Adottare soluzioni Lo-Fi per sopravvivere: “Verde” di Jesse the Faccio
La primavera, per la maggior parte dei giovani a Padova, segna l’apertura della stagione dei festival. I parchi si riempiono di lucine e chioschi, e le persone sembrano più felici e rilassate, circondate dal verde. La verità è che con Padova, la mia città natale, sono stata in guerra per anni. Tuttavia, ho trovato sempre momenti di tregua nei concertini dei festival locali. In effetti, le notti semplici e scanzonate, i volti familiari, gli Spritz e la musica, creano uno spazio di benessere e accettazione reciproca, dove mi sento bene. La musica di Jesse The Faccio, cantautore Padovano, sembra trasmettere e custodire quelle atmosfere di ironia e leggerezza, che aiutano a diluire una realtà ben più schietta e cruda.
Infatti, il suo nuovo album, Verde, ne è la prova.
Gli undici brani che compongono il disco scorrono a ritmo sostenuto, percorrendo varie impronte stilistiche, che vanno dal Lo-Fi di base, passando dal Punk, allo Shoegaze. Verde è il singolo d’apertura: colpisce dritto e attira la completa attenzione dell’ascoltatore. Merito delle chitarre distorte e di un testo che sembra un mantra di una condizione esistenziale tipicamente giovanile. Segue Dita gialle, uno dei brani a mio parere più interessanti, in cui si gioca con parole e dettagli di chi vive una relazione agli albori. Arriva poi 666, geniale escalation di pensieri quasi ossessivi che si alternano ad immagini nitide di autobus e scritte sbiadite.
Il quarto singolo, Yaz, segna una prima svolta all’interno dell’Album.
I testi si fanno più onesti e confidenziali, magari irriverenti, e vi è l’invito a lasciarsi andare. In Untitled, Jesse strizza l’occhio al Dream-pop (vedi Fazerdaze) e dipinge con ironia micro scene di convivenza:
“Capisci i miei errori,
chi è che porta i pantaloni,
tu non buttarli via, dai, prestali a me.”
Verde Pt.2 è un brano strumentale, che si infila alla perfezione a metà del disco. Anche perché, diciamocelo, i suoni e gli arrangiamenti trasudano cura e attenzione, elevando la qualità dell’intero lavoro.
Si prosegue con 2011, in cui le sonorità si distendono e le parole diventano evocative ed intime. Amen, invece, riprende il ritmo incalzante dei primi brani, con un testo che richiama lo stile cantautorale italiano. Sul finire del disco arriva Caviglie, singolo uscito a Dicembre, che percorre la strada del romantico/onirico e vanta un video gioiellino, realizzato con la collaborazione di Samuele Canestrari.
Chiudono l’Album Nissan e TTMB. L’ultimo brano, a mio parere, è un tocco finale inaspettatamente brillante e coraggioso. In effetti, le ultime parole pronunciate nel disco sono: “Voglio rivederti, punto.” frase che si rivela profetica, in tempi di quarantena.
In effetti, Verde risalta come un progetto unico nel panorama nostrano. Si tratta di un Album maturo e ben riuscito, anche per merito dell’azzardo di non seguire la ricetta in voga al momento per il successo facile. Bisogna dare atto all’originalità di Jesse the Faccio, che sebbene omaggi artisti internazionali alla De Marco e Johnston, rimane di una coerenza stilistica indiscutibile.
In poche parole, a me Jesse convince molto. Trovo interessante che il personaggio dall’aria spontanea sia uno specchio dell’immediatezza del suo lavoro musicale. I suoi testi fanno breccia e si lasciano cogliere immediatamente dal pubblico. Contemporaneamente, l’equilibrio e il livello qualitativo del sound, lasciano dedurre che niente è lasciato al caso. Se nelle prossime settimane sentirete come me nostalgia dei festival all’aria aperta, ascoltate Jesse The Faccio. Si tratta di un Verde alternativo, ma pieno di speranza di rivedersi presto, (punto).