È stato rilasciato lo scorso 25 Febbraio “Specchio“, il primo disco (dopo gli ep “18 anni” e “Spazio“) di Ariete per Bomba Dischi e distribuito da Universal. Undici tracce per sviscerare i turbamenti e le necessità della generazione Z con la cieca onestà di chi si racconta senza filtri perché sa che ha tutto da guadagnare.
Ad un certo punto è successo un fatto qualcosa di inimmaginabile nella mia vita fino a qualche anno fa. Ho una sorella classe 2003 e da qualche tempo ascoltiamo le stesse canzoni. I miei 27 anni sono il risultato di una perenne scissione della personalità nella quale la componente battistiana, misurata e “leggera” si scansa e non si fa “preda dei venti” e la parte più ribelle che scalcia, urla, si svena urlando “SONO SOTTO LA PIOGGIAAA”. Per un po’ di tempo ho cercato di negare l’evidenza, di bollare questa comunanza di intenti come una fase passeggera, frutto del bisogno di dare sfogo a sentimenti e sensazioni, acerbe, nascenti, puerili, giovani.
Animata da queste intenzioni mi sono approcciata all’ascolto di “Specchio” e la sensazione a primo acchito è stata quella di un disco nel quale Arianna racconta con struggente passione i tormenti tipici della sua età. Allora mi è stato chiaro il perché riuscissi a riconoscermi, nonostante il gap generazionale. Perché io a 19 anni avrei voluto avere meno paura, avrei voluto vivere la mia identità senza preoccuparmi costantemente del giudizio dei “grandi”.
Ariete non ha paura di declinare l’amore, di raccontarlo e dichiara nelle interviste che gli unici a essere interessati a capire chi sono i destinatari delle sue canzoni sono i giornalisti.
Il disco comincia con “Giornate noiose” una canzone che mi ha fatto pensare a tutte le giornate che ho sprecato aspettando una risposta che non arrivava mai. Vivere in attesa, immaginare la persona che hai amato in un futuro in cui non ci sei e tutti quei temporali nello stomaco che si susseguono mentre fuori c’è il sole che pare anche prendersi gioco del tuo dolore. Quand’è che si diventa troppo grandi per concedersi a questi struggimenti?
Arianna mi ha fatto pensare che siamo figli del nostro tempo, dell’isolamento al quale ci ha obbligato trascorrere due anni di pandemia, delle relazioni naufragate paradossalmente, per eccesso di vicinanza. Siamo figli di tempi che ci hanno impedito di stringerci, dei dischi registrati coi vocali nelle camerette, dei concerti in streaming. Siamo figli delle estati calde e inverni interiori nelle quali ci riempiamo le serate di rumore nei Club, le vene di euforia ma in realtà vorremmo solo tornare a casa.
Ho provato tantissime volte ad anestetizzare il dolore, alzando il volume della musica, trascinando i pensieri dietro a ritmi che mi facessero scordare la radice di quel vuoto.
La vita dei giovani segue una parabola ascendente che si compone di tappe necessarie: studiare, laurearsi, trovare un lavoro. Nella migliore delle ipotesi trascorri 8 ore in un ufficio, i tuoi coetanei parlano di quanto sia stressante trovare casa mentre tu se sei fortunato entri nella tua stanza ti sdrai sul letto e ti senti… solo.
La verità è che anche quando hai quasi trent’anni vorresti solo trovare delle braccia nelle quali ripararti.
La verità è che anche quando hai quasi trent’anni continui a rispondere a rituali sociali che ci impongono di andare alle feste controvoglia, a cercare le iniziali dei nomi nelle fermate della metro, nelle coincidenze distratte che fanno corrispondere le nuvole ai volti o ai mostri che non abbiamo ancora avuto il coraggio di scacciare.
Il tempo si ferma, in sottofondo una chitarra mentre di fronte a te c’è uno specchio che ti impone di guardarti. La tua immagine ti fissa ma tu non la vedi. I tuoi detriti interiori hanno creato una coltre di pensieri che stai cercando in tutti i modi di accantonare e tu ti ci perdi dentro: è l’unica scelta che hai.
Nel disco due feat importanti che confermano l’impronta e l’intenzione del lavoro: Madame e Franco 126.
Entrambi due pezzi da 90 nella scena pop italiana. La prima rafforza l’identità corale delle giovani donne che si prendono gioco delle etichette che trovano nella musica un luogo inedito nel quale sperimentare la femminilità. Il secondo. Franchino, si traveste da fratello maggiore, da spalla su cui piangere mentre gli confessi l’ennesima delusione sull’autobus che ti riporta a casa.
“Chissa se anche i grandi agiscono senza un perché” ci chiede Ariete mentre canta accompagnata da un piano, cercando di scrollarsi di dosso il respiro che proviene dalle persiane.
“Specchio” è un album che racconta i giovani d’oggi e che si rivolge ai giovani e dice ai grandi “guardami, sono qui, sono una ragazza di 19 anni e mi sono innamorata di una ragazza che mi ha lasciata. E allora?”
Per chiudere il cerchio e per mettere a tacere il dualismo della mia anima, “Iride” sembra strizzare l’occhio a Battisti con quel “mi ritorni in mente” che mi ha strappato un sorriso amaro.
Amaro perché ogni volta che una storia d’amore finisce, sperimentiamo la sensazione che mai nessuno potrà essere all’altezza di quel “per sempre”. Però l’esistenza segue trame imprevedibili e il ciclo ricomincia, perché crescendo impariamo che niente dura per sempre e che la qualità delle relazioni si misura sulla base di quanto ci abbiano fatto bene, anche se poi sono finite (male).
Guardarsi allo specchio non ha solo a che fare con quello che facciamo quotidianamente prima di uscire di casa ma è un atto di coraggio che impone di guardarsi dentro mostrandosi senza attenuanti.
Insomma, Ariete ha 19 anni e io quasi trenta e mi piace ascoltare la sua musica perché un giorno, anche io, come lei, spero di trovare il coraggio di guardami allo specchio mostrando davvero chi sono. In fondo ho solo trent’anni, no?