Andrea Laszlo De Simone è la perla nascosta della musica italiana
Come sempre ho speso più di qualche mese per trovare il momento giusto e scrivere di Andrea Laszlo De Simone. Ho passato notti intere ad ascoltarlo, lo ammetto. Seduta sul divano, in posizione yogica, mentre mangiavo i biscotti per diabetici, con le news del telegiornale sui contagi, mentre trattenevo il fiato per la morte di Elisabetta Imelio. E niente, uscivano solo parole confuse e impressioni di settembre anche se oramai era arrivato marzo.
Vedete, il problema con Andrea Laszlo De Simone (sì, adoro scriverlo per intero) non è restare ore ad ascoltarlo mentre ti sovvien l’eterno, ma cercare le parole giuste per raccontarlo. Non è stato semplice. Il pacco di biscotti è finito, le settimane sono passate, sono iniziate le prime quarantene e io ancora non sapevo cosa scrivere. Ho cercato informazioni qua e là, letto le sue interviste, continuato a consumare i suoi dischi. Alla fine ho compreso una cosa importante, ma questa ve la dico dopo.
Chi è Andrea Laszlo De Simone
Innanzitutto partiamo da lui. Capelli incolti alla Alan Sorrenti, baffi grandi che ricordano un po’ Freddie Mercury un po’ Ned Flanders. De Simone è l’icona retrò che scrive di cose eterne. Lo troverete in alcune foto accanto a un vinile o un giradischi, in tante altre avrà un’espressione stupita in bianco e nero. Ve ne accorgerete, spesso cambia la lunghezza dei baffi.
Sappiamo che non si reputa un grande intenditore di musica e personalmente questa è la parte di lui che amo di più. Laszlo professa un’apparente contraddizione. Non si dichiara musicista, bensì ignorante. Non compra dischi, non si ispira al passato, non cita. Andrea Laszlo De Simone crea. Registra la sua musica e le parole vengono da sé. Sperimenta, cuce e ricuce. Così nascono i suoi dischi.
Da questa abile tessitura è uscito a novembre per 42 Records Immensità, la sua suite in quattro atti, nella quale il sogno, la realtà, lo spazio ed il tempo si fondono in un unico flusso. Poche tracce limpide che sono come gocce: qualcosa di semplice con all’interno qualcosa di incredibilmente complesso. Guardiamole più da vicino.
Tutto questo è Immensità
Tutto questo è immensità / e lavorare per dieci ore / prendere sempre scelte di cuore / chiedere scusa per un errore / anche questa è immensità / tutta la realtà è immensità
Immensità è un vero e proprio capolavoro, un viaggio musicale. Si entra in punta di piedi ascoltando il preludio e improvvisamente un naufragio di pensieri ci porta altrove. Ricordi, paure, tenerezza. De Simone costruisce una bolla di sogno e realtà che sospende il tempo e lo intreccia su se stesso. Ogni volta in cui ci si abbandona, le trame della melodia ci inghiottono e, leggere, ci portano via con sé. Non si ha mai la percezione di poter uscire dalla sua musica. Né che i suoi testi possano esistere senza di lei.
Credo infatti che il punto sia proprio questo. De Simone non incastra parole e melodia, fa qualcosa di più: dà voce alla propria musica.
Il tempo scorre e sembra davvero che le parole emergano dalla musica. Con una voce soffusa, l’atmosfera si riempie di testi frugali e opachi in un canto circolare di nascita e risurrezione. Laszlo tenta di cantare l’eternità. Non troverete la stessa magia altrove, è proprio questo ciò che ho compreso. Andrea Laszlo De Simone è la perla nascosta della nostra musica. Per questo il mondo si divide in due parti: in chi lo ha scoperto ed è rimasto sedotto dalla ruvida bellezza delle sue opere e in chi ancora non ha avuto l’opportunità di farlo.
Vedi, non serve a niente ripararsi dal vento / siamo solo conchiglie / sparse sulla sabbia / niente potrà tornare a quando il mare era calmo
© Artwork di Chiara Zaccagnino