con una band prog-rock era fuori discussione, qualcosa di inconcepibile.
Il connubio strano e inaspettato che ne nacque dovette perciò muoversi sullo sfondo di moltissime critiche.
Ma le cose nuove, le cose diverse affascinavano tanto Faber quanto la PFM. Quel tour dimostrò che la sperimentazione oltrepassa le critiche e che due stili diversissimi possono abbracciarsi senza snaturarsi l’un l’altro, con spensieratezza e spontaneità. Oltre che con un senso dell’umorismo davvero incredibile per chi ancora pensa che De André sia soltanto un elevato poeta di indicibile malinconia.
Per fare un solo esempio del clima di scanzonato cameratismo che si respirava nel backstage abbiamo ciò che Faber stesso scrisse, parafrasando Il pescatore, accanto ad una foto scattata da Guido Harari proprio durante quel tour. Un’immagine che lo ritraeva letteralmente accartocciato contro un termosifone, per combattere il freddo dell’inverno e di un’influenza improvvisa.
“Col culo esposto a un radiatore, s’era assopito il cantautore…”
Tornando alla musica, la PFM riarrangiò i pezzi di Faber in modo che l’incipit delle canzoni fosse confuso e gli spettatori non capissero di quale brano si trattasse fintanto che De André non iniziava a cantare. Solo allora il pubblico, attonito, scoppiava in un boato assordante riconoscendo il pezzo in questione. Una sarabanda esplosiva, un’esperienza davvero inedita. Il canto suadente e catalizzante di Faber sembrava dunque trovare, sulla scorta di un’orchestrazione potente, fra chitarre elettriche e sintetizzatori, una nuova e più profonda espressione.
Visto questo riuscitissimo precedente molti si sono chiesti perché De André non abbia voluto continuare. Perché non dare altre chance a questa collaborazione così redditizia? Forse il motivo lo ritroviamo proprio fra le tracce di questa raccolta.
Perché il concerto ritrovato è anche un disco sul cambiamento.
È un disco su come la musica, libera e curiosa per sua stessa natura, trovi la propria autentica estrinsecazione nel non rimanere mai uguale a se stessa. Nel non adeguarsi mai alla conformità e alla pigrizia.
Contaminarsi e lasciarsi andare, toccarsi e fuggire verso nuovi porti e nuovi incontri era il metodo di lavoro che più caratterizzava Faber stesso. Un metodo che ritroviamo, dopo la tournée in questione, in altre variegate collaborazioni. Come quella con Mark Harris per L’indiano o quella con Mauro Pagani per Crêuza de mä. Ed infine, più avanti ancora, quella con Ivano Fossati per Anime salve.
Ma il disco è apprezzabile anche e soprattutto in forza di un sound minuziosamente rinnovato. Leggiamo infatti nel comunicato stampa che lo lancia:
“Il concerto era stato registrato con tecnica multipista. L’audio in alcuni tratti era quasi completamente distorto. Dopo una prima operazione di restauro del materiale, sono state ricreate le condizioni di allora, montando un impianto all’interno di un hangar e riproducendo il concerto, generando un fronte sonoro simile all’originale e registrando con microfoni ambientali”
Il pazzesco risultato che adesso possiamo ascoltare ricrea impeccabilmente l’atmosfera di allora. La tracklist completa del disco comprende tanti pezzi conosciuti, come La canzone di Marinella, Andrea, La guerra di Piero, ma fra tutti vi consigliamo assolutamente l’ascolto di Amico fragile, qui proposto in una versione più lunga e con piacevolissimi intermezzi di puro progressive rock. Davvero imperdibile.
Monica Malfatti
Beatlemaniac di nascita e deandreiana d'adozione, osservo le cose e amo le parole: scritte, dette, cantate. Laureata in Filosofia e linguaggi della modernità a Trento, ho spaziato nell'incredibile mondo del lavoro precario per alcuni anni: da commessa di libreria a maestra elementare, passando per il magico impiego di segretaria presso un'agenzia di voli in parapendio (sport che ho pure praticato, fino alla rottura del crociato). Ora scrivo a tempo pieno, ma anche a tempo perso.